Racconto II. Solo nei sogni

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Il letto si inclinò sotto un peso e Arodel aprì gli occhi, o almeno ci provò fino a metà. Il necessario per vedere la padrona di casa piantarle una pistola alla fronte, con aria scocciata.

«Trentotto e cinque» borbottò Hannah e posò la pistola lontano dalla vista. Armeggiò con qualcosa di metallico e plasticoso per poi si ripresentarsi con un bicchiere d'acqua e una compressa. «Prendi del paracetamolo, anche se non te lo meriti».

Arodel accettò quanto offerto, senza fare altro sforzo se non quello di mandarlo giù. Aveva la testa che pulsava, l'aria della stanza era gelida sul viso e Hannah disse altro, ma non era nulla di distinguibile.

Forse le stava ripetendo che se lo meritava, dopo una notte di bagordi nel bosco con un re di Faerie appena conosciuto. O forse stava brontolando per tutt'altro.

Fatto stava che qualsiasi cosa Hannah avesse da dire aveva scarsa importanza, perché Arodel scivolò di nuovo in un sonno senza sogni.

Ogni tanto, Hannah ricompariva per borbottare e infilarle cucchiaiate di brodo in bocca. Altre volte, le misurava la febbre con aria scocciata.

Ma, una volta, il letto si piegò sotto un peso diverso da quello che Arodel aveva imparato a riconoscere. Sollevò a fatica le palpebre, la testa che pulsava come a ogni risveglio, nella speranza che chiunque fosse apparso valesse la pena di tutta la fatica che stava facendo.

«La situazione è davvero grave, allora».

Era familiare e benefica la voce che penetrò la nebbia nella sua testa. Richiuse gli occhi, cullata da un –falso!– senso di sicurezza nel riconoscerla.

«Thranduil».

Non poteva essere altro che un sogno.

Una mano si posò sulla sua fronte, benefica come la sua voce, e le scostò i capelli appiccicati dal sudore, per poi scendere a prenderle la guancia.

«Avresti dovuto avvisarmi» mormorò lui, accarezzandogliela e diradando altra di quella nebbia.

Arodel riuscì persino ad aprire del tutto gli occhi, fino ad ammirare il suo viso concentrato su di lei.

In quel sogno, Thranduil non vestiva abiti sfarzosi come l'altra notte, né la corona, ma nessuno avrebbe osato confonderlo per niente di meno di ciò che era: un re di Faerie, con le spalle e la schiena dritte, dagli zigomi arroganti, il mento appena sollevato nel guardarla distesa sul letto nel suo stesso sudore e nel pigiama che non toglieva da giorni.

E al momento lei non si sentiva molto all'altezza della sua presenza.

«Perché avrei dovuto? Sono le conseguenze della pioggia che ho preso» gli disse, la mente abbastanza lucida per ribattere. «Non capisco perché il tuo tocco sembri farmi stare meglio. È un'illusione?»

Thranduil sorrise. «Perché non c'è niente di comune in questa febbre. Sono l'unico che può fare qualcosa per fartela passare».

Arodel recepì quelle parole, ma non fino in fondo, perché lui si chinò su di lei e premette le labbra sulle sue.

Dubitava che avesse bevuto vino prima di visitarla, sogno o realtà che fosse, ma il primo sapore che ritrovò nel baciarlo fu proprio quello. Poi le sue narici si riempirono dei profumi della foresta, della corteccia e della resina degli alberi, la terra umida di pioggia, l'odore verde delle foglie.

In compenso lei, dopo chissà quanti giorni di febbre, doveva essere vomitevole.

Arodel aprì gli occhi e girò la testa di lato, premendogli le dita sulle labbra, calde e morbide.

Fae, amore e brughieraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora