CAPITOLO 104

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Avevo perso il segno del passare del tempo oramai da troppo.
In quel regno di ghiaccio tutto era cristallizzato, bloccato in un momento. Come se l'intera natura stesse trattenendo il respiro.
L'unico segno che ancora scandiva il passare del tempo era il bruciore crescente del simbolo dei Rasseln. Senza quello, tutto ciò che mi circondava sarebbe potuto essere un sogno. O meglio, un incubo.

Vagavo a zonzo nell'isola, senza meta, circondata da un paesaggio costantemente uguale. Come se stessi camminando senza mai realmente avanzare. L'unica cosa positiva era che oramai gambe e braccia avevano ripreso il loro normale funzionamento, ma l'astinenza al Gyft e l'angoscia che mi opprimeva lo stomaco mi rendevano nauseata.

Gideon mi aveva sempre seguita da dietro, senza mai emettere un suono, mentre Aerin, che mai si sarebbe separata dal figlio, aveva deciso di seguirlo, punzecchiandomi spesso con dei commenti che avevo smesso di ascoltare da non sapevo più quando.

Improvvisamente un attacco di tosse mi scosse lo sterno, obbligandomi ad appoggiarmi ad un tronco per rimanere in piedi.

«Sto ben-» feci per dire, immaginandomi già la domanda di Gideon.

Domanda che, però, non arrivò mai.

Mi girai nella loro direzione: non c'era nessuno. Erano scomparsi.

Un brivido mi scosse le ossa. Questa volta non era né per il vento gelido, né il Gyft, ma per la paura.

Iniziai a gridare i loro nomi finché la gola non riprese a bruciarmi, ma non rispose mai nessuno.

Un altro colpo di tosse mi obbligò a tacere. Questa volta avevo sputato sangue.

Eccolo, il mio segno personale dello scorrere del tempo. Ma non ce ne era bisogno. Sapevo quanto poco ne avessi ancora a disposizione.

Una figura indistinta nella coda dell'occhio attirò la mia attenzione.

Avvicinai automaticamente la mano all'elsa del pugnale. Gideon, alla Fonte, mi aveva detto che c'era qualcosa di strano in quella daga e non avrei dovuto estrarla mai più nel Regno dell'Altro Sole e, dal suo tono, era stato più che categorico.

Esitai, seppur mantenendo salda la presa attorno l'impugnatura. L'avrei estratta solo se necessario.

Ma poi la mia sicurezza vacillò. Da quand'è che avevo ricominciato a fidarmi di lui?
Non potevo davvero essermi lasciata illudere dai suoi sguardi preoccupati. Sapevo quanto bravo fosse a fingere.

Si, lo sapevo, eppure non estrassi comunque il pugnale, anche se ero ben consapevole che una mossa falsa sarebbe potuta costarmi la vita.

Un'altra ombra si allungò su pavimento ghiacciato, facendomi scattare sull'attenti.

Mi girai di scatto, lasciando che il vento mi sfilasse il cappuccio.

Avanzai qualche passo e un'improvvisa foschia iniziò a sollevarsi dal ghiaccio, fredda come il luogo che mi circondava.

Un'altra volta quella scia scura.

Ma questa volta la vidi. La vidi più che bene. Un immenso cervo mi si parò davanti. Così perfetto e trasparente sembrava una statua meticolosamente scolpita nel ghiaccio.

Mi fissava, immobile.

Mossi un passo, estraendo di qualche centimetro la daga dal fodero.

Ma il cervo saltò via, allontanandosi e fermandosi nuovamente a guardarmi.

Non mi ci volle molto a capire le sue intenzioni: voleva che lo seguissi.

Rilasciai lentamente la presa dal pugnale e lo seguii verso una zona dove la nebbia si era fatta molto più fitta.

Royal Thief IIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora