Capitolo 11.

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«Non dimenticherò mai le
cose che mi hai detto. Non
perché fossero importanti, ma
perché mi hanno fatta
sentire bene».
Anonimo

Scarlett

Justin ha mantenuto la sua promessa. Da quando ci siamo giurati di fingere per un po' di essere solo due persone normali con una relazione normale, ci siamo comportati da tali. Non abbiamo più parlato di mia mamma, di suo padre, di Adele, dei nostri problemi o del passato. Niente.
Abbiamo passato insieme le ultime ventiquattr'ore a parlare. E a baciarci. Un milione di baci lunghi e sognanti. Il che ovviamente hanno portato al sesso.
Tanto, tanto sesso.
Non lasciamo il suo appartamento da quando è venuto a prendermi. Ho chiamato Owen per assicurarmi che stesse bene. Era ancora a casa di Wade. Mi ha domandato se fossi con Justin e ho risposto di sì. Ha esultato, ma mi ha anche messa in guardia. Owen adora l'idea che io stia con un giocatore di football. Ma odia che stia con un ragazzo che mi ha spezzato il cuore.
È combattuto, e in fondo lo siamo tutti.
Io però ho respinto i pensieri negativi e mi concentro sulla parte positiva. Justin insieme a me. Sopra di me. Dentro di me. Che mi sussurra parole nell'orecchio quando mi stringe. Il modo rispettoso in cui mi tocca. Come mi abbraccia quando dormiamo. Non che abbiamo dormito tanto ultimamente.
Oggi sono riuscita a scambiare il turno in modo da trascorrere la giornata intera con Justin, domani però mi aspetta la realtà. Lui deve andare a lezione, e io devo stare un po' con Owen prima di tornare al lavoro. Justin ha anche l'appuntamento con la psicologa.
A volte odio la realtà.
Passare così tanto tempo con lui non mi aiuta a concentrarmi. Da quando è tornato a far parte della mia vita, mi trovo in uno stato di eccitazione incontrollabile. Non sono mai stata così... bisognosa di attenzioni. Non penso ad altro che a lui. È strano aver pensato, anche solo per un attimo fuggevole, di essere interessata a Colin.
Non posso paragonare quello che provo per Justin all'attrazione fulminea che ho sentito per Colin.
Siamo al ristorante adesso, Justin e io. Avevamo finito le scorte di cibo e morivamo di fame, quindi abbiamo deciso di mettere il naso fuori casa. Inoltre, ho pensato che fosse una buona idea stare fra la gente, piuttosto che rimanere nudi nel suo appartamento notte e giorno.
Mentre lo guardo al di là del tavolo, mi rendo che ho sopravvalutato l'importanza di stare fra la gente.
«Cosa vuoi ordinare?». Piega la testa, i capelli biondi che gli fanno capolino davanti agli occhi mentre studia il menu. Chissà quando si è tagliato i capelli l'ultima volta. Sono lunghi, è facile afferrarli quando lo bacio.
«Non saprei». Sono senza fiato, ma lui non sembra accorgersene. Appoggia il gomito sul tavolo e distrattamente si gratta una tempia con l'indice, ricordandomi cosa mi ha fatto con quel dito poco fa. Lo ha mosso in cerchio attorno ai capezzoli, lo ha fatto scivolare fra le mie gambe, immergendolo dentro di me, e poi se l'è portato alla bocca, leccando il mio sapore senza smettere mai di guardarmi.
Mi contorco sulla sedia da vera arrapata. E lui non si accorge di nulla.
«Credevo che avessi fame. Cosa ti va di mangiare?». Te, vorrei rispondere, ma accidenti! Siamo stati insieme solo un'ora fa. Cos'ho che non va? Ho passato due mesi senza di lui e ora mi sembra di averne bisogno ogni minuto di ogni giorno.
«Non so». Apro il menù per dare un'occhiata. Non ho mai mangiato in questo ristorante. È vicino all'appartamento di Justin e raramente vengo da queste parti. «Cosa fanno di buono qui?»
«Scarlett». La sua voce bassa e profonda mi fa alzare la testa. Justin mi guarda, accigliato, gli angoli della bocca leggermente curvi verso il basso. «Stai bene?».
Ora ha entrambi i gomiti appoggiati al tavolo, le dita intrecciate, e io vorrei quelle mani su di me. La maglietta nera gli aderisce alle braccia, accentuando i bicipiti muscolosi, le spalle e il petto larghi. Negli ultimi giorni ho esplorato ogni centimetro del suo corpo e ancora non ne ho abbastanza.
«Non ho molta fame», ammetto.
«Sei tu che hai deciso di venire qui».
Mi sento una sciocca. Mentre gli guardo le mani penso a quanto sono grandi. Le dita lunghe, i palmi a tratti ruvidi e a tratti scivolosi. Adoro quando mi tocca, gentile o più deciso. E mi piace ancora di più quando mi afferra i capelli e tira. Oh dio... amo quando lo fa.
Voglio quelle mani su di me. Adesso. «Forse non sono affamata quanto credevo». Sento le farfalle nello stomaco. Non mi va di mangiare. Voglio solo Justin. Sono ossessionata, come se dovessi averlo il più possibile, prima che mi scivoli fra le dita e che io lo perda per sempre.
Ma non lo perderò. Ci crediamo entrambi e non devo dimenticarlo.
«Sei strana», dice preoccupato. «Sei arrabbiata? Ho fatto qualcosa?»
«Non sono arrabbiata. Io... uhm...», dico a voce bassa, sentendomi un'idiota.
«Tu cosa?»
«Ti sto guardando le mani», ammetto con un sospiro. Posso dire ad alta voce che sono arrapata? Sarebbe ridicolo.
Alza di scatto le sopracciglia. «Perché?».
Mi sento avvampare il viso e mi agito sulla sedia. «Sto... ripensando a cosa mi hanno fatto prima».
L'espressione preoccupata scompare, rimpiazzata da un sorriso malizioso che mi fa alzare la temperatura del corpo. Si allunga verso di me, la sua voce così profonda che mi vibra dentro per finire dritta in mezzo alle gambe. «Forse dovremmo tornare a casa, così posso fartelo di nuovo».
Mio dio, è l'idea migliore di sempre. «Forse sì».
Il sorriso non lo abbandona, anzi si allarga sempre di più. Il mio tranquillo e pacato Justin si è trasformato in una specie di dio del sesso. «Non vuoi ordinare niente?».
Scuoto piano la testa. «Non possiamo prendere ancora una pizza più tardi?». L'abbiamo mangiata anche ieri sera. «Stavolta da un altro posto. Sai, tanto per cambiare. O magari ordiniamo al cinese? Io adoro il cinese».
Ride con la voce roca. «Hai detto che preferivi uscire di casa per un po' perché ci stavamo isolando troppo».
«Ho detto così?». Onestamente non me lo ricordo. E anche se fosse? Non stiamo forse fingendo di essere persone normali a cui piace fare sesso senza farsi problemi? Chissà se lui ha mai fatto sesso così. Spensierato e... normale.
«Già», annuisce.
«Forse mi piace isolarmi con te», ammetto con un sussurro. Non ci siamo ancora detti "ti amo". Non ho il coraggio. Forse nemmeno lui ce l'ha. Sciocco da parte mia, dato che sono innamorata persa. Lui è semplicemente incredibile. Dolce. Premuroso. Divertente. Intelligente. Sexy.
Lo capisco, e lui capisce me. Siamo perfetti insieme.
Forse troppo. E le cose troppo perfette non esistono. Potrebbe essere tutta una finzione, proprio come la settimana che abbiamo passato insieme al Ringraziamento.
Quel periodo sì che era una finzione. È stato surreale. Ci sono stati alcuni momenti veri e fondamentali, ma la maggior parte delle volte eravamo troppo presi dalla nostra recita. Forse anche adesso stiamo fingendo, ma con lui cerco di essere più autentica possibile. Senza pesi, senza mal di testa o problemi. Almeno per un po'.
Ma presto la realtà che non mi va di affrontare ci crollerà addosso.
Mi prende le mani fra le sue. «Mi piace davvero tanto rimanere isolato con te». Gli faccio un sorriso così ampio che mi fanno male le guance. Siamo davvero coinvolti entrambi in questo rapporto.
Per una volta, so di non essere sola.
«Andiamo a casa per il gioco della verità», suggerisco. «Niente di che, vedrai».
«Gioco della verità? Sono curioso».
«E fai bene», dico, timida. «Ha a che fare con il sesso».
Si irrigidisce leggermente e io gli stringo le mani. Dobbiamo essere sinceri l'uno con l'altra e mentre l'affinità sessuale che abbiamo è incredibile, io so che a volte lui si trattiene. Lo capisco. Più o meno.
Siamo opposti in questo senso. Io ero quella che si svendeva per sentire qualcosa, qualunque cosa, anche solo per un po'. Lui invece preferiva rinchiudersi in se stesso per non sentire niente.
«Scarlett...», sussurra, il sorriso che svanisce. «Non so se sono pronto».
«Non è niente di folle, credimi». Mi porto le sue mani alla bocca e gli do un leggero bacio sulle nocche. «Niente pressioni. Solo divertimento».
«Divertimento?»
«Già, sempre», dico.

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