Ascolta una madre

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La mattina del secondo giorno dalla sera dell'incidente Carla si risvegliò.
Apparentemente, a parte un brutto colpo alla testa e una gamba rotta, era tutto a posto e il sorriso si era presentato sul suo volto più luminoso che mai.
Riaprendo gli occhi aveva trovato il marito e il figlio, e saperli tutti e due seduti in una stanza d'ospedale a vegliare su di lei l'aveva riempita di gioia, si era sentita in un certo qual modo protetta.
Ma dai loro volti stanchi e dalle occhiaie presenti sotto ai bellissimi occhi lucidi del figlio, aveva intuito che dovessero esseri stati un bel po' in pensiero, e questo l'aveva rattristata immensamente.

Ora però era lì, stretta tra le braccia di Eren, a guardare negli occhi il marito sorridente, seduto ai piedi del suo letto.
I due uomini rimasero a parlare con lei per tutta la mattinata, poi decisero di tornare a casa a pranzare e a riposare un po', dal momento che le sue condizioni erano decisamente migliorate.

Carla non era mai stata costretta a rimanere in ospedale per tanti giorni di seguito e, nonostante le avessero portato il computer e alcuni libri, si annoiava a fissare per tutto il tempo una stanza bianca, uno schermo bianco e delle pagine bianche.
Per non parlare dei mal di testa lancinanti che la colpivano ogni tanto durante la giornata, senza preavviso. Quando accadeva, solitamente le veniva somministrato qualche farmaco potente e si metteva a dormire.

Si era da poco svegliata da uno di questi sonni profondi quando bussarono alla porta della sua stanza.

- Avanti - invitò a entrare chiunque ci fosse dall'altra parte, aspettandosi di vedere un'infermiera, un medico o uno dei suoi due uomini.

Invece dalla porta bianca fecero capolino la testa bionda e il viso roseo di Armin, che in mano aveva un mazzo di fiori gialli e un pacchettino, contenente con grandi probabilità un libro.

- Ciao, Carla. Sono passato prima, ma stavi dormendo - disse il ragazzo entrando cautamente nella stanza.

- Ciao, Armin. Non mi aspettavo una tua visita... non da solo -

Armin arrossì leggermente: non gli era proprio passato per la testa di poter risultare inopportuno.

- Spero non sia un problema - aggiunse infatti senza osare un altro passo.

- Oh no, assolutamente - disse la donna facendosi forza sulle braccia e mettendosi a sedere, appoggiata al cuscino - Mi fa molto piacere -

Rivolse un sorriso rassicurante a quel ragazzo così gentile, temendo di averlo fatto sentire fuori luogo con quell'affermazione.

- Siediti pure se vuoi - aggiunse, indicando con un gesto della mano la sedia posta accanto al letto.

- Grazie - prima di sedersi, Armin le porse i fiori, che lei annusò socchiudendo gli occhi.

- Te l'ha detto Eren che il giallo è il mio colore preferito? - gli chiese, appoggiandoli delicatamente sulla coperta che le copriva le gambe.

- In realtà non lo sapevo, li ho presi perché mi hanno fatto pensare a te. In mezzo agli altri mi sono sembrati i più forti -

La donna si commosse nel sentire le parole dette da quel ragazzo che, nel corso dei mesi, aveva scoperto essere altrettanto forte. Non sempre ricordava che fosse orfano, e il motivo per cui era andato a trovarla poteva avere a che fare proprio con il fatto che sentisse la mancanza di una figura materna e ne avesse in qualche modo trovata una in lei.
Ma ovviamente non avrebbe mai osato dare voce a un pensiero simile, anzi, si pentì subito di una tale presunzione.

Armin si sedette e le allungò anche il pacchettino che aveva tra le mani.

- E' da parte di mio nonno, ti manda i saluti -

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