capitolo 2

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Uccise un'altra persona davanti ad una casa in un quartiere vecchio e silenziosa, ma con qualcosa di sinistro e misterioso.

Il sangue sulla sua bocca non le faceva più effetti dopo che aveva appena mangiato, o meglio divorato, la sua cinquantesima vittima nel giro di un giorno.

Aveva il corpo sporco di sangue e i denti che le facevano male per i troppi morsi che dava per mangiare gli esseri viventi, se una persona la incontrasse penserebbe di sicuro che è un licantropo e che quindi è abituata a mangiare con i denti le sue prede o che fosse un cannibale.

Che fosse un'ingannatrice sarebbe l'ultimo dei nostri pensieri, ma se caso mai ci capitasse davanti non faremo in tempo a pensare che cosa fosse che ci avrebbe già attaccato e mangiato.

"Non farmi del male" aveva urlato un ragazzo davanti ad una casa.

Gli occhi chiedevano pietà e le parole erano  spezzate della paura che aveva guardandola.

"Ti prego" disse piano, molto piano, ma sta volta riuscì a fissare i suoi occhi pendentosi amaramente di quello che aveva fatto.

Essa si scagliò su di lui facendolo cadere, e facendolo sbattere contro il muro, poi si avvicinò talmente tanto alla sua faccia che i loro respiri si fusero in uno solo.

"Perchè dovrei salvarti?" chiese l'ingannatrice vicino al suo orecchio intimidendolo con la sua voce bassa e rocca.

"Ti ...potrei...ai..uta..re"balbettò nervoso girando il capo per non vedere in faccia quel mostro.

"Non mi serve il tuo aiuto, non mi serve l'aiuto di nessuno perchè io sono una donna indipendente" si accanì sul suo collo staccandone gran parte, il ragazzo morì sul colpo e il suo corpo cadde, come quello del  dottore, morto e illeso sulla strada.

Annusò la sua vittima, sapeva di sudore e di sangue, ma sotto a quelli odori nauseanti si sentiva un profumo di caffè e carta bagnata, poi gli stacco il cuore mangandoselo.

Si gustò ogni singola parte del suo cuore, senza avanzare nemmeno un misero pezzo, non aveva un sapore ben preciso.

Aveva imparato che tutti i cuori non hanno sapori, ma erano buoni comunque, ma lei riusciva a crearsi i sapori tramite gli odori che la vittima aveva e questo sapeva di caffè, un buon caffè.

Non si tirava indietro se una persona aveva un cattivo odore o un cattivo sapore, lei uccideva solo per diventare più forte e il sapore della vittima era l'ultimo dei suoi problemi.

Le fissa per molto tempo, le studiava, studiava le loro mosse, i loro movimenti e come gli effettuavano.

A volte passava mezz'ora che era ancora lì a fissare la preda solamente per il suo gusto di osservare, poi quando era sola o indifesa si accaniva su di lei mangiandola. Come una gatto che aspetta che il topo esca dalla sua tana per poi mangiarlo.

Lei era il gatto e le vittime era dei piccoli e indifesi topi che uscivano dalla loro tana ignari del loro crude e triste destino che gli attendeva una volta fuori dal solo posto in cui erano al sicuro, ovvero la loro casa.

Entrò nella sua, in quella davanti a lei,  non vi era anima viva in quella tetra casa.

Appena entrata si aspettava di trovare delle persone da mangiare, ma non c'era nessuno, nemmeno un'anima viva.

La casa non era delle condizioni migliori per essere chiamata con tale nome, le macchie sul muro d'acqua erano sparse per il salotto e per non parlare dei mobili che erano per metà distruttivi e la  televisione era a terra rotta a metà e i vetri erano per terra.

Salì al piano di sopra, le scale erano piene di vestiti sparsi lì a caso e ci volle un po' prima che riuscisse ad arrivare al piano superiore dove vi era un lungo e buio corridoio.

L'ingannatrice e la metà condannata Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora