La testa di Fsad IX

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Giunti al villaggio capimmo che la mia gamba avrebbe impiegato più tempo del previsto a tornare totalmente operativa, questo voleva dire che non potevo aggregarmi a nessuna battaglia né io né i miei 28 guerrieri. Ma la cosa che più mi premeva era il fatto che non avrei potuto unirmi nella guerra che vedeva coinvolto tutto l’esercito aknese contro Mapalia, mai nella storia i vertici avevano risposto con così tanta unità ad una minaccia umana. Io ero stato escluso da tutto questo, e nei volti dei miei uomini c’era molta delusione, ormai tutti sapevano del giorno preciso della marcia verso Mapalia, mi sentivo emotivamente lacerato, di notte piangevo in silenzio e di giorno piangevo dentro, le grandi guerre regalano grandi glorie.
Ero sdraiato nella mia vistosa capanna, su un’amaca fissata con le corde tese e aperte, avevo il piede immobilizzato da fasce imbevute di poda. Dissi a Numloc, il quale mi stava sempre molto vicino: “Girano voci che non tornerò mai più a combattere”.
E lui intervenne furtivo: “Ma si sbagliano!”
Mi rassicurava molto, sapeva come fare, era convincente. Così mi feci coraggio e cominciai a raccontare: “Combattere mi viene bene, naturale e facile perché è al combattimento che ho dedicato tutta la mia esistenza, che cosa farò se non potrò combattere? Il pescatore?! Il raccoglitore?”.
Numloc per un momento fu capace di farmi ritornare il sorriso: “Sarebbe come vedere un giaguaro mangiar banane”.
Mapalia distava quattordici notti da dove eravamo a passo spedito, muovere un esercito di ottomila guerrieri lungo un tragitto così lungo nell’impenetrabile foresta è da pazzi, ma noi aknesi sappiamo come fare: la disciplina è la parola d’ordine.
Circa seicento guerrieri erano impegnati ad aprire varchi e preparare aree di riposo lungo il percorso verso Mapalia, altri settecento uomini erano stati spediti a sorvegliare e costruire trappole lungo i margini del nostro percorso in caso di attacchi nemici, anche se è sempre molto improbabile se non impossibile che qualcuno attacchi l’intero esercito aknese, era solo precauzione. C’erano poi circa cento squadre da dieci guerrieri che provvedevano al cibo e all’acqua, solo se tutti sapevano i loro ruoli la missione avrebbe avuto successo: in gruppo ci dovevamo muovere come fossimo stati un unico animale che si fa strada tra gli alberi e si nutre mentre si avvicina minaccioso alla sua preda più ambita, che per noi era il villaggio di Mapalia. Gli Aknesi non sono affatto sprovveduti, qualcuno doveva rimanere a difendere il villaggio, con la scusa del mio imprevisto alla gamba la scelta di tutti era ricaduta su di me, anche se non trovavo assolutamente necessario lasciarmi al villaggio dove c’erano i seicento guardiani oltre ai duecento guerrieri che costantemente pattugliano intorno al villaggio nascosti nel verde, per non parlare dei giovani guerrieri, più di tremilacinquecento. Nessuno sapeva il giorno preciso in cui l’esercito si sarebbe messo in marcia verso Mapalia, neanche all’interno del nostro villaggio, tranne pochi, tra cui io, pertanto chi mai avrebbe osato attaccarci?
Erano decenni, forse secoli, che non vedevamo nemici alle nostre porte: stare al villaggio con le mogli dei guerrieri in guerra non regalava nessun decoro! La mobilitazione era generale, gli addetti ad aprire il corridoio nella foresta verso Mapalia erano già segretamente all’opera da giorni, tutti i comandanti erano chiamati a consultarsi, ormai la logistica ed i vari ruoli erano chiari, si marciava.
Ci si muoveva in file ordinate, una accanto all’altra, per un totale di sedici file che sembravano non finire mai, il villaggio si stava svuotando e lentamente calava la quiete ed il silenzio. Non si sentivano più saluti, abbracci o i pianti dei cari, c’era solo la nostra delusione e malinconia, ordinai a Fsad e Numloc di organizzare la squadra dando i vari compiti di pattugliamento, erano questi gli ordini affidatici. La notizia buona era che potevo già correre, Numloc insisteva affinché riposassi e io gli davo retta.
Certo che se non fosse stato per lui sarei già morto in chissà quante battaglie, mi riposavo nell’amaca e pensavo ai generali che come da consuetudine non erano in guerra, aspettavano fiduciosi l’esito, spesso discutibile in quanto gli abitanti di Mapalia erano vecchi Aknesi, sapevano difendersi e chi si difende ha tutto da perdere. A tre giorni dalla partenza del nostro esercito si respirava un aria di preoccupazione al villaggio. Probabilmente non sarebbe stata una guerra distruggi e fuggi, saremmo stati costretti ad assediarli forse per mesi! Da una parte speravo di no, perché sarebbe costato troppo alla mia gente, dall’altra pensavo che forse così avrei potuto partecipare anch’io ai combattimenti, prima o poi la mia gamba doveva pur guarire!
Tutto procedette sereno al villaggio, fino al sesto giorno: non si avevano più notizie di Fsad, doveva presentarsi per cena eppure niente, neanche al settimo giorno si fece vivo; era successo qualcosa, non era da Fsad comportarsi in questa maniera!
Non persi tempo e organizzai una squadra di ricerca assieme a Numloc ed iniziammo a ricostruire gli ultimi spostamenti di Fsad. Guidai io stesso le ricerche, e non dovetti cercare molto: lungo un sentiero secondario non molto distante dal villaggio trovammo Fsad, o meglio il suo corpo. Qualcuno gli aveva mozzato la testa.
Doveva essere un incubo, Fsad lo conoscevo da quando ero nato, non era reale quello che stavo vivendo! Per un po’ sperai che fosse solo un brutto sogno dal quale mi sarei svegliato. Le mani sulle spalle dei miei compagni ed i loro abbracci eliminavano i miei dubbi riguardo la veridicità dei fatti e lasciavano la certezza che Fsad fosse stato veramente ucciso. Numloc era scosso quanto me, ispezionava la foresta intorno al cadavere: “L’aggressore è un aknese per certo, non ha lasciato tracce della sua fuga e solo le nostre scuole sfornano guerrieri tanto capaci”.
Guardavo il cadavere, l’aggressore con un colpo di lama gli aveva tagliato la mano per disarmarlo prima di tagliarli la testa, gli era comparso alle spalle probabilmente balzando dall’alto. Guardai Numloc e gli chiesi: “Ma ti sembra normale che prima gli abbia tagliato la mano e poi la testa, quando poteva direttamente colpirlo alla testa dall’alto?”
Numloc ci arrivò subito: “Voleva che Fsad lo guardasse in faccia prima di ucciderlo”.
Mi chiedevo a chi Fsad potesse aver recato così tanta offesa per avergli fatto questo, radunai la mia squadra per interrogare i guerrieri, ma c’era troppo dolore nei loro sguardi per poterli sospettare di tanta crudeltà nei confronti di un loro fratello: “Uomini!”.
Mi rivolsi alla mia squadra e ripresi con tutto la rabbia che avevo dentro: “Qualcuno si è portato via nostro fratello e non in un campo di battaglia ma a casa sua e vigliaccamente!”.
Numloc era in lacrime anche se si vedeva quanto sforzo impiegasse a mantenere la sua lucidità, mi posò una mano sulla spalla e mi ricordò che dovevo andare ad avvisare dell’accaduto i Vertici, Generali e Shamani. Io annui, era compito mio riferire il tutto nella Grande Capanna e fu lì che mi recai. Mi avvicinai alle guardie dell’entrata principale… erano irrequieti, come se fossero già al corrente di Fsad: “Devo riferire ai vertici di un assassinio avvenuto oggi ai piedi della foresta”.
I due guardiani si guardarono in faccia, erano sbiancati dal terrore, mi risposerò: “Altri guardiani trovati morti?”
Io strinsi la fronte, non avevo idea di che cosa parlassero: “Si tratta di Fsad, un mio fedelissimo, è stato trovato oggi morto e decapitato, dal modo in cui è stato ucciso stiamo indagando su probabili rese dei conti con conoscenti”.
I due guardiani erano molto attenti a ciò che dicevo: “Seguici, forse stiamo dando la caccia alla stessa persona”.
Entrai dentro e m’informarono di che cos’era successo quella mattinata: sei dei duecento guerrieri che pattugliano i dintorni del nostro villaggio erano stati trovati morti assieme ad altri due guardiani. Se non fosse stato per il raccapricciante ritrovamento di Fsad, tutti gli altri omicidi avrebbero fatto pensare che fossimo sotto attacco, ma anche gli Shamani erano convinti che si trattasse di questioni e problematiche interne, non c’era da allarmarsi troppo. Chi aveva ucciso Fsad aveva agito con rabbia, mentre non era avvenuto lo stesso con i sei guerrieri e i due guardiani. Era come se l’assassino fosse stato visto e non avesse avuto scelta… i sospetti ricadevano su qualcuno che attualmente non doveva essere al villaggio, l’assassinio probabilmente si nascondeva tra gli uomini partiti in guerra per Mapalia! Appena uscii dalla Grande Capanna vidi Numloc accorrere verso di me: “Devi venire a vedere!”.
Gli chiesi cosa dovevo vedere ma lui era troppo confuso, quasi spaventato: “Abbiamo rinvenuto la testa di Fsad e...”.
“E… cosa!?” urlai. Poi però abbassai lo sguardo, era inutile che mi arrabbiassi, non serviva.
“L’assassino ha lasciato un messaggio per te e me” mi disse sconsolato.
“Che cosa stai dicendo, spiegati meglio Numloc, che messaggio?!”
“Lo vedrai con i tuoi occhi, appena raggiungiamo le capanne del Sud, chi lo ha ucciso sapeva dove Fsad si allenava e dormiva, è più inquietante di quanto pensi. Capirai quando vedrai il messaggio che l’assassino ci la lasciato”.
Raggiunte le capanne del sud, che mai così desolate e spopolate avevo visto, mi intrufolai nel vano-base dove, da quando avevo otto anni, vivevo e mi allenavo col resto della squadra. La testa di Fsad era stata accomodata su un tavolo porta armi che stava a ridosso di una delle pareti della capanna, il suo volto era sfigurato dal sangue che perdeva dal naso e dalle estremità delle labbra, notai che aveva le guance leggermente rigonfiate, come se in bocca custodisse qualcosa, guardai Numloc il quale a sguardo basso annui, la testa di Fsad aveva qualcosa tra i denti. Dovevo estrargli fuori dalla bocca il messaggio e così feci, la sua bocca era socchiusa e mi bastò poco per estrarre quello che sembrava una bandana corta, probabilmente usata come polsino, era totalmente imbevuta del sangue di Fsad, il che rendeva impossibile capire di che colore fosse. 
Numloc era dietro di me con una sorta di piatto in legno pieno d’acqua dove immersi quasi d’istinto la bandana. L’acqua diventò immediatamente rossa e la bandana riacquistò subito la sua tonalità blu. Fui colto da leggeri giramenti di testa e tanta voglia di vomitare: “Era stato proprio Fsad a scagliare la freccia che ha ucciso uno dei due uomini blu, ricordi Numloc?” “Certo che ricordo” mi rispose stringendo i denti e io ripresi il discorso: “Ora probabilmente il suo amico vuole vendicarlo e darci una lezione di vita ma gliela do io la lezione di vita!”
Non finii di parlare che sentimmo come un sasso lanciato sul tetto della nostra capanna, un rumore strano e la speranza si riaccese all’istante, forse il nemico era nei paraggi, accorsi fuori e ciò che era stato lanciato sopra il nostro tetto era una palla incendiaria, il fuoco divampò nelle famose capanne a schiera del Sud e centinaia e centinaia di schiavi accorsero a spegnere le fiamme. Sentii la direzione in cui il nemico correva così decisi di rincorrerlo, lo avrei raggiunto e pedinato! Tutto il suo villaggio l’avrebbe pagata!
“Eccoci di nuovo nella foresta, io e te”, pensavo. Correva forte tra albero e albero, schivava i rami con immensa bravura ma non me lo sarei fatto sfuggire. A tratti rallentava per poi riprendere, aveva fretta, come se dovesse annunciare a qualcuno quello che aveva fatto... la situazione poteva farsi molto pericolosa se vi fossero stati altri guerrieri. Mi impegnai a pedinarlo per sei giorni, finché, in un pomeriggio di sole, giungemmo in un posto della foresta incredibilmente silenzioso, questo mi costrinse a prendere le distanze per non farmi udire. Il nemico era fermo in piedi, i raggi del sole penetravano tra gli alti alberi e lo andavano a baciare in fronte, sul volto… teneva gli occhi chiusi, era concentrato, voleva percepire ogni movimento causasse suoni, io ero disteso e totalmente immobile sul suolo erboso e cespuglioso ai piedi degli alberi qui onnipresenti.
“Tornatene al tuo villaggio ed avvisa tutti che un imponente esercito di seimila borbundi e mille guerrieri di Mapalia vi piomberanno addosso fra dieci giorni. Non vengono per schiavizzarvi ma per cancellarvi dalla faccia della terra!”.
Udii passi umani nella foresta, guerrieri borbundi e guerrieri di Mapalia comparivano alle sue spalle, lui li salutò e scomparvero nel nulla, lasciandomi immobile a riflettere su quello che mi aveva detto. Poi mi alzai in piedi, impiegai quattro giorni a tornare a casa e dar l’allarme.
Bromak decise subito cosa fare:
“Evacueremo il villaggio se serve, risponderemo con trappole ed ogni altra risorsa che abbiamo a disposizione, intanto ho già spedito messaggeri per far ripiegare l’esercito dal fronte contro Mapalia.”
Gli chiesi: “Quindi cesserà l’assedio al villaggio di Mapalia?”
“Sì e probabilmente sarà una ritirata frettolosa, moriranno molti nostri guerrieri”.
“Ma serve che si ritirino tutti?” gli domandai.
“Tutti!!! vorresti che ne lasciassimo metà giusto per il piacere di farsi massacrare?!”.
Aveva un’espressione infuriata ma le cose dovevano ancora peggiorare per me. A meno due giorni dall’arrivo del nemico le nostre sentinelle ci riferivano che la foresta era serena e non si vedevano eserciti nemici nei paraggi, poi consolavano donne e bambini, riferendo il numero dei guerrieri già ritornati dal fronte per la difesa!
Al fatidico decimo giorno metà del nostro imponente esercito era già rientrata e l’altra metà era di ritorno, in ritirata. Erano affaticati, il viaggio d’andata verso Mapalia era stato lungo e quello di ritorno frettoloso e veloce, le sentinelle erano state raddoppiate per il giorno e triplicate per la notte, ma niente, neanche l’ombra del nemico.
Fu come sempre Bromak a prendere parola:
“L’assedio a Mapalia ha avuto un prezzo, 266 guerrieri persi e poco più di 50 guerrieri di Mapalia uccisi, deludente come risultato visto le enormi energie dispiegate in campo, non credete?” Era sul palco e si riferiva al pubblico.
“Sono passati cinque giorni da quando il nemico avrebbe dovuto attaccarci, ma io non li ho mai visti questi nemici. Qualcuno di voi a parte Sirio li ha mai visti?!”
Qui si alzò il chiasso tra il pubblico e voleva dire solo una cosa, la comunità mi riteneva responsabile.
Salii sul palco, la situazione peggiorava di secondo in secondo, finalmente il “grande Sirio” aveva smesso di fantasticare sulla sua carriera e capiva quanto possano costare stupidi sogni di gloria e onori: “Il mio compagno Fsad e altri sei guerrieri e due guardiani hanno perso la vita per opera di un uomo vestito di blu, un uomo che otto mesi fa incontrammo a molti giorni di distanza da qui nella folta foresta”.
Bromak mi guardò: “Sappi che ti stai condannando da solo, continua”.
Iniziavo ad aver davvero paura: “Quest’uomo blu non si è mai rassegnato all’idea di vendicare un suo simile che noi abbiamo freddato”.
“Sì, la conosciamo la storia, fatto sta che sapeva chi siamo, la domanda è come faceva a sapere chi siamo e dov’è situato il nostro villaggio? Poi come faceva a sapere che eravamo vulnerabili perché impegnati in guerra?”
Proprio in quel momento comparve il Divino Shamano che ordinò: “Accompagnate Sirio nelle gabbie dell’ovest!”.
Mi sentii afferrare per le braccia dai guardiani, mi stavano conducendo verso le gabbie, cercai tra le facce del pubblico quella di Numloc, ma non la vedevo, alzai gli occhi al cielo, era periodo di piogge.  
Un fulmine tuonò di colpo, ed io aprii gli occhi.
Accanto a me c’era il dott Roberto: “Devi tenere gli occhi chiusi se vuoi che la terapia funzioni” mi sussurrò all’orecchio, ed io, dal canto mio, non potei fare altro che chiudere di nuovo gli occhi ed alzare il pollice.

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