Capitolo 2.

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«È distrutta, eppure nessuno se ne
accorge».
Anonimo

Scarlett

«Allora». Owen beve la coca cola gigante che gli ho comprato al benzinaio, dove ci siamo fermati per fare il pieno alla macchina di mamma. «Posso mangiare gratis nel locale in cui lavori?».
Scuoto la testa. «È troppo elegante. I bambini non sono i benvenuti». L'eufemismo dell'anno. Il ristorante non è decisamente per bambini. In effetti credo che non sia nemmeno il posto per me, ma gli darò una possibilità. Colin dice che posso fare un sacco di soldi con le mance, io però non so se credergli.
Penso a Colin. È proprietario del ristorante solo perché il suo ricco papà gli ha dato dei soldi per farlo divertire un po'. L'ho dedotto quando mi ci ha portata. È carino. Attraente.
Ma a parte rivolgergli la parola come se lui fosse il mio capo e io la sua impiegata, lo evito il più possibile. Ho accettato la sua offerta di lavoro anche se sembra troppo bello per essere vero.
E la cosa ironica è che non ho ancora dato un preavviso al La Salle's. Mi tengo quel lavoro ben stretto finché non sarò sicura che il nuovo impiego sia abbastanza stabile da garantirmi un salario.
I soldi sono la cosa che mi importa di più. Mia madre non partecipa minimamente alle spese.
Owen si gonfia il petto con aria indignata. «Stai scherzando? Non sono un bambino. Ho quattordici anni, cazzo!».
Gli do un ceffone sul braccio. «Modera il linguaggio», lo rimprovero. E da quando si diventa maggiorenni con quattro anni d'anticipo? Forse nei suoi sogni.
«Sul serio Sky, non riesci a farmi entrare?», chiede Owen irritato. «Ho sentito che le ragazze che frequentano quel posto sono fighissime».
Non voglio che si esprima in quel modo. È già abbastanza brutto che io gli abbia trovato un sacchettino d'erba nella tasca dei jeans quando ho lavato i panni qualche giorno fa. L'ho mostrato a mia mamma, che mi ha chiesto di darglielo.
Poi l'ha aperto, ha annusato e ha dichiarato che era roba di ottima qualità. So che l'ha portato con sé a casa di Larry quella sera e probabilmente l'hanno fumato. Non ci credo ancora. Come ho fatto a diventare una persona con la testa sulle spalle quando mia mamma è così.. infantile?
Non avevo altra scelta.
«Ascolta, la cena costa almeno cinquanta dollari al piatto. È un posto per coppie. E poi c'è il bar. Dopo le dieci, chi ha meno di ventun anni non può entrare». È davvero il ristorante più bello ed elegante che abbia mai visto, e di certo in cui abbia lavorato. È organizzato ed efficiente, e tutti hanno un compito preciso. Lo staff non è molto amichevole, però. È abbastanza snob. Sono sicura che mi prendono in giro: la poveraccia che lavora fra i privilegiati.
Comunque a me interessano solo le mance. E il fatto che Colin creda in me. È passato molto tempo dall'ultima volta che qualcuno ha avuto fiducia in me. Mi illudevo che Justin ne avesse, ma più il tempo passa senza di lui, più ho la prova che era tutta un'illusione. Ci siamo lasciati trasportare dalla nostra storia inventata.
«Non puoi nemmeno portarmi gli avanzi, eh?». La domanda di Owen mi strappa ai miei pensieri e lo guardo. Sorride con un ghigno.
È sempre più carino. Non so se abbia una ragazza oppure no, ma spero rimandi il più possibile. Le relazioni portano solo problemi.
«Sei disgustoso». Alzo gli occhi al cielo. A volte gli portavo gli hamburger dal La Salle's, e forse l'ho viziato troppo.
«Be', mamma di certo mi tratterà di merda e non mi darà un cavolo da mangiare. Scusa», aggiunge, quando gli lancio un'occhiata per la parolaccia. «E mi sentirò in colpa per il tempo che passo a casa di Wade. Sua mamma sarà stufa di me».
Il senso di colpa mi travolge. Ho bisogno di questo lavoro. Ho bisogno di entrambi, il che significa che non potrò stare accanto a Owen, a preparargli da mangiare, ad assicurarmi che faccia i compiti, a obbligarlo a pulire quella discarica di stanza. L'appartamento ha tre camere, una rarità in una cittadina universitaria, e l'affitto è sempre più caro. Dato che mia mamma non c'è mai e che di solito siamo io e Owen, sto pensando di cercare un altro posto solo per noi due.
Questa piccola notizia farà infuriare mia madre. Non importa che lei trascorra la maggior parte del tempo da Larry, che non sia mai con noi e che non abbia un lavoro per pagare l'affitto. Si arrabbierà e la prenderà sul personale: dirà che io e Owen la stiamo tagliando fuori.
In effetti io lo sto facendo. Non la voglio più con noi, non è un buon esempio. Owen è a disagio quando c'è lei, e anch'io. Sono stufa.
Ma per qualche ragione ho troppa paura per dirglielo. Non mi va di affrontare la sua scenata. Mia madre è così, una tragedia dopo l'altra.
Mi squilla il cellulare. Ho ricevuto un messaggio dal mio nuovo capo. Un senso di agitazione mi pervade mentre lo leggo.
Che diavolo mi succede?
Rispondo come una brava impiegata.
"Mi sto preparando per venire al lavoro".
Ehi, è la verità.
"Sono in zona. Posso darti un passaggio".
Fisso il messaggio a lungo, ignorando le lamentele di Owen che mi chiede cosa può mangiare per cena. Cosa vuole Colin? Perché dovrebbe essere nel mio merdoso quartiere? Non ha senso. A meno che non sia venuto apposta per me.
"Manca ancora un'ora al mio turno", rispondo.
"Ti pagherò il tempo extra. Dài".
Sospiro e digito una risposta. "Dammi cinque minuti".
«Devo andare», dico a Owen mentre vado in camera da letto. Non ho ancora la divisa da lavoro, se così si può definire. Tutte le cameriere devono indossare i vestiti più bizzarri che abbia mai visto. Ce ne sono almeno quattro tipi diversi, con le tette a vista, aderentissimi. Capisco il richiamo al sesso. Non è che siamo ammiccanti, ma se mi abbasso nel modo sbagliato tutti quanti mi vedranno il sedere. Sono praticamente dei pantaloncini cortissimi.
Prendo il vestito dalla gruccia, quando becco Owen che mi sbircia dalla porta. «Che c'è?», chiedo.
«E se mi facessi un tatuaggio? Che ne dici?».
Per un attimo mi gira la testa. Oh mio dio, quand'è che gli vengono certe idee? «Prima di tutto hai solo quattordici anni, quindi legalmente non puoi. Secondo, hai solo quattordici anni. Cosa vuoi avere tatuato sul corpo per sempre?»
«Non saprei». Fa spallucce. «Sarebbe figo. Insomma, tu ne hai uno. Perché non posso averlo anch'io?»
«Forse perché io sono adulta e tu no?». Qualche settimana prima di Natale, quando mi illudevo che io e Justin avessimo una chance, me ne sono fatto uno. Il tatuaggio più stupido del mondo. Credevo che avere una parte di lui, per quanto piccola, permanentemente incisa sulla mia pelle, sarebbe servito a riportarlo da me.
Non ha funzionato, e ora non posso tornare indietro. Grazie al cielo è piccolo. Magari potrei anche cambiargli forma.
Ma ora non voglio.
«Quindi tu ti fai scrivere le iniziali di un ragazzo sulla pelle e va bene; io invece non posso farmi tatuare un dragone artistico sulla schiena? Non è giusto». Scuote la testa, i capelli biondo scuro gli oscillano sulla fronte, e avrei voglia di mollargli un ceffone.
E vorrei anche abbracciarlo forte e chiedergli dov'è finito il ragazzino semplice di neanche un anno fa. Perché di certo non è più in giro.
«È diverso», mi volto e strappo il vestito dalla gruccia. «Devo cambiarmi, esci».
«Chi è il ragazzo? Non me l'hai mai detto».
«Nessuno». Parole pesanti, perché lui era qualcuno. Era tutto per me, per il più breve e intenso momento della mia vita.
«Non è vero. Ti ha spezzato il cuore». La voce di Owen è piena di veleno. «Se scopro chi è gliela faccio vedere io».
Sorrido, non posso farne a meno. Il suo desiderio di difendermi è dolce. Siamo una squadra, Owen e io. Non abbiamo altro al mondo. Esco dall'appartamento perché non voglio che Colin bussi alla mia porta e incontri Owen. O peggio, non voglio che veda questo sudicio appartamento. Scommetto che lui vive in un posto magnifico. Se la sua casa è bella anche solo la metà del ristorante, allora sarà meravigliosa.
Appena scendo le scale compare la sua Mercedes dal motore rombante, e l'auto è così nuova che ancora non ha la targa anteriore. Faccio un passo indietro quando salta fuori, un dio biondo dal sorriso devastante e dagli splendidi occhi blu.
Gira intorno alla macchina e apre la portiera del passeggero con un gesto plateale. «La sua carrozza l'aspetta».
Esito. Accettare un passaggio da lui è un errore? Non ho paura di Colin, temo la situazione nella quale mi sto infilando. Noto che flirta con tutte le dipendenti, e anche con le clienti. Non passa mai il confine, però: è sempre educato e sa quando è il caso di smettere.
Ma permettendogli di passare a prendermi sto lanciando segnali sbagliati? Passava di qui per caso? Non ci credo.
Nemmeno per un secondo. «Sei venuto apposta per darmi un passaggio?», gli chiedo appena entra in macchina.
Mi guarda, le nostre facce pericolosamente vicine. La macchina è bella ma piccola e l'atmosfera è intima. Profuma di colonia costosa e pelle, e per un attimo mi chiedo se potrei mai provare qualcosa per questo ragazzo.
Capisco subito che sarebbe impossibile. Il mio cuore è ancora legato a qualcun altro. Qualcuno che non esiste.
«Sei piuttosto diretta, vero?», chiede Colin, gli occhi splendenti nella luce bassa dell'auto.
«Meglio che mentire, giusto?». Alzo un sopracciglio.
Ride e inserisce la retro. «Giusto. Ero davvero qui in zona, Scarlett, e mi sono ricordato che vivi qui, ecco perché ti ho scritto. So che non sempre hai la macchina a disposizione».
Finora ho fatto solo tre turni nel suo ristorante e già sa tutte queste cose di me. Significa che è un bravo capo o un maniaco? «Oggi avevo la macchina di mia madre».
Esce dal parcheggio e si immette in strada, le mani che avvolgono il volante, il braccio appoggiato al portaoggetti. Ha sempre un atteggiamento rilassato. È come se dalla vita ottenesse tutto quello che vuole e se lo meritasse anche.
Lo invidio. Ha fiducia in se stesso.
«Vuoi che ti riporti a casa, allora?», mi chiede con un tono divertito. Penserà che sono pazza.
«No», sospiro. Che sciocchezza. Cosa stiamo facendo? «Però non avrò un passaggio per tornare a casa».
«Ti riaccompagno io».
Non gli rispondo nemmeno.
Resto in silenzio, mordicchiandomi le dita mentre guida. Ho le mani secche, e penso alle altre ragazze che lavorano con me che hanno manicure e pedicure impeccabili.
Al confronto, io sembro una Cenerentola coperta di stracci che è stata tirata fuori dal seminterrato e messa a sgobbare fra le principesse bellissime e sfavillanti. Potrò anche risplendere, ma se mi sfreghi un po', si vede subito di che materiale sono fatta.
«Pessima abitudine», dice Colin, interrompendo il silenzio pesante. «Dovresti farti la manicure».
Okay, ora mi sta facendo davvero arrabbiare. Le sue supposizioni sono fastidiose. «Non posso permettermela».
«Te la pago io».
«Neanche morta», sbotto. La sua offerta mi irrita ancora di più.
Colin mi ignora. «E già che ci sei, potresti andare dal parrucchiere. Pagherò anche quello. Hai i capelli troppo decolorati, sembrani danneggiati».
Che coraggio! Questo tipo è un vero stronzo. Perché ho accettato di lavorare per lui? Già, i soldi. L'avidità avrà la meglio su di me, lo so. Mi ha già portato a prendere due decisioni stupide. «Chi sei tu? Il poliziotto della moda?»
«No, ma sono il tuo capo e al District abbiamo un certo standard da mantenere».
«E allora perché hai assunto me? Sapevi chi ti saresti ritrovato».
«Ho intuito il tuo potenziale», risponde. «E tu? Tu lo vedi, Scarlett?».
Non rispondo. Perché la verità non è quella che lui vuole sentire.
Proprio no.

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