[07] La Galassia Di Andromeda

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𝐒𝐈𝐍, 𝟒𝟎

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𝐒𝐈𝐍, 𝟒𝟎.𝟎𝟎𝟎 𝐀𝐍𝐍𝐈 𝐏𝐑𝐈𝐌𝐀

"Guarda bene, figlio mio, non è spettacolare?" Varlett aveva trattenuto il respiro, stringendo con impeto la mano del dio.

Sin aveva quindi fatto vagare lo sguardo in lungo e in largo, alla ricerca dello spettacolo meraviglioso di cui tanto parlava sua madre.

Nulla, non vi era un singolo oggetto a circondarli. Erano soli, madre e figlio, e nulla pareva essere in contrasto con l'ambiente.

Si trovavano a Kashèt, la terra in cui il Sole moriva per dar vita alla Luna.

Tutto era buio, privo di luce, e a far da padroni erano i suoni taglienti e striduli di artigli.

"Io non vedo nulla, madre."

Varlett aveva piegato la testa all'indietro, ridendosela di gusto. Quindi si era piegata sulle ginocchia, circondando il corpo minuto del figlio con le braccia.

Aveva poggiato il viso dai tratti spigolosi contro la spalla di Sin, senza usufruire di alcuna luce per individuare dove fosse.

Il dio non capiva come riuscisse a farlo. Nonostante si sforzasse, lui non riusciva a distinguere un oggetto dall'altro per quanta oscurità vi era.

La presenza di sua madre gli era nota solo grazie all'enorme quantità di energia che il suo corpo conteneva.

Varlett era sempre stata una donna in forma e snella, di almeno due centimetei più alta del marito, con un colorito cereo.

Spesso, gli diceva suo padre, si aveva il dubbio che fosse malata.

"Concentrati," gli aveva bisbigliato all'orecchio mentre osservava l'immensità del suo regno, "e guarda."

Ci avrebbe provato nonostante dubitasse del risultato, ma l'avrebbe ugualmente accontentata.

Amava sua madre con ogni singola cellula del suo corpo e sentiva, in un certo senso, di appartenerle.

Era considerato, sia da suo padre che dai suoi fratelli, un prolungamento della madre.

Una specie di ramo nato dall'albero Varlett che, anch'esso scarno e buio, si allungava verso l'alto.

Nessuno dei due avrebbe mai fatto fiorire quei chiari e luminosi boccioli che gli dei e gli umani amavano, ma andava bene così.

Loro si sarebbero avviluppati attorno ai pistilli e ai petali altrui, provandoli di ogni singola goccia di linfa vitale.

Vivevano solo grazie alla morte altrui e questo era, senza ombra di dubbio, un qualcosa di favorevole e comodo.

Sin aveva quindi chiuso gli occhi, concentrandosi solo sul battito del proprio cuore.

Più lo ascoltava, comunque sia, e più esso pareva fondersi con una melodia a lui estranea.

Avvertiva miriadi di rumori, adesso che si concenteava, ed erano tutti tremendamente meravigliosi.

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