Cap. I "Minho"

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Minho spalancò gli occhi, balzando a sedere sul letto, sulle labbra vibrava ancora l'eco di una parola <...mma> . Una lacrima gli percorse la guancia mentre gli ultimi frammenti del sogno si disperdevano nella la luce rossa del tramonto. Scosse la testa per destarsi del tutto, appoggiando i piedi nudi sul soffice tappeto accanto al letto. cercò di alzarsi , ma le gambe non lo ressero e si accasciò a terra. I ricordi del sogno, ancora vividi, gli danzavano irrisori dinnanzi allo sguardo. Sentì in lontananza gli echi di un'ambulanza e rabbrividì perché quel suono faceva parte anche del suo incubo. Guardò l'ora sullo schermo della sveglia: erano già le venti e trenta ; doveva sbrigarsi per arrivare puntuale alla sua prima lezione di arti marziali. Si chiese come avesse potuto dormire per così tante ore, forse erano i residui di stanchezza dovuti al viaggio di ritorno dall'America. Si alzò da terra appoggiandosi alla sponda del letto e accese la luce. osservò distrattamente i vestiti sparpagliati attorno alla valigia semiaperta. Da quando era tornato a casa non era ancora riuscito a sistemare la sua stanza. Cercò la sua divisa di kung fu e la appoggiò sopra il letto con cura. Prese anche la cintura marrone, ripiegata nella sua custodia di plastica e sorrise con tristezza, rammentando la cena di addio che suoi compagni di arti marziali gli avevano organizzato il giorno prima della sua partenza per la Corea. Chissà se li avrebbe rivisti ancora, sicuramente sarebbe tornato a trovarli e soprattutto a salutare il suo maestro di kung fu. Ora che era ritornato, per via della salute cagionevole del padre, aveva deciso di frequentare la palestra dove, durante la sua infanzia e adolescenza, aveva imparato i primi rudimenti di kung fu. Aveva intenzione di riprendere le lezioni e raggiungere la cintura nera. Si tolse la maglietta bagnata dal sudore e prese l'accappatoio, dirigendosi in bagno. La luce danzò riflettendosi sulla pelle lucida della schiena. Sarebbe riuscito a realizzare il suo sogno: aprire una sua palestra e insegnare le arti marziali, educare gli allievi a una disciplina, insegnare loro a conoscere se stessi, a mettersi in gioco, condividendo con loro sconfitte e vittorie. Minho sentì il cuore riscaldarsi a quel pensiero. la doccia gli rilassò le membra tese e il dolore tornò a nascondersi nel profondo del suo io, lasciando emergere nuovamente la sua natura solare.

 la doccia gli rilassò le membra tese e il dolore tornò a nascondersi nel profondo del suo io, lasciando emergere nuovamente la sua natura solare

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Minho chiuse gli occhi assaporando la brezza frizzante della sera rinfrescargli il viso. dopo aver abbandonato la macchina giù al parcheggio si era diretto a passo spedito lungo i vicoli che portavano fino alla palestra di kung fu. Sorrise osservando i muri sbrecciati delle case, l'asfalto della strada in pessime condizioni, le erbacce ai lati della via, la luce gialla e fioca dei lampioni pendenti qua e là agli angoli delle case. Non sembrava vero che nella periferia di Seul potesse esistere un quartiere così malandato. Eppure proprio in quel quartiere aveva sede una delle più rinomate scuole di arti marziali della capitale: Shinjitsu (in giapponese Verità). Il nome era stato scelto dal suo maestro fondatore di origini giapponesi, insegnate dell'attuale maestro, Ujio anche lui giapponese. Nonostante la loro origine, nella palestra venivano insegnate le arti marziali cinesi. Il maestro fondatore infatti aveva appreso il kung fu in una scuola tradizionale in Cina. Minho continuò a salire mentre i ricordi della adolescenza riaffioravano: oltrepassò la finestra della nonnina bisbetica chiedendosi se fosse ancora viva e il giardino di rose, lo stesso di prima, infine raggiunse la scalinata che conduceva direttamente al cancello della palestra. Gli parve quasi di vedere sua madre sorridente mentre gli raccomandava di stare attento e gli carezzava i capelli . Si fermò un attimo scuotendo la testa con amarezza, poi proseguì fino a raggiungere il cancello in ferro battuto leggermente socchiuso. Prima di varcarlo si fermò a osservare attraverso le sbarre il giardino dinnanzi all'edificio della scuola. Non sembrava fosse cambiato nulla nei 10 anni trascorsi, i vialetti in porfido, le aiuole di erbe aromatiche, il laghetto con i pesci rossi, la stessa meticolosa cura, la stessa sobria bellezza. Al momento era deserto, gli allievi dovevano ancora arrivare, ma sicuramente c'era già il maestro, a giudicare dal lampione acceso di fronte all'atrio. doveva essere parecchio invecchiato, pensò.

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