La fuggiasca III

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Ora che avevo 16 anni e otto anni di ardui allenamenti alle spalle fui convocato per una missione molto significativa per la mia carriera assieme a tutti i miei compagni. Eravamo autorizzati ad uccidere una schiava fuggiasca. Potevamo allontanarci dal villaggio fino a tre giorni di distanza, eravamo sufficientemente preparati per una missione simile.
Sirio mi stava particolarmente vicino, faceva così quando voleva qualcosa, tutti lo facciamo, ma lui in particolar modo, mi raccontò: “Quella schiava è stata corteggiata da un generale, ha rifiutato ed è scappata durante la notte, il Generale in questione possiede molte schiave, le più belle dormono in un vano della Grande Capanna accanto a quello dove dorme lui, dormono tutte in bellissime amache, ora ha un’amaca vuota, rimarrà vuota finche qualcuno non gli riporterà la testa mozzata di quella schiava che è fuggita. Terrà la testa su quell’amaca per un po’ di giorni, così le altre schiave vedranno che cosa succede a chi scappa. Immagina queste poverette che dovranno passare la notte con la testa di una loro amica nell’amaca accanto, ci penseranno molto di più prima di scappare, anzi non ci penseranno proprio.”
Sembrava divertito e affascinato dal meccanismo del terrore e aggiunse: “Se portiamo a compimento la missione le altre schiave troveranno molto più gradevoli i corteggiamenti del loro padrone, per forza di cose… mentre a noi ci premieranno con minimo un mese di tregua dagli allenamenti, immagina...”.
La schiava era fuggita di notte, aveva poche ore di vantaggio, io e Sirio discutevamo quando giunse mio cugino Riem: “Ragazzi, abbiamo appena trovato le prime tracce, è maldestra la fuggitiva, a meno che non si sia avventurata oltre le paludi non avremo problemi a individuarla nella foresta.”
Ora capivo perché Sirio mi stava così vicino: sapeva che se la schiava si fosse inoltrata nelle paludi poteva contare solo su di me per rintracciarla, ero uno specialista, provai una leggera soddisfazione e mi persi a pensare: i bottini di tutte le guerre della foresta erano i bambini, maschi e femmine, li si cresce come si vuole, obbedienti. Diventavano lavoro, comodità e piacere. Quando una persona in schiavitù scappa o si ribella lo affidano a noi giovani così abbiamo l’opportunità di compiere la nostra prima uccisione. Mio cugino Riem ci condusse fino alla soglia della foresta, si vedevano i primi rametti rotti, aveva lasciato praticamente una scia dietro di sé, dovevamo comunque correre altrimenti poteva raggiungere le paludi. Avanzavamo spediti ed in fila disciplinata, la missione era alquanto macabra ma al lavoro sporco ci pensavano Sirio e Fsad, io dovevo solo trovarla.
L’idea che i nostri superiori ci potessero premiare con un mese di tregua dagli allenamenti e la prospettiva di far salire di prestigio la nostra squadra non lasciava spazio alla pietà, neanche a pensarci, avremmo ucciso la schiava! Velocemente lasciammo alle spalle il nostro imponente villaggio mentre la foresta iniziava ad infittirsi, tutto ad un tratto non c’erano più capanne, costruzioni o segni umani... solo poche tracce da seguire... era come entrare in un’altra dimensione, in un mondo che non ci apparteneva e non apparterrà mai a nessuno ma che ugualmente rivendichiamo come nostro: la foresta. Il respiro si faceva forzato, il nostro andamento rallentava, versi di animali di ogni sorta e specie, scimmie che si nascondevano, tranne una, piccola e dispettosa, che ci stava vicino... Fsad tese l’arco ma Sirio gli fece cenno di non farlo, poi parlò:
“Finché una scimmia ci sta vicino significa che non ha notato giaguari, tendi l’arco solo se la vedi fare strani versi acuti o scappare in alto.”

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Io e Sirio avevamo il ruolo di responsabili, se qualcosa non andava bene eravamo noi a pagarne le conseguenze, era il “Prezzo della Responsabilità”. Questo ci dava anche il potere di far punire i componenti della squadra che creavano disordine o scompiglio, e la punizione era chiamata il “Prezzo dell’Ordine”. Non è mai semplice coordinare i giovani, nel nostro caso poi era doppiamente complicato, avevamo a che fare sempre con emozioni forti e violente, a certi indisciplinati le fruste ormai facevano solo ridere. Più di tutto temevamo la rabbia, un sentimento ingestibile.
Non ero il miglior amico di Sirio, per niente, anzi, non mi stava molto simpatico, troppo rigido e arrogante, spesso presuntuoso e tendenzialmente competitivo! Essere competitivi nella foresta può costare molto, anche la vita! Arroganza a parte, perché chi compete è arrogante, essere in lotta fra noi sarebbe stato controproducente: dovevamo dimostrarci collaborativi e non competitivi per assicurarci che la nostra squadra stesse bene, avevamo letteralmente sputato sangue per arrivare al ruolo di responsabili e a nessuno dei due conveniva cercare altri problemi. Se le cose andavano male, al capo-squadra poco interessava chi di noi avesse colpe: lui faceva pagare a tutti e due il “Prezzo dell’Ordine” con la frusta e coi pugni, ci puniva entrambi in qualità di responsabili. Così facendo imparavamo anche che quando uno sbagliava doveva esserci l’altro a correggerlo.
Ormai mezzogiorno era passato, le orme della schiava fuggitiva erano sempre più fresche, non eravamo distanti da lei... era diretta alla grande palude. Sirio era sempre più spazientito e chiese di accelerare il passo. Raggiunta la grande palude notammo qualcosa di strano: c’erano altre orme, uomini sicuramente, e dai segni per terra si capiva che erano pure armati di lance e archi.
Sirjo ordinò al gruppo di restare compatti e, in caso di contatto visivo con il nemico, fare ciò che per queste situazione ci era stato ordinato dagli adulti, cioè tornare a casa, fuggire. Eravamo ancora troppo inesperti per combattere. Io proposi quasi subito di far ritorno al villaggio, ma lui replicò che era il caso di aspettare un po’ e capire che cosa fosse successo, dopotutto era la nostra prima missione rilevante. A quel punto strinsi leggermente i pugni, segno che iniziavo ad innervosirmi: se la missione fosse andata male la colpa sarebbe stata soprattutto mia, visto che ero figlio di un comandante che aveva più guerrieri di quanti ne avesse il padre di Sirio. Eppure non potevo far molto, gli altri ragazzi, a parte Riem, avrebbero seguito Sirio e se avessi loro imposto di tornare indietro sarei passato per il guastafeste di turno. Mi misi ad analizzare le orme, la schiava si era inoltrata nella palude ed ora era diretta verso il nord... le altre orme invece erano confuse, forse quegli uomini avevano girato in tondo in cerca di pesci o di altre prede.
Sirio parlò: “Tenete gli occhi aperti, le orme non sono aknesi, ormai dovreste avere imparato a riconoscere le orme aknesi. La schiava è diretta verso la «madre dei fiumi»… attraversiamo la palude seguendo Nanco in fila ordinata, poi acceleriamo il passo, non deve essere distante”.
La palude era in molti tratti troppo profonda per poter essere attraversata a piedi; ma c’era un guado che tutti noi conoscevamo e che evidentemente conosceva anche la schiava: i rametti spezzati lasciavano intendere che era passata dall’altra parte proprio attraverso quel guado. Ci inoltrammo lungo il passaggio e neanche venti minuti dopo eravamo già fuori dalla palude. Ora le sue tracce si inoltravano nel fitto della foresta. I ragazzi iniziarono a lamentarsi, avevano fame, così trovai una radura abbastanza riparata dove ci potemmo saziare con le riserve di cibo che ci eravamo portati dietro. Non potevamo permetterci di accendere fuochi, il fumo si notava da lontano, e la pausa durò più di quanto avrei voluto, ma ora i ragazzi erano molto più in forze, l’inseguimento poteva ricominciare. Le orme erano sempre fresche, ma iniziavo a preoccuparmi, la schiava era vicina ma non abbastanza, stava proseguendo veloce, altrimenti l’avremmo già raggiunta. Sicuramente sapeva che le stavamo alle calcagna.
Guidavo io la fila, quando ad un tratto Sirio mi spostò col gomito e decise di far lui strada; molti ragazzi fecero altrettanto e mi ritrovai penultimo, dietro di me c’era solo Riem. Passò altro tempo e ormai avevamo raggiunto la schiava. Fsad si fermò per primo guardando verso un grande albero. Aveva percepito il rumore dei passi e teneva l’arco teso. Tutti gli andarono vicino, per vedere se riuscivano a notare qualche movimento. Io rimasi indietro. Qualcosa mi turbava: avevo captato anch’io rumori di passi umani, ma non provenivano dall’albero davanti a noi, bensì da qualche punto imprecisato dietro le nostre spalle. Più ci pensavo più ne ero certo, tanto che ormai sudavo freddo.
Riem era l’unico che mi stava vicino e se ne accorse: “Stai bene? Guarda che non la devi uccidere per forza te, lo farà Fsad, ucciderà lui la schiava”.
Gli risposi: “Non pensavo a quello, è che credo che siamo in pericolo. Tu non senti proprio niente?” Chiuse gli occhi e quando li riaprì era pallido... confermò i miei timori, c’era qualcuno dietro di noi. Un gruppo numeroso. Ci stavano alle calcagna e aspettavano solo il momento propizio per attaccarci. Era quasi sera ormai; probabilmente, conoscendo le abitudini dei nemici, ci avrebbero attaccati appena fosse scesa la notte. Dovevamo fuggire prima, nel momento in cui i nostri inseguitori ci credevano intenti a costruire un accampamento provvisorio.
Mentre io e Riem sembravamo gli unici ad essersi accorti dei nemici, Fsad teneva ancora gli occhi fissi verso la base dell’altissimo albero. Un nostro compagno di nome Numloc gli passò una freccia con la punta avvelenata con un estratto di fiori rari. La schiava si riparava dietro l’enorme pianta. Fsad tese l’arco e lentamente inizio a circumnavigare quell’albero camminando come un granchio; quando la poté vedere scagliò la freccia colpendo la povera fuggiasca dritto sul petto. La schiava era morta, spaventata com’era non aveva neanche urlato.
Tutti accorsero intorno al suo cadavere ancora caldo, Fsad chiese una lama affilata… Numloc gli porgeva intanto il sacco color rosso per la testa, una volta mozzata e riportata nel nostro villaggio si poteva ritenere conclusa la missione, era stata anche troppo facile...
Sirio si distingueva dagli altri, stava leggermente in disparte, così mentre tutti erano impegnati attorno alla schiava io mi avvicinai lentamente a lui con Riem: “Qualcuno ci sta inseguendo. E’ meglio che andiamo via subito, finché c’è un po’ di luce. Se ci attaccano e scappa il morto falliremo totalmente come responsabili.”
Lui mi guardò ed annuì. Probabilmente si era accorto già da un pezzo della presenza degli inseguitori, ma aveva voluto comunque portare a termine la missione. Chiese al gruppo di rimettersi subito in marcia, e tutti ci muovemmo compatti, aspettando l’occasione giusta per la fuga.

Aknesi-La favola dei cattivi. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora