Tutti i corsi di pronto soccorso concordano su un fatto: se una persona è stata vittima di un pestaggio e reduce da un colpo alla testa, la prima cosa da fare è urlargli addosso e poi stritolarla in un abbraccio così improvviso da farle nuovamente perdere l'equilibrio.
Non è così? Che qualcuno avvisasse sua sorella, perché quella era stata l'accoglienza riservatagli dopo essere stato accecato dai fari delle due auto venute a soccorrerlo. Il risultato fu una brutta caduta, la sua spalla ringraziava, e altre urla, da suo fratello.
«Smettila di fare quella faccia, eravamo giustamente preoccupati!» ulteriori urla, quello che ci voleva. Fortunatamente una infermiera gli aveva somministrato degli antidolorifici, per cui la testa non gli doleva più come quando lo avevano ritrovato. Anche il ritornato dolore alla spalla aveva iniziato a scemargli.
«Scusami, ho solo passato gran parte delle scorse ventiquattro ore incosciente e poi picchiato, ma se voi eravate preoccupati» ribatté, mentre Rix tratteneva Camula dal saltargli addosso.
«Non credo a quello che sto dicendo, ma Frode ha ragione» disse suo fratello, tornando a sistemarsi sulla sicuramente scomoda sedia di plastica accanto al lettino. Nonostante la situazione, Rix era rimasto calmo tutto il tempo. Aveva raccolto il misero ammasso di membra che era diventato dopo essere caduto una seconda volta, lo aveva caricato nella sua macchina, dicendo al suo amico di guidare con Camula, a testimonianza di quanto fosse sconvolta sua sorella per accettare passivamente di farsi quasi un'ora di macchina con il suo ex, e infine lo accompagnò per tutta la procedura di ammissione al reparto A&E del Royal London Hospital, o almeno dalla finestra il panorama gli sembrava quello di Whitechapel. Loro padre era arrivato subito dopo che lo avevano portato in quella stanza. Stava urlando e piangendo, il tutto imprecando contro il personale ospedaliero che gli impediva di entrare.
«Sono suo padre! Ne ho il diritto! Fatemi il test del DNA se non ci credete!» se Frode non fosse stato concentrato a non muovere troppo il capo per non perdere nuovamente l'equilibrio, avrebbe riso o registrato quella scena. Solo che ridere lo avrebbe portato a peggiorare le sue condizioni e il suo cellulare... Non aveva la più pallida idea di dove fosse il suo cellulare.
«Papà, smettila, lo devono sistemare e poi ci fanno entrare» aveva però sentito le proteste di suo fratello, «Sono sicuro che questa indubbiamente competente e professionale infermiera ci farà entrare appena possibile, altrimenti potrebbe sedarti, e ho già dovuto trascinare Frode di peso, non voglio ripetere il numero stanotte» forse si sarebbe dovuto offendere, ma in quel momento la morfina aveva iniziato a fare effetto e riusciva a respirare senza che l'addome lo punisse. Probabilmente si era anche addormentato.
Quando si era reso conto di essere nuovamente cosciente, i suoi fratelli erano già sistemati sulle sedie, parlando sottovoce di riscatti e assassini, mentre suo padre era appoggiato allo stipite della porta, dandogli le spalle, preso da una telefonata. Con qualcuno incredibilmente stupido, perché stava ripetendo le stesse cose per la terza volta di fila nel quarto d'ora in cui Frode aveva pian piano ripreso conoscenza.
«Io ho sempre ragione, Rix» sospirò, tornando a rivolgere l'attenzione ai suoi fratelli, «Che cosa hanno detto? Per quanto dovrò rimanere qui?».
«Il medico ha detto che ti terranno per ventiquattro ore in osservazione, prolungandole nel caso qualcosa vada storto» gli rispose Camula, stropicciandosi un occhio e spargendo il mascara, «Però hanno anche detto che per come ti hanno conciato, hai avuto una buona ripresa, e che quindi se il colpo alla testa non ha avuto ripercussioni gravi, e non le dovrebbe avere perché a quanto pare chi ti ha colpito sapeva quello che faceva, domani mattina puoi andare» concluse, con uno sbadiglio.
«Da quanto siete qui?» chiese Frode, realizzando in quel momento che fosse giorno.
«Non è importante, tu come ti senti? Credo che dovremmo chiamare qualcuno ora che sei sveglio» si alzò in piedi Rix, sgranchendosi la schiena, «Sì, dovremmo chiamare qualcuno» continuò, parlando fra sé e sé. Si passò una mano sul volto, dirigendosi verso l'uscita della stanza, avvisando loro padre con un una mano sulla spalla, indicandogli poi col pollice il lettino. Suo padre chiuse in modo frettoloso la chiamata, entrando.
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Anathema Urobori - Naufraghi del destino
FantasyFrode sogna da anni di ricorrenti sconosciuti che muoiono davanti ai suoi occhi. Avendo da tempo concluso che la sua unica soluzione sia quella di conviverci, conduce la sua vita destreggiandosi fra clienti esigenti, un fratello troppo annoiato e un...