Erano le 6.30 del mattino e come di routine la sveglia era suonata. Non mi sentivo pronta ad aprire gli occhi e iniziare la giornata ma come al solito era arrivata mia madre a ricordarmi il mio dovere da studentessa. Allora mi alzai dal mio comodo letto e sbattendo il migliolo del piede mi diressi verso il bagno e feci di corsa la pipì perché di tempo non c'è n'era mai abbastanza. una volta corsa giù dalle scale mi vestivo e mi dirigevo in bagno a finire di prepararmi. Ci passavo molto tempo prima di uscire, specialmente al mattino. Dovevo rendermi accettabile agli occhi degli altri. Il nero era la mia base per tutto, persino delle mie labbra. una volta pronta era già arrivata l'ora di andare a scuola o come lo chiamavo io il manicomio.
Perché manicomio? vi starete chiedendo. E' molto semplice lla risposta, se non fai quello che dicono i professori o comunqe gli adulti, sei punito. Devi pensare come loro, essere come loro, mente perfetta per una società scrausa come la nostra, dove devi sottostare alle persone ingiuste ma che hanno potere, soldi, liberetà di pensiero e parole al 100%.
Allora prendevo la mia moto, anch'essa nera e mi dirigevo verso scuola. Li iniziava la incomprensione di molti. Occhiatacce, battute, ignoramenti. E si che a scuola si dovrebbe andare entusiasti e con volgia. Passavo le lezioni a strappare fogli su fogli dai quaderni ormai impoveriti e iniziavo a farci su pastrocchi perché dire che erano disegni era una parola grossa. Disegnare era una delle mie piccole salvezze. Ci mettevo tutta me stessa e non mi piaceva mostrarli agli altri. Se non disegnavo ero con lo sguardo immerso nel vuoto ma non sempre ero immersa dai pensieri, di rado fissavo il vuoto e basta, sentivo la mia testa strana e anch'essa vuota come il mio sguardo. I professori non mi chiedevano nulla.Per loro ero un'alunna che andava a bene a scuola che seguiva le regole, educata. Non si sarebbero mai immaginati che sarei privata del dono più grande di tutti, il dono della vita. I miei compagni mi guardavano solo per i compiti o per dei suggerimenti durante le verifiche. Ero utile solo per una cosa: alleggerire le vite degli altri, aiutarli a scamparla, a sentirsi meglio. Mentre con la mia facevo solo casini.
Uscita da scuola tornavo a casa, mangiavo di fretta e poi subito compiti. Mi sentivo oppressa dalla scuola, tutto quello che ne riguardava mi dava un'ansia, una paura. Tutti pensavano che mi importasse andare bene, che per me era importante, che mi trovavo a mio agio a parlare in pubblico. Ma era tutt'altro. Solo ansia e paura. Mia madre era fissata con la scuola. Per lei se eri asino a ascuola, non valevi neanche un centesimo. La mia casa era altro che calma. Tutti che litigavano. Problemi di soldi, di lavoro.
Poi arrivava il turno di sopportare mio fratello, la mia rovina. Sembra crudele dirlo, ma se non fosse mia nato, sarebbe andato tutto molto meglio. Sempre pronto a criticarmi a insultarmi. Però gli andava bene il mio computer, il mio ds e il fatto che gli facevo qusi tutti i disegni di arte.
Poi si cenava tutti assieme. Ma la tranquillità nemmeno li esisteva. Litigi tra mia mama e mia sorella, mia mamma che mi faceva mille domande a cui io non rispondevo. Non avevo voglia dell'interrogatorio, ne avevo già piene le scatole di essermi svegliata. Dopo aver cenato e pulito la cucina andavo a lavarmi ma stranamente nemmeno li un po' di pace. mia sorella che enntrsva a rompere, di fare veloce che o doveva uscire o era stanca e volveva andare a v letto. Poi mica usciva, sava li a rompermi, come se non ne ero già piena fino alla testa di gente che parlava. finita la doccia metrevo il pigiama e poi dopo qualche ora di televisione andavo a dormire.
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LA RAGAZZA DALLE LABBRA NERE
De TodoEravamo tutti li. Tutti che piangevano, tristi e vestiti di nero. Per molti il nero era solo colore di lutto, ma non per lei. Quella ragazza adorava il nero. Lo indossava sempre, era parte di lei. In molti la temevano e in pochi la adoravano. Lei...