Capitolo 5

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Sta mattina il risveglio è stato traumatico. È ancora l'alba e già abbiamo finito di fare colazione. Osservo di sottecchi Detroit che è intento a parlare con una ragazza, la stessa che ieri sera ha sparato al Notturno. Pensavo che dopo la confidenza che Detroit mi ha fatto ieri sera le cose tra di noi sarebbero migliorate, invece ancora non mi ha rivolto nemmeno la parola.

Abbasso lo sguardo sul mio piatto. Sposto le uova strapazzate con la forchetta, mangiandone un po' di tanto in tanto mentre mi concentro sulla loro conversazione.

So che è maleducazione ma nel nostro mondo ormai non esiste più l'educazione, il rispetto e tanto meno delle regole. Non riesco a capire di cosa stanno parlando, le loro voci arrivano al mio orecchio come un bisbiglio.
Detroit si gira verso di me, abbasso lo sguardo sul mio piatto, sentendomi colta in fragrante.
Stranamente non dice niente. Quando inizia nuovamente a parlare con la mora al suo fianco tiro un sospiro di sollievo e finisco di mangiare.

«Andiamo» afferma alzandosi appena poso la forchetta. Annuisco.
Inizia ad incamminarsi verso l'uscita venendo subito affiancato dalla mora.
Resto in silenzio e li seguo a qualche metro di distanza mentre la mia mente mi tempesta di domande.
Quando entriamo nel capannone dove si fanno gli allenamenti.
Rispetto all'altra volta c'è gente impegnata nell'allenamento. Chi tira coltelli al bersaglio come se stesse giocando a freccette, chi spara, chi corre.
Riconosco Austin, Il ragazzo che aveva messo fine al nostro allenamento la scorsa volta. È concentrato, la fronte imperlata di sudore è corrucciata, un occhio è chiuso per prendere la mira prima di tirare. Il coltello si pianta al centro del bersaglio.

«Devi stare attenta» afferma con voce autoritaria Detroit mentre schiocca le dita davanti al mio viso, ridestandomi dai miei pensieri.

«Oggi ti allenerai di nuovo nella lotta a corpo libero ma con lei» fa un cenno del capo verso la ragazza al suo fianco. Ecco ora tutto si spiega. La ragazza mi sorride e si avvicina a me. I suoi occhi scuri mi scrutano dall'alto in basso, come se volesse studiarmi. Ricambio il sorriso anche se dentro di me vorrei morire. Il mio corpo è ancora tempestato da vari lividi e qualcosa mi dice che le femmine sanno essere più spietate dei maschi.

«Piacere California ma puoi chiamarmi Cali» mi porge la mano. La afferro «Malibù» mi sforzo di sorridere. Stringe la mia mano, che sembra quasi stretta in una morsa.

«Forza sul ring» esclama Detroit battendo le mani. La ragazza si stacca da me e con agilità scavalca le corde che delimitano il ring. Inspiro a tutti polmoni per poi far uscire l'aria, come se così potessi portare via anche parte della mia tensione.
Vado al centro della pista, proprio davanti a lei e mi metto in posizione di difesa.
California attacca per prima con un pugno che per fortuna riesco a prevedere.
Attacca altre una, due, tre volte... Finché non finisco a terra.
Dalle mie labbra esce un mugolio di dolore, che non riesco a trattenere, quando la mia schiena si scontra con il pavimento.
Cali si avventa sopra di me bloccando ogni mio movimento. I capelli scuri le ricadono sul volto sgraziatamente, invece che lisci e ordinati sulle spalle, le sue mani stringono i miei polsi e la sue cosce le mie gambe. Fa un piccolo sorriso prima di alzarsi da me. Mi porge la mano per aiutarmi a tirarmi su ma io non la afferro. Mi alzo. La mia schiena mi urla di fermarmi ma io non sono pronta a farlo.
Mi passo una mano sulla fronte imperlata di sudore e mi rimetto in posizione di difesa.
Faccio un cenno del capo verso Cali per invitarla a combattere e lei non se lo fa ripetere due volte.
Succede la stessa cosa... Io stesa a terra indolenzita e lei trionfante sopra di me. Ma non mi arrendo. Devo migliorare, devo imparare a vivere in questo mondo, l'ho promesso a mamma.
Combattiamo ancora tante volte e il risultato è sempre lo stesso.
Ormai tiro colpi a caso, in preda all'esasperazione, la maggior parte di essi vanno a vuoto ma uno, uno la colpisce nel costato. Devo aver trovato il suo punto debole perché Cali rotola per terra facendomi vincere.
Il suo sguardo è puntato su di me, i suoi occhi scuri mi fulminano e io in risposta sorrido.
Si divincola sotto la mia presa senza riuscirsi a liberarsi.

«Ora lasciala andare» la voce profonda di Detroit mi fa sussultare. Mi giro verso di lui e noto che mi sta guardando.
Sul suo volto c'è l'ombra di un sorriso.
Sospiro e lascio andare Cali. Si alza velocemente e si passa le mani sugli stretti pantaloni neri.
Cammina sicura fino alle corde del ring, le scavalca, arrivando davanti a Detroit. Gli dice qualcosa all'orecchio puntando lo sguardo su di me e dopo avergli posato un bacio sulla guancia se ne va.
Vorrei tanto sapere che cosa gli ha detto.
Detroit si avvicina a me, sulla guancia ha stampato il segno rosso del bacio.

«Dobbiamo lavorare sul gancio sinistro e sulla tua gamba destra, è troppo lenta, è il tuo punto debole»

Sospiro e annuisco. Sono consapevole di essere piena di punti deboli e questo mi fa sentire terribilmente affranta.
Iniziamo questa seconda parte di allenamento, solo io e lui. Questo mi fa tirare un sospiro di sollievo ma allo stesso tempo sono tesa per paura di fare una figuraccia davanti ad altri membri di Bluestone.

La mia mano sinistra è stretta in un pugno, faccio un grosso respiro prima di tirare.

«Di nuovo» urla. E questo si ripete come in un loop infinito. Non mi fermo ne protesto perché desidero fermarmi, con tutta me stessa.
Sposto il peso sull'altra gamba mentre continuo a tirare ganci con il braccio ormai indolenzito, finché la voce di Austin blocca il mio pugno a mezz'aria.

«Ti sfido bionda» mi giro verso di lui, incredula per quello che ho sentito. Passo lo sguardo sul suo corpo statuario. Le spalle sono larghe come il piccolo armadio che conteneva i trucchi nella mia camera, dalla canotta sbiadita si vedono le braccia muscolose e il ghigno che aleggia sul suo volto non prevede niente di buono. Salta e con un balzo afferra sul ring a qualche passo da me, facendomi sussultare. Mi scruta con i suoi occhi cristallini, inclina la testa di lato facendo una smorfia.

«Hai paura?» sussurra e dalla sua espressione sembra incredulo.

Scrollo le spalle. «No» affermo imponendomi di sembrare forte e decisa.
Mi vengono in mente le parole di papà quando mi stava improntando una nuova educazione per come vivere in questo mondo e più precisamente a Bluestone.
Non avere paura, mi aveva detto tendo le mani salde sulle mie spalle. Non farti vedere spaventata perché i Bluestone fiutano la paura, sono programmati per questo.
Rabbrividisco al solo pensiero che sia stato lui, mio padre a fare questo a tutti loro.
Non è giusto scegliere la vita per gli altri, senza il loro consenso.
Non è ammissibile obbligare le persone a un destino predefinito.
Non è accettabile che lui abbia messo in pericolo me e la mamma.
Scuoto la testa come se bastasse questo ad allontanare i miei pensieri.
Indietreggio di qualche passo e mi metto in posizione di difese sfidandolo con lo sguardo.

«Coraggiosa» afferma lui sorridendo. Si avvicina a me. Anche se non mi ha ancora toccato con un dito sto già tremando.
Provo a colpirlo esattamente come ho fatto con California poco fa ma non funziona e cado tra le sue forti braccia.
Mi tiene stretta a se ma senza fare nessuna pressione.
«Ma il coraggio non basta» sussurra al mio orecchio, un istante prima di buttarmi per terra. Procurandomi un dolore lancinante alla schiena.

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