[10] Raven La Pazza

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Icarus si era appollaiato su un albero mentre, con gli occhi socchiusi e il sole a illuminargli metà viso, osservava la figura slanciata di Sin

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Icarus si era appollaiato su un albero mentre, con gli occhi socchiusi e il sole a illuminargli metà viso, osservava la figura slanciata di Sin.

Riusciva a scrutare con minuzia ogni più piccolo movimento dell’uomo, partendo dall’innalzarsi del suo torace al dilatarsi delle sue narici.

Da bambino, sua madre l’aveva sempre elogiato per quanto perfetta e scrupolosa fosse la sua vista.

Nulla poteva sfuggire agli occhi di Icarus, non importava quanto l’oggetto del suo interesse fosse lontano o mimetizzato, lui riusciva a individuarlo.

Era riuscito a trascinare Sin nel bosco, all’aria aperta, pretendendo un po' di compagnia.

Il dio, però, nient’altro aveva fatto se non cacciare. Aveva iniziato ad appassionarsene grazie a sua madre e da allora non aveva più smesso.

In presenza dei suoi fratelli e di suo padre, non aveva mai dato sfoggio delle sue capacità.

Non era un’attività di cui farsi vanto, secondo l’opinione di tre quarti della sua famiglia, e di ricevere ammonizioni non aveva voglia.

La prima volta che suo padre l’aveva visto cacciare, era impallidito.

All’epoca Sin possedeva ancora le fattezze di un bambino, forse per questo il dio ne fu così sconvolto.

Ricordava il sorriso maniacale del figlio mentre, sporco di sangue e fango, affondava i denti candidi e affilati nel torace di un uomo.

Un umano, la sua prima vittima fu un umano. Dopotutto, aveva pensato Sin, gli esseri umani erano suoi.

Poteva farne ciò che voleva, questo comprendeva il giocarci e, talvolta, tormentarli. Non potevano opporsi, non a lui che era senza ombra di dubbio il loro Re.

Sua madre stessa ne era stata scontenta, non perché provasse per loro pena ma perché il pensiero di vedere il figlio imbrattarsi di sangue tanto marcio la tormentava.

Così Sin aveva smesso di cacciare umani e si era quindi dedicato agli animali.

Per loro provava una certa pena, Icarus se ne era reso conto, e si limitava quindi a intrappolarli, rilasciandoli qualche minuto dopo.

Al dio senza lingua eccitava la caccia, la vincita e il dilaniare la propria preda non erano aspetti fondamentali. Poteva farne a meno, non gli importava.

“Ho un brutto presentimento.” Aveva borbottato Icarus, saltando giù dal ramo che fino a quel momento l’aveva sorretto.

Il balzo era stato elegante, ben ponderato, e l’atterraggio gli aveva fatto solleticare le piante dei piedi.

Per qualche secondo, mentre si abituava alla presenza dell’erba sotto la carne, il castano aveva avvertito una punta di dolore irradiarsi dalla punta degli arti inferiori per insediarsi nelle sue giunture.

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