Peeks

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<<Sembra che non hai imparato la lezione, se ti trovi in questo stato>> non risposi dominata del terrore che mi aveva invaso pochi secondi fa.
Anche se lui non si muoveva di un millimetro, i suoi occhi mi accarezzavano la schiena dolcemente e le mie lacrime smisero di scendere, anzi lasciai spazio alla stanchezza, perché il mio istinto suggeriva che potevo permettermelo.

Con un gesto deciso, richiamò un soldato in posizione di guardia poco distante dal carro. Quest'ultimo avanzò con fierezza, ma il suo sguardo inciampò momentaneamente nella mia figura sconcertante a terra, la schiena completamente scoperta a causa del vestito ormai strappato. Si immobilizzò di fronte all'aurea minacciosa del capitano e con uno schiocco dello stivale a terra, pronunciò le consuete parole "Heil Hitler" come segno di lealtà al regime nazista. Era ormai il rituale verbale che sentivi tra i soldati a fare la guardia.

Il capitano ordinò senza esitazione: <<(Porta l'ebrea nella mia residenza, ho bisogno di una cameriera.)>> Il suo sguardo scrutò il mio volto, forse in attesa di una reazione, che la mia faccia intorpidita non riusciva ad offrire.

Il soldato afferrò il mio braccio e, sorprendentemente delicato, mi condusse verso un'auto poco distante dalle baracche. Senza proferire parola, mi spinse sui sedili posteriori, e non opposi resistenza in alcun modo, mi abbandonai al dondolio della macchina e, esausta, mi lasciai trasportare senza sapere cosa sarebbe successo dopo. Nel torpore della stanchezza, mi addormentai, dimenticandomi di tutto.

Il sonno mi avvolse come un manto, portandomi in un mondo temporaneamente libero dalle grinfie della realtà. Nel buio del sogno, immagini frammentate danzarono davanti ai miei occhi stanchi, facendomi sentire nuovamente viva con in mano la mia povera speranza.

Al risveglio, mi ritrovai in un posto da me sconosciuto, circondata da una realtà ancora più opprimente. I miei occhi si adattarono lentamente alla luce, e la stanza sfocata iniziò a prendere forma.
Era ornata di lusso, le pareti della stanza si rivelarono adornate da tessuti ricchi, dipinti d'arte antica e arredi pregiati che contrastavano la mia condizione. I raggi del sole filtravano attraverso le pesanti tende, rivelando un ambiente che sembrava appartenere a un'altra epoca. La stanza era pervasa da una fragranza delicata di legno pregiato e pulito, risvegliando il mio olfatto ormai abituato solo all'odore di cemento, polvere, metallo e sudore. Tuttavia, un altro strano odore pungente si insinuava così intensamente nel campo recintato, che costringeva molti di noi a coprire il naso con uno straccio per difenderci.

Il capitano, era lì, seduto su un elegante poltrona d'epoca e mi scrutò con uno sguardo penetrante che faceva presagire una realtà ancora più complessa e inquietante. Il mio cuore batteva velocemente, come se volesse sfuggire alla realtà che mi imprigionava. Ero consapevole di essere intrappolata in un labirinto di potere e degrado, ma la mia speranza, seppur flebile, continuava a danzare nell'oscurità.

Mentre il capitano continuava a scrutarmi con uno sguardo carico di enigmi, mi sentii come una marionetta, una bambola, manipolata da fili invisibili di un teatro oscuro. La stanza lussuosa sembrava un'elegante trappola, dove facilmente ci sarei cascata.

Il suono di passi pesanti echeggiò nell'aria, avvicinandosi senza aprire bocca.
Nel frattempo, mi ero alzata rapidamente, sedendomi sul letto e avvertendo un dolore allucinante alla schiena a causa delle frustate precedenti. Una smorfia di disagio si dipinse sul mio viso e abbassando lo sguardo, notai che i vestiti erano diversi: morbidi, bianchi e puliti. Arrossii, comprendendo che era stato lui a cambiarli. Mi pervase un senso di imbarazzo, ma per un istante dimenticai la terribile situazione in cui mi trovavo. Ero in pericolo, e l'arrossire per l'uomo che aveva violato la mia pelle, gettandomi in questo inferno, sembrava un'insignificante sfumatura di tormento in confronto al pericolo imminente.

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