Tre mesi prima.

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I'll call out a name: your name
(just as you once called out mine)




I found a thought in my brain
Something I haven't seen in here for days
I watched it walk through my veins
Out through my fingertips, into the page.

Thoughts, Jacob Lee












Risponde la segreteria telefonica di Akutagawa Gin. Prego, lasciate un messaggio.

Beep.

"Gin. È notte fonda. Ho usato le ultime monete che avevo per chiamarti. Non dirlo allo zio, non voglio sentirmi giudicare debole e incapace da un uomo come lui."

Silenzio.

"Volevo dirti..." un sospiro, celato dal palmo della mano, "... niente, io-" la mano si strinse a pugno, "mi dispiace."

Silenzio.

"Non ce l'ho fatta. Non ancora- non so quanto tempo mi servirà, ancora." Aveva la gola secca, arida. "Non lo so. Non richiamarmi," le parole scivolavano amare sulla sua lingua, "non lo fare, non voglio sentire la tristezza nella tua voce."

Tossire non bastava a togliergli quel peso dal petto.

"Ti prometto che, un giorno, quando ti telefonerò ancora, avrò qualcosa di bello da dirti."

Silenzio.

Beep, beep, beep.










Tre mesi prima.

Nakajima Atsushi lo guardava da lontano, un po' come fanno i gatti con gli estranei.

Alle sette del mattino gli rivolgeva un'occhiata discreta, entrando con finta disinvoltura nel bar dove lavorava (e fin troppo spesso incespicava sulla scritta "welcome" del tappetino all'ingresso); alle quattordici, durante la pausa pranzo, fingeva di aver bisogno di fare due passi e sgranchirsi le gambe, ma il tratto di strada più lungo che gli avesse mai visto fare comprendeva sempre lui all'interno del suo campo visivo (e quel suo sguardo, discreto ma non troppo, indugiava sui suoi lineamenti ogni giorno per qualche secondo in più); quando arrivava l'orario di chiusura del bar, era sera e Nakajima Atsushi spesso non era di turno ma, quando capitava che si attardasse per aiutare con le pulizie, non era raro sentirsi quei suoi occhi bruciare addosso (e quello era il momento in cui il ragazzo tendeva a guardarlo con meno discrezione, come se la notte potesse celare al mondo le sue azioni).

Akutagawa Ryuunosuke, comunque, era abituato a sentirsi osservato. Centinaia di paia di occhi si posavano su di lui ad ogni ora del giorno, sia quando suonava che quando se ne stava semplicemente lì, seduto in quell'angolo della strada, con le mani nelle tasche della giacca scura e l'aria di qualcuno che non ha alcun interesse nel mondo.

Anche lui guardava Nakajima Atsushi da lontano, solo che la parte del gatto selvatico che non si fida degli estranei gli riusciva decisamente meglio. Per cominciare, non inciampava mai da nessuna parte (sarebbe stato difficile, dal momento in cui raramente lasciava il posto che occupava - come se qualcuno potesse rubarglielo, come se avesse marchiato il suo territorio), non aveva bisogno di nessuna scusa per guardarsi intorno, poteva farlo quanto gli pareva, e la sera era troppo occupato a controllare che le sue dita premessero sulle corde giuste, per preoccuparsi di osservare qualcos’altro (eppure, eccola lì, quell'occhiata furtiva che gli sfuggiva, di tanto in tanto, e si posava sul vispo ciuffo di capelli soffici che pizzicava lo zigomo del ragazzo, costringendolo ad arricciare il naso quando tirava vento).

i'll call out a name: your name 一 shin soukokuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora