Epilogo

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Uno, nessuno e centomila.

Probabilmente vi starete chiedendo perché sto citando Luigi Pirandello. Ho letto questo libro quando ero appena un quattordicenne senza alcun pensiero per la testa, ma solo ora ne sto capendo il significato.

Davvero, è ironico il modo in cui si adatta perfettamente alla mia vita. Ci ho pensato, sapete? Tutte quelle maschere che indossiamo, tutte quelle maschere con le quali scegliamo di ingannare le persone. Davvero ironico.

Siamo tutti dei falsi, in fondo. Siamo tutti persi. Perché, andiamo, a momenti non sappiamo neanche noi come siamo fatti veramente, qual'è quella sfumatura di carattere che teniamo nascosta dagli altri. Come ho detto prima, è forse una delle cose più tragicomiche della nostra intera esistenza.

Basta solo pensare a Giada, a com'era quando si comportava con me, quanto sembrava diversa da tutte le altre. Aveva scelto di mostrarmi quella sua faccia, celandone però chissà quante altre. Era stata sincera almeno una volta? Aveva provato almeno un millesimo di ciò che avevo sentito io?

Non l'avrei mai saputo, probabilmente. Certo, anche io non ero sempre stato l'emblema della sincerità con lei. Avevo oscurato quelle parti di me che odiavo. Sapeva che fumavo, ma non era a conoscenza che la mia era una dipendenza davvero poco rassicurante. Sapeva quanto fossi legato a Roma, ma non era a conoscenza del fatto che avevo sempre paura di mettermi in gioco, di provare.

Avevo mostrato la parte che reputavo migliore.

A volte, arrivo a mettere in dubbio i miei stessi sentimenti per lei. Era davvero amore, quello? Come riuscivo a capirlo? C'era per caso un manuale per riconoscerlo? Poteva essere una semplice sbandata di un adolescente che non sa nemmeno come comportarsi con una ragazza. Ma allora perché era così doloroso?

Quelle facce hanno così potere su di noi, e non ce ne accorgiamo neanche.

Tragicomico. Siamo nient'altro che attori.

***

- Simone!-, Donatello mi sorride appena mi vede entrare nel suo minuscolo studio. E' accovacciato per terra e sta cercando di aggiustare il termosifone gocciolante con un cacciavite. La cosa non sembra funzionare, dato che il pavimento è completamente allagato.

- Non eri a Milano?-, domanda ancora tornando al suo lavoro con gli occhi strizzati.

Chiudo la porta alle mie spalle, lanciando uno sguardo alla libreria che occupa l'intero muro laterale: -Volevo farvi una sorpresa-, dico scrollando la neve dal cappotto.

- Tua madre ne sarà molto contenta-, risponde sospirando. Guarda un'ultima volta il termosifone e sbuffa, -dovrò chiamare qualcuno, mi sa-, conclude sconsolato, per poi aggiustarsi gli occhialetti sul naso e fare cenno di accomodarmi sulla poltrona.

Mi siedo, sentendo le molle scricchiolare sotto al mio peso. E' rimasto tutto uguale dall'ultima volta che sono stato qui. Stesso tavolino da caffè, stesso posacenere di pietra, stessa poltrona e stesso divano. Identico.

Donatello si mette di fronte a me, e mi guarda attentamente, come se davanti a sé avesse avuto quel ragazzino di diciotto anni pieno di problemi che si è creato da solo.

Ora ha davanti un ventunenne con i postumi di questi sbagli ancora bene impressi dentro. Non sono cambiato nemmeno io.

- Come stai?-

La domanda è semplice, anzi la più banale che ci possa essere.

- Bene, credo-, rispondo scrollando le spalle. Lui sorride, sfiorando distrattamente la fede luccicante e ancora nuova sull'anulare sinistro.

Dove le parole diventano fumoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora