Tre mesi dopo.

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Tre mesi dopo.

"Dazai, disgraziato, ti sembra il caso di ridere così? Sei un adulto ormai, comportati come tale!"

Kunikida stava perdendo ogni speranza, non c'era nulla che potesse fare con quell'uomo: avrebbe continuato a comportarsi come un bambino viziato e dispettoso persino sulla soglia dei quarant'anni, ne era convinto.

Se non fosse stato per il suo spiccato senso del dovere e per la responsabilità che il suo lavoro gli gettava sulle spalle (essere a capo di un'agenzia investigativa non è affatto una passeggiata, specialmente se devi avere a che fare con dipendenti raccomandati di quel tipo) probabilmente ci avrebbe rinunciato. Vedere un uomo adulto ridere così tanto da rischiare di soffocarsi, non era una scena particolarmente esilarante, per lui che si considerava una persona matura e con la testa saldamente fissata al collo.

Per cosa ridesse, poi, lo sapeva solo lui: non era divertente guardare un ragazzino fare il suo lavoro, nell'ottica di Kunikida.

"Ti aspetti davvero che un tale idiota ti dia ascolto?" Chuuya, dal canto suo, quella speranza che Kunikida stava perdendo, non l'aveva neppure mai avuta. "Guardalo, non so come tu faccia ad averci a che fare- io non gli affiderei nemmeno una tazzina da sciacquare."

"Ah, Chuuya..." Dazai si ricompose e finse di essersi offeso, mentre si asciugava le lacrime ai lati degli occhi, ancora l'ombra della risata sulle labbra, "... però non dicevi così, la scorsa notte."

Con questo, ricominciò a ridere (anche Kunikida avrebbe voluto ridere, ma era troppo imbarazzato per Chuuya che, nel giro di qualche secondo necessario per realizzare cosa fosse accaduto, era diventato rosso quanto l'insegna del fast food e aveva minacciato di riempire di botte Dazai fino a farlo tornare sano di mente - avrebbe dovuto dargliene tante, veramente tante, una quantità inimmaginabile).

Intanto, Akutagawa continuava in silenzio a svolgere il suo lavoro, fingendo disinteresse nei confronti del mondo e mal celando quanto si sentisse a disagio.

Mentre lasciava scorrere la bibita gassata in un bicchiere talmente grande che avrebbe potuto dissetare una persona normale per almeno tre giorni consecutivi, si chiese cosa ci fosse di così tanto divertente nel guardarlo prendere le ordinazioni, gestire la cassa e preparare i panini in quel fast food.

Come Kunikida, anche lui non ne aveva la più pallida idea. Era già troppo complicato gestire quell’assurda euforia che lo prendeva, quando si rendeva conto di avere un posto assicurato, uno stipendio basso ma fisso, la possibilità reale di reggersi sulle sue gambe e di camminare.

Dove, non lo sapeva ancora. Ma avrebbe camminato con la certezza di non cadere più e che, se anche in futuro dovesse succedere, ci sarà qualcuno a sedersi accanto a lui, sull'asfalto.

E forse, piano piano, ce l'avrebbe fatta, a sistemare anche tutte quelle cose che non riusciva a cambiare.

"Ryuu, dovresti sorridere un po'."

Atsushi se ne stava con i gomiti sul bancone, aspettando quello che gli aveva chiesto di preparare.

"Perché?"

"Perché se no i clienti ti scambieranno per la solita cassiera frustrata..." e rise anche lui, ma in maniera più contenuta e socialmente accettabile rispetto a Dazai.

Akutagawa avrebbe voluto nascondersi sotto un tavolo, oppure infilarsi dentro la friggitrice, insieme alle patatine. Il lavoro glielo avevano trovato loro (Kunikida, per la precisione, che era riuscito a sfruttare le sue conoscenze per fargli avere quel posto) e adesso si prendevano gioco di lui, come se fosse improvvisamente passato da dipendente del fast food a pagliaccio di turno.

Purtroppo, con quel bicchiere quasi colmo fino all'orlo in mano, non poteva fare nulla. Ci mise dentro una cannuccia con poca grazia e lo appoggiò sul vassoio, insieme a tutto il resto.

"Non mi pagano per sorridere," rispose, rivolgendo uno sguardo tetro e annoiato ad Atsushi.

"Ma non costa nulla farlo. E poi, mi piaci quando sorridi."

La colpa fu tutta di quegli occhi sinceri e limpidi che non avevano alcun timore di incontrare i suoi, se Akutagawa dovette distogliere lo sguardo e celare parte del suo viso con il palmo della mano, per coprire l'ombra di un timido sorriso.












Risponde la segreteria telefonica di Akutagawa Gin. Prego, lasciate un messaggio.

Beep.

"Gin. Sono le cinque del mattino. L'alba è fredda, ma dipinge i palazzi e le strade di una sfumatura tenue, tiepida. Vorrei che vedessi quello che vedo io."

Era appoggiato al davanzale, il vento fresco che gli scompigliava i capelli.

"Adesso ho un lavoro, uno serio," si sentiva ridicolo, "e presto potrò di nuovo permettermi l'affitto e forse persino tutte quelle cose che non servono davvero."

Silenzio.

"Chiamami, quando puoi. Vorrei sapere come stai. Mi manca sentire la tua voce e ho così tante cose da raccontarti."

Silenzio.

"Io sto bene, ora," sorrideva. "Non ho molto, ma ho tutto ciò di cui ho bisogno."

Raggi di luce erano dipinti sul viso di Atsushi: dormiva ancora, raggomitolato tra le coperte come un gatto. Fuori, il sole illuminava l'intera città adesso.

"Penso di aver trovato un posto che potremmo chiamare casa."

Silenzio.

Beep, beep, beep.
















[Hai ricevuto una chiamata persa da: Gin]

[Tocca per richiamare]



i'll call out a name: your name 一 shin soukokuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora