Cap. X "Un prezzo per vincere"

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Daegil si alzò presto come di sua consuetudine, praticò gli esercizi trasmessogli dal maestro Che-gun e verso le sei e mezza si recò in cucina per prepararsi la colazione: un bella tazza di te macha nel latte di riso e del pane spalmato con la marmellata delle sue ciliege.
Dopo aver sistemato la bassa tavola costruita dal padre si sedette a terra su un cuscino, guastando il dolce sapore dei suoi frutti.
Non poté evitare di ripensare al breve messaggio ricevuto il giorno dalla figlia di Ujio. Le uniche concise parole erano state: <ci vediamo domani sulla piana di montagna, tu sai quale, alle otto del mattino. Porta la spada>.
Sorrise, sentendo un brivido di eccitazione attraversargli la schiena, erano stati allievi dello stesso maestro, senza tuttavia conoscere l'esistenza l'uno dell'altro, ed ora entrambi desideravano fronteggiarsi per sapere quale fosse il migliore.
In verità non era per nulla certo di vincere, ricordava assai bene la dimostrazione di Hinata, il giorno dell'Hangeul day, la potenza delle sue mosse, la micidialità dei suoi movimenti, leggiadri, come si confaceva ad una donna, ma altrettanto letali.
Forse non era nemmeno sicuro di voler vincere, gli bastava solamente scontrarsi con lei e saggiare di persona la sua tecnica: sarebbe stato il loro primo bizzarro appuntamento.
Il pensiero lo infervorò ancor più, non poteva negarlo, quella ragazza gli piaceva, come mai fino ad ora era successo. C'era qualcosa di lei che lo attraeva come il ferro ad una calamita. Oltre alla la sua delicata bellezza, quasi fosse di porcellana, c'erano quegli occhi grandi, penetranti, infuocati. Scosse la testa, sentendo i battiti nel petto accelerare, era meglio se rimaneva concentrato, altrimenti non solo avrebbe perso miseramente contro di lei, ma avrebbe fatto la figura dell'idiota e ciò era proprio quello che voleva evitare.

Si alzò da terra rimettendo a posto il cuscino e la tavola e, mentre portava il piatto in cucina, pensò che prima di andare all'appuntamento, avrebbe potuto fare un salto alla tomba del padre, per raccontargli di lei. Sarebbe stato assai contento il suo vecchio se avesse saputo che si era innamorato. Inoltre la tomba di suo padre si trovava proprio lungo a strada che menava alla piana, quella larga e maestosa spianata in cima alla montagna dove il maestro Che-gun aveva insegnato loro a combattere. Con la bicicletta, considerata la sosta alla tomba del padre, ci avrebbe messo un ora esatta, sarebbe arrivato giusto in tempo.
lavò i piatti della colazione, lasciando tutto in perfetto ordine e andò in camera sua per infilarsi la divisa.
Prima di uscire prese la katana dal suo piedistallo, l'ultimo regalo del suo maestro.

Si inoltrò nella campagna seguendo un viottolo asfaltato con la bici. Il vento gli gonfiava i capelli sciolti facendoli danzare attorno al viso, mentre il paesaggio attorno a lui scorreva illuminato dai raggi del sole nascente. Le ruote scivolavano sull'asfalto sbrecciato, circondato ai lati da folte erbe aromatiche. Il profumo di foglie bagnate si fondeva con quello dell'erba, non appena passava sotto i rami sporgenti dei frassini.
Ad un tratto la stradina prese a salire inerpicandosi lungo il versante della montagna, le pedalate si fecero più sostenute, fino a che sulla sinistra vide snodarsi uno stretto tratturo disseminato di pietre e ginestra.
Daegil posteggiò la bici e si avviò a piedi facendosi largo tra la vegetazione.
Dopo circa cinque minuti raggiunse una larga radura tra gli alberi disseminata di lapidi abbandonante.
In quel vecchio cimitero aveva sepolto suo padre.
Tra alle altre lapidi divorate trai licheni, la sua spiccava, bianca, dritta, coronata di fiori; le sedette dinnanzi, versando in omaggio una bottiglia di soju.
La sua voce si perse tra le folate di vento che carezzavano le chiome dei larici attorno.

Riprese ad arrancare con la bici lungo la ripida salita, sarebbe arrivato leggermente in anticipo. Ma quando raggiunse la piana, un vasto prato aperto su ogni lato sull'orizzonte sconfinato, lei era già là e gli dava le spalle.
Il vento le sollevava i capelli giocando con le ciocche come fossero fronde fiorite, le curve perfette del suo corpo in controluce col paesaggio retrostante, illuminato dal sole del mattino, slanciavano ancor più la sua figura, rendendola quasi irreale. La cintura di un nero lucente, che le stingeva la vita, le svolazzava attorno intrecciandosi con le lunghe ciocche dei suoi capelli. Ebbe quasi il timore che si voltasse, che lo prendesse alla sprovvista rivelando la sua bellezza.
E così avvenne...

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