Era iniziato tutto con delle semplici regole, regole assurde dettate da una persona assurda.
- gli ebrei devono indossare una stella di David sui vestiti per far riconoscere che loro sono tali;
- gli ebrei non possono avere rapporti affettivi, relazioni e quantomeno sposarsi con ariani;
- gli ebrei non possono acquistare nei negozi di persone ariane;Gli ebrei stavano diventando un gruppo di animali indifesi che eseguivano le regole senza fare obbiezione. Più il tempo passava e più gli ebrei diventavano uccellini in gabbia senza via di fuga, con un futuro impossibile da prevedere. Ormai non potevamo scegliere nemmeno dove andare a vivere,i ghetti si riducevano sempre di più, soffocati dalle regole e dalla presenza oppressiva dei tedeschi che non ci davano tregua nemmeno durante la notte, ci portavano via famiglie e amici, ogni cosa, soprattutto il cibo e posti caldi da poter chiamare casa.
<<T/n, cara, devi mangiare, non si sa quando ne avremo l'opportunità di farlo>>disse mia mamma, vedendomi persa con lo sguardo e a pensare a perché io sia dovuta nascere ebrea, o per lo meno non riuscivo a comprendere cosa avessimo fatto di male per meritarci tutto questo odio, non riuscivo a capire e a trovare una risposta a quella domanda così importante per me, che continuava a torturarmi la mente.
<<Si, hai ragione>> dissi sorridendole, ormai l'unica cosa che potevo fare era sorridere e mettere di buon umore la mia famiglia.
Eravamo collocati in un ghetto chiamato lodz, istituito dal terzo reich in polonia, io, mio padre e mia madre, insieme alla famiglia Allen e il loro figlio Noah, da poco due giorni ci trovavamo là a condividere la stanza con altre persone, la privacy era andata a farsi fottere, per me era sempre più difficile vivere così, non avere più una casa ed essere assoggettati dai soldati tedeschi era diventato troppo.
<<T/n, dormirai insieme a Noah>> disse mio padre indicando un letto abbastanza spazioso per entrambi.
Io e Noah ci guardammo negli occhi e io diventai bordeaux iniziando a fare invidia ad un pomodoro maturo. Gli Allen e la mia famiglia sono sempre stati in buoni rapporti, infatti io e Noah siamo diventati migliori amici anche con la grande differenza di età di quattro anni, lui era un ragazzo magnifico, aveva i capelli castani e sempre molto morbidi, occhi azzurri oceano e un carattere che ogni donna sognerebbe di trovare, ma il sorriso, quel dannato sorriso ti spiazzava, era veramente perfetto, però riuscivo a vederlo solo come un "fratello maggiore".<<Bhe? Che aspetti? Hai sedici anni e ti vergogni a dormire con un uomo bello come me?>>disse vantandosi e iniziando a prendermi in giro ridendo.
<<idiota, tu bello? Ma figurati hahahaha>> dissi, diedi la buona notte ai miei e corsi nel letto per dargli una cuscinata in faccia.
[...]
Saranno state le due di notte e il silenzio insieme alla calma furono interrotte da degli spari in lontananza, mi svegliai iniziando a tremare dalla paura e anche a causa del freddo. Il fuoco che si trovava nella stanza per tenerci al "caldo" in un piccolo caminetto trasandato, era diventato debole, ma non vidi nessuno svegliarsi per quel rumore fastidioso, non fino a quando sentì due grosse braccia circondarmi la vita e un calore immenso espandersi per tutto il mio corpo.
<<Sei gelata>> mi bisbiglió all'orecchio Noah, abbracciandomi forte da dietro.
<<E tu sei caldissimo, come f->> le mie parole furono interrotte da altri spari, iniziai a tremare di nuovo.
<<Ehi, è tutto ok, molto presto smetteranno>> mi girai verso di lui e mi nascosi nel suo petto, dopo un po' riuscì ad addormentarmi sentendomi al sicuro in quell'abbraccio caloroso che mi conferiva coraggio e sicurezza.
Era il 15 novembre 1942 e la paura di essere uccisi senza motivo dai tedeschi diventava sempre più grande, ma non mi sarei mai abbassata ai livelli di chi uccide senza un vero e proprio motivo, di chi brama la voglia di essere superiore su chi è più debole. Continuavo a vedere cadaveri di persone in giro, soprattutto bambini e la cosa mi faceva ribollire di rabbia, ero però troppo debole per poter fare qualsiasi cosa, anche per poter giudicare.
<<Stanno portando via delle persone con dei camion, non si sa dove li portino, ma una cosa è certa, nessuno è mai ritornato>> qualcuno spettegoló da qualche parte di prima mattina, mi si geló il cuore per un istante e volevo chiedere una pausa da tutte quelle emozioni terribili che non smettevano di torturami dalla mattina alla sera.
<<Mamma, vado a fare una piccola passeggiata qua intorno>>
<<Cara non penso sia una buona idea.>> disse guardandomi con occhi impauriti e preoccupati.
<<Starò attenta, a quest'ora i soldati tedeschi non ci sono... Non ne posso più di stare qui>> era vero, non ero per niente una ragazza da farsi mettere i piedi in testa in certe occasioni, non ero nemmeno una ragazza da tenere rinchiusa in una piccola capanna, in un ghetto piccolo, gelido e senza vita.
<<T/n, ascolta tua madre, non penso sia il caso di ritrovarti morta, qui da qualche parte.>> Il tono severo di mio padre mi fece venire la voglia di scappare e di iniziare a gridare per l'esasperazione, ma li assecondai perché alla fine avevano ragione.
<<Oggi stranamente non ci sono molti soldati in giro>> argomentò Noah.
<<Finalmente si sono stufati di tenerci ingabbiati?>
<<Possibile che->> La signora Allen fu interrotta da un gruppo di urla, e si sentivano chiaramente le parolacce dedicate agli ebrei da parte dei tedeschi. Ci furono tre colpi di pistola e le urla smisero. Un'ondata di brividi si catapultarono sulla mia schiena facendomi sentire inerme.
Non passò molto da quando ci fu quel caos che un gruppo di soldati tedeschi diedero un calcio preciso al portone della nostra piccola capanna, ovvero "casa", e iniziarono a sbraitare urlandoci contro parole offensive ma che non mi toccavano per niente.
<<geh raus und stell schmutzige Juden auf(Uscite e mettetevi in fila sporchi ebrei.)>> Fui la prima ad uscire capendo perfettamente che se non lo avessi fatto sarei stata carne da macello in cinque secondi se non prima.
Eravamo in una perfetta fila dritta, tutti vicini e attaccati come sardine, inermi sotto il loro sguardo attento e disgustato, lungo la strada del ghetto molti di loro continuavano a tirare fuori dalle proprie case altra gente, con la stessa gentilezza con cui si trattano gli animali destinati al macello, fino a formare un bel gruppo di persone.
Vidi un tedesco alto e biondo con una divisa particolare, forse era un comandante, parlare all'orecchio di un soldato semplice che era posto comodo e appoggiato sullo scofano di una macchina, la cosa che mi stupiva era la grande differenza d'altezza tra i due.
<<(Chi parla tedesco?)>> Gridò il soldato più basso, camminando verso il centro di quella piccola piazza del ghetto, con passo fermo ed una faccia dall'espressione quasi gelida, sembrava schifato, forse anche annoiato da tutto quello che stava succedendo, fece rabbrividire anche mio padre che trapelava dal suo sguardo.
Nessuno stava rispondendo, di sicuro c'erano molti che non capivano quella lingua, ma una cosa era certa io e mia madre si, la capivamo alla perfezione, e mi face un "no" con la testa nascosta e veloce per dirmi di non fare la cavolata di andare a dargli conferma. Il silenzio in quella piccola piazza era diventato un rumore sordo, ma fu un attimo che il soldato tirò fuori dalla fondina in pelle, situata sul fianco sinistro, una pistola che miró velocemente ad un bambino di fianco a lui, lontano di qualche metro.
<<( Ho chiesto, chi sa parlare Tedesco?)>> chiese nuovamente il soldato, scandendo molto più forte le ultime parole, mi si fermò il sangue nelle vene e riuscivo a notare la paura congelarsi negli occhi del più piccolo che mirava insieme alla madre, che immobile pregava in ginocchio di averlo salvo, lui mise il dito sul grilletto togliendo abilmente la sicura. Esitò per un secondo, infatti mi diede il tempo di poter gridare.
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The Doll
FanfictionUna ragazza ebrea viene deportata in un campo di concentramento dove la sua unica ancora di salvezza è di diventare la bambola manipolata dalle mani di un soldato nazista, per il quale dovrà subire delle atrocità disumane, ma è possibile che in ques...