Capitolo 2

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Sapete, ci penso ancora al primo appuntamento con Giada. Lo so, lo so, è una cosa da sfigati e probabilmente dovrei tirare avanti e tutta quella cosa dell'autostima con la quale le mie compagne di classe amano tanto perforare il cervello, ma non ne ho proprio voglia.

I ricordi in fondo, sono parte integrante di noi, quindi perché non deprimersi ancora di più?

La gioia e l'ottimismo prima di tutto, ovviamente.

Ora, steso su questo dannato letto annegando nella nostalgia e nel rimorso, ripercorro come un loop quell'intera serata passata con lei. Anche se ci penso, anche se ci sto male, se potessi tornare indietro nel tempo, non cambierei niente. Scottarsi certe volte è meglio.

Avevo passato più di una mezz'ora di fronte alle ante dell'armadio spalancate, indeciso su cosa mettermi (sì, anche noi ragazzi lo facciamo nelle occasioni importanti), mentre mia sorella Livia mi osservava tranquillamente seduta a gambe incrociate sul mio letto. Le bastava vedermi sclerare come un matto per scoppiare a ridere.

- Dove vai?-, chiese inclinando la testa di lato, studiandomi.

Incrociai per un attimo il suo sguardo attraverso il riflesso dello specchio, per poi continuare a pettinarmi i capelli. -Da nessuna parte-, risposi scocciato.

- Esci con Angelica ed Enrico?-, domandò ancora.

- No-

- Uuuu...-

La ragazzina sorrise maliziosamente portandosi un pugno sotto il mento.

- Smetti di fare la pettegola, Via, dai-, sbottai. In tutta risposta lei saltò giù dal materasso e si mise in punta in piedi per sistemarmi la cravatta. Così, senza dire niente. Poi lanciò un'occhiata alla mia capigliatura improvvisata: -Ti stanno meglio scompigliati-, esordì a bassa voce prima di tornare al suo abituale metro e quarantacinque di altezza.

Mormorai un "grazie", strizzandole scherzosamente una guancia, per poi uscire dalla stanza inforcando le chiavi del motorino e salutare mia madre con un bacio sulla guancia. Okay, ero proprio gasato.

Il motore come sempre ci mise un po' per accendersi, tanto che a un certo punto ebbi l'impressione che il tubo di scarico potesse esplodere da un momento all'altro da quanto scoppiettava. Tralasciando questo dettaglio, ero talmente in ansia che persino la Vespa sembrava esserlo.

Il sole intanto tramontava dietro agli edifici che si stagliavano in lontananza, colorando le nuvole di rosa e le facciate delle case di arancione. Aveva un non so che di pittoresco, diciamocelo. La strada di ciottoli fece rimbalzare un po' il veicolo prima di farmi continuare dritto e spedito, tra il traffico di Roma e i turisti che si guardavano intorno spaesati da tutta quella maestosità.

Roma era arte, prima di tutto.

Parcheggiai di fronte alla mia scuola sovrappensiero e quasi non la vidi, tra tutte quelle persone. Sembrava una bambina in mezzo a dei giganti.

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