Fuga dagli aknesi VI

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Passarono giorni e giorni, avevo perso pure il conto, la fuga mi stava lentamente uccidendo, ero pieno di morsi di insetti stranissimi, mi prudeva il corpo e l’aria era difficile da respirare. Farsi spazio e aprirsi il percorso in una foresta così fitta mi sembrava impossibile. Finalmente giunsi in un punto in cui il torrente diventava un grosso fiume. Scorsi una meravigliosa cascata, era sicuramente la cascata di cui mi parlava Mapal; notai del fumo elevarsi verso il cielo, un uomo stava cucinando pesce appena pescato, mi avvicinai con calma. Piano … piano … ricordavo che Mapal diceva che si riconosceva che era lui dal color blu molto presente nel suo corpo, tanto quanto il rosso nel corpo degli aknesi. Mi avvicinai lentamente, come quando ci si avvicina ad una preda, ci stavo impiegando moltissimo tempo e quando fui abbastanza vicino da scorgere bene quell’uomo notai davvero che corrispondeva alla persona di cui parlava Mapal, era altissimo e il color blu prevaleva sul suo corpo, era affascinante, mi avvicinai ulteriormente sempre nella fitta vegetazione, non sapevo cosa fare, se chiamarlo o meno, e se si fosse spaventato? non riuscivo a vederlo in volto, aveva la schiena rivolta verso di me.
“Ragazzo, perché stai nascosto tra i cespugli?
Siediti e mangia con me, sono due giorni che ti osservo e non ti ho mai visto mangiare come si deve”.
Ero affamatissimo e lui stava cuocendo tre pesci molto grandi: era proprio lui quell’uomo buono di cui parlava Mapal. Assunsi un’espressione incredula, parlava a me! Mi avvicinai lentamente, lui respirava calmo, era molto sereno e rilassato.
Ero felicissimo ma ancora spaventato, troppo spaventato, tanto da non parlare, a malapena ero riuscito a ringraziarlo per la cena. Dopo mangiato stavo molto meglio, ed era ora di fare conoscenza approfondita con costui. Mi aveva chiesto come mi chiamavo e che cosa mi portasse lì, gli risposi prontamente di chiamarmi Nanco e che a condurmi da lui era stata la disperazione, gli avevo raccontato tutta la mia storia e lui ne era sembrato fortemente commosso tanto da promettermi che tutto da ora in poi sarebbe andato solo per il meglio. Passai due giorni interi sdraiato sull’amaca in attesa che le creme curative facessero effetto. Il terzo giorno stavo già meglio, i morsi e quei fastidiosissimi tagli non c’erano quasi più, avevo molta fame, e il Maestro Hymsa mi chiese se sapevo usare l’arco. La domanda più bella che una persona potesse farmi in quel momento! Era ciò che mi piaceva fare, più piccolo e distante era il bersaglio meglio miravo. Poi aveva aggiunto: “Andiamo a pesca Nanco? Ti insegno, se vuoi.”
Io risposi, sicurissimo: “Maestro, so pescare con l’arco.”
Arrivati al fiume il Maestro mi aveva letteralmente spiazzato, la sua mira era divina, non solo riusciva a prendere i pesci con estrema facilità, ma li trafiggeva sempre nello stesso punto, era un punto vicino alla testa, riteneva che colpendoli lì soffrissero meno. Mi aveva detto: “I muscoli hanno memoria, esercitandoli nel giusto modo si può eccellere in quello che si fa. Tutto è possibile”.
Così non ci era rimasto altro se non cuocere il pescato e mangiare, mi parlava spesso del suo villaggio, lo descriveva come il paradiso in terra: una capsula gioiosa di sopravvivenza nella foresta, un ambiente armonioso studiato e fortissimamente voluto dai suoi abitanti. Anche se non riuscivo a fidarmi completamente, mi rendevo conto che il Maestro trasmetteva serenità, potevo tranquillamente rotolare per terra dentro la capanna mentre lui meditava. L’aria era fresca, aveva da poco ripreso a diluviare, a parte il mangiare e assistere al maestro mentre meditava c’era ben poco altro da fare. Mi ripeteva che un giorno avrei potuto benissimo meditare anch’io, ma me lo dovevo sentire dentro quando era ora. Lui sarebbe stato felicissimo di insegnarmi i principi della meditazione. Inizialmente non fui interessato, l’argomento mi puzzava di fede, e gli aknesi mi avevano fatto passar la voglia di qualsiasi tipo di religione.
Cominciai ad interessarmi un po’ di più quando mi parve di capire che questa meditazione desse agli umani dei “poteri maggiori”, stando alle parole del
Maestro, così, desideroso di saperne di più, gli posi la domanda: “che grandi poteri può trarre un uomo dalla meditazione?”
Lui stupito mi aveva risposto: “Mi dispiace se ti deludo, ma io so solo che con la meditazione un uomo perde rabbia, ansia, paura, rancore e così via. Facendo questo, cioè lasciando andare rancori e paure, scopriamo la nostra vera essenza. Ma attenzione, rilasciare la rabbia non significa che bisogna far finta di niente e cantare, se c’è rabbia in noi è perché siamo anche rabbia, non solo gioia o divertimento, accettando questa nostra natura si può lavorare su sé stessi, altrimenti si sta lavorando su qualcun altro che a quanto pare non è mai stato arrabbiato. Ti sarà già capitato, a tutti la vita pone ostacoli inaspettati in un momento di paura o rabbia, e spesso reagiamo, a pensarci bene, in modo patetico: urla, bugie, pipì addosso, scenate... Osserva: se avessi eliminato in quei momenti le tue paure o la tua rabbia come avresti reagito? Che cosa avrebbe comportato un atteggiamento più puro, che cosa sarebbe nato in quelle circostanze se la tua risposta non fosse dipesa dalla paura o dalla rabbia? Senz’ombra di dubbio saresti stato più te stesso, e non ne hai colpe, hai solo da perdonarti e migliorare giorno dopo giorno, anche solo di pochissimo, ma tutti i giorni.”

Aknesi-La favola dei cattivi. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora