Capitolo 1

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Aveva trovato il biglietto aereo solo il giorno prima, nascosto senza neanche troppa cura in un cassetto, riposto in una semplice busta bianca, così sottile da permettergli di leggere a chiare lettere il proprio nome e la data che avrebbe cambiato tutto di loro due.
Non aveva bisogno di aprirla per sapere cos'era, Merlin sapeva già che quello era il suo regalo, il regalo che aveva atteso per tutta una vita, quello su cui aveva fantasticato fin da bambino e che aveva diligentemente nominato ogni anno nelle lettere a Santa Claus.
Era il sogno per cui da adolescente aveva iniziato a lavorare alla tavola calda di Al ma che aveva dovuto accantonare presto e a malincuore, per risparmiare i soldi per il college.
Certo, se un cliente di quando in quando gli elargiva una mancia più generosa del solito, una piccola parte di quei soldi finiva immancabilmente nel fondo per il suo sogno segreto, in una lucida scatola rossa custodita gelosamente accanto al suo letto, ma la somma che riusciva a riporvi era sempre così irrisoria che il guardarla non serviva che a far sembrare quel sogno ancora più irrealizzabile.
Quindi, quello che Arthur gli stava per donare l'indomani, poteva ben definirsi il regalo dei regali, quello che più di tutti Merlin aveva sognato, aspettato, desiderato.
Solo che ora Merlin non lo voleva più. Non come prima.
Perché, ormai da tanto tempo, il suo sogno segreto era un altro.
Ma questo Arthur non avrebbe mai dovuto saperlo.

La sua festa a sorpresa, quella che Arthur aveva organizzato per lui bisbigliando con i loro amici alle sue spalle per tutta la settimana, nel vano intento di riuscire a fargliela sotto il naso, era programmata per l'indomani sera.
La data di partenza sul biglietto era fissata per il giorno successivo.
Merlin cercò di immaginarsi quel giorno.
La felicità che avrebbe dovuto fingere, le lacrime che non era sicuro di riuscire a trattenere, le parole che sapeva non avrebbe pronunciato.
Arthur gli stava dando l'opportunità di partire pensando con tutto il cuore di farlo felice e lui gliel'avrebbe lasciato credere.
Perché Arthur era un buon amico. Il migliore.
E se Merlin si era innamorato di lui, davvero non poteva fargliene una colpa.
Forse era il destino di Arthur quello di regalargli sia gioia che dolore nel giorno del suo compleanno.
Del resto era sempre stato così tra loro, fin dall'inizio.


1° Compleanno
Merlin compie cinque anni, è la sua festa e lui non conosce nessuno.
Lui e la sua mamma si sono trasferiti a Londra da poco, in una piccola casa in periferia.
Hunith, sua madre, ha trovato lavoro in una tavola calda. Deve prendere almeno tre autobus per raggiungerla ma lei dice che il posto le piace e che è contenta così.
Al, il proprietario, è una brava persona e la tratta bene. Non le affida turni troppo pesanti e la paga a sufficienza per permettere a lei e Merlin di saldare l'affitto e tirare avanti con dignità.
È stato proprio Al a contattare Hunith dopo la morte di Balinor e ad offrirle quel lavoro. Al è stato un caro amico del padre di Merlin e, ogni volta che Merlin lo incontra, non fa che ripetergli quanto lui glielo ricordi.
Per questo Merlin ce l'ha un po' con lui.
Merlin non vuole pensare a suo padre.
Perché quando lo fa gli viene sempre voglia di piangere.
In questo sua madre è più brava di lui. Anche lei pensa sempre al papà di Merlin, eppure riesce comunque a sorridere e a ricordare i momenti felici passati insieme. Hunith non ha paura di sentirsi triste e Merlin vorrebbe essere coraggioso come la sua mamma ma non ci riesce.
Suo padre gli manca troppo, lui era il suo amico speciale. Qui a Londra Merlin non ha nessun amico.
Lo zio Gaius non c'è.
E nemmeno Will.
La nuova scuola non gli piace, gli altri bambini si tengono lontani da lui e Merlin non capisce perché.
In cuor suo sa di essere diverso da loro, che i loro vestiti sono più belli e i loro zainetti niente affatto logori ma Merlin ama il suo zainetto rosso, è l'ultima cosa che suo padre gli ha regalato, quello che gli aveva detto l'avrebbe accompagnato intorno al mondo, e quindi non importa se quegli stupidi dei suoi compagni ridono di lui, dei suoi vestiti, del suo zainetto e delle sue orecchie.
Merlin sa di essere migliore di loro, più intelligente, perché in quella scuola non accettano bambini che abitano nel suo quartiere, a meno che non siano molto, molto speciali. E suo papà glielo diceva sempre: "Merlin, tu sei un bambino molto, molto speciale".
Ciò non toglie che sia strano per Merlin vedere tutti i suoi compagni correre per il cortile della scuola e gridare e divertirsi e mangiare la torta che la sua mamma ha preparato per lui, senza invitarlo ad unirsi a loro, come se non fosse il suo compleanno, come se lui non fosse neanche lì.
Vorrebbe tanto avere vicino Will.
Will avrebbe giocato con lui, Will avrebbe riso più forte degli altri bambini, avrebbe architettato degli scherzi fantastici, avrebbe rubato il suo pezzo di torta e gli avrebbe detto "tanti auguri" col suo sorriso sdentato, sporco di panna e cioccolato.
Merlin scrolla forte la testa, perché pensare a Will è un po' come pensare al suo papà, gli fa venire voglia di piangere e lui sa che se lo vedessero piangere, i suoi compagni lo prenderebbero in giro più di prima.
Una lacrima traditrice però gli scappa comunque e lui abbassa il viso velocemente, in piccola parte sicuro e grato del fatto che nessuno stia facendo attenzione a lui.
Merlin però si sbaglia. Perché un bambino più alto degli altri, un bambino che Merlin non ha mai visto prima, biondo, con dei luminosi occhi azzurri, gli si è avvicinato senza che lui se ne accorgesse ed ora è fermo davanti a lui e lo guarda senza dire una parola, come se Merlin fosse uno strano insetto e lui stesse cercando di capire a che specie appartiene.
- Perché piangi? – Gli chiede il bambino. Non è una domanda gentile. Nella sua voce non c'è simpatia, solo una nota curiosa, come se non riuscisse bene a spiegarsi l'intera situazione.
Merlin sente le orecchie andare in fiamme, gli succede sempre quando pensa che qualcuno stia per prenderlo in giro. Chiude la bocca ostinatamente e tiene gli occhi fissi al suolo, perché di tanto in tanto, se li ignora abbastanza a lungo, succede che gli altri bambini lo lasciano in pace, perché se lui non reagisce, prenderlo in giro non è poi così divertente.
Quel bambino però deve pensarla diversamente.
- Allora, perché piangi? – Il suo tono è spazientito, come se non fosse abituato a sentirsi ignorato.
- Non sto piangendo. – Gli risponde Merlin, cercando un modo per allontanarsi da lui.
- Sì che stai piangendo. – Ora il bambino sembra veramente offeso, come se Merlin gli avesse dato dello stupido, o peggio, del bugiardo.
- No, non è vero. –
- Sì che è vero. –
- No che non è vero e poi, anche se fosse, a te cosa importa? – Merlin glielo urla quasi contro, sbattendo un piede per terra. È la prima volta che si lascia andare così. Non è una brutta sensazione.
Il bambino biondo neanche si scompone.
- Non è il tuo compleanno oggi? Non dovresti piangere il giorno del tuo compleanno. – Lo dice come se fosse la cosa più ovvia al mondo. Un fatto noto a tutti, a parte Merlin a quanto pare.
Merlin non sa che cosa dire. All'improvviso non si sente più così speciale e intelligente, a dirla tutta si sente un po' ridicolo ed alza lo sguardo sul viso dell'altro, l'atteggiamento battagliero scomparso, riscoprendosi improvvisamente timido.
- Quanti anni compi? – Gli chiede imperterrito il bambino.
- Cinque – Gli dice piano Merlin, non sapendo bene come comportarsi né dove l'altro voglia andare a parare.
- Anch'io ho cinque anni. Li ho compiuti il mese scorso, quindi sono più vecchio di te. – Gli risponde l'altro con un gran sorriso furbo, tutto orgoglioso. - Ti va di andare sulle altalene? – E senza aspettare risposta, afferra il polso di Merlin e inizia a correre portandoselo dietro.
Merlin si lascia guidare, è così strano correre di nuovo con qualcuno, così strano sentire di nuovo qualcuno che ride con lui. È anche bello però.
- Vediamo chi arriva più in alto – Lo sfida il ragazzino biondo e così dicendo lascia andare la sua mano e si getta sull'altalena, iniziando a dondolarsi come se per lui quella fosse l'unica cosa importante al mondo, l'unica che conti davvero.
Merlin non è mai andato su un'altalena ma non lo ammetterebbe neanche sotto tortura, neanche se quel bambino conoscesse la "tecnica segreta del solletico di Will", che in quegli anni è riuscita ad estorcergli ogni suo segreto e più di un gelato.
Non vuole che quello strano bambino lo giudichi un moccioso, non vuole che lo pensi un codardo incapace, perché lui sembra essere così coraggioso, e si lancia contro il cielo come se non ci fosse nulla di cui aver paura e non ci fosse sensazione più bella al mondo.
Quindi Merlin prova a mimare le sue mosse, a darsi più spinta di quanta sia saggio osare ed ecco che la sua altalena vola più in alto della sua gemella, per un attimo gli sembra davvero di toccare le nuvole e si lascia scappare un verso stupito e felice... Poi qualcosa va storto, una spinta troppo potente gli fa perdere la presa sulle catene dell'altalena ed ecco che Merlin si ritrova a volare davvero, per un lungo meraviglioso attimo, prima di franare rovinosamente a terra.
Il dolore al polso è lancinante, e gli sembra impossibile che sia lo stesso polso che poco prima il ragazzino stringeva con tanta sicurezza.
Intorno a lui scoppia il pandemonio. Le maestre e gli altri bambini iniziano a strillare, chi di preoccupazione chi di divertimento. Gli sembra di sentire l'altro bambino scendere dall'altalena, strusciando con i piedi sul terreno, ed una vocetta stridula e determinata che grida: - Arthur, che hai combinato? –
Intanto Merlin avverte un paio di braccia che lo girano delicatamente e lui capisce che si tratta di una delle sue maestre, quella che ha quel buon odore di sapone che gli ricorda tanto la sua mamma. In mezzo alla confusione, Merlin vede una bambina bellissima, con lunghi capelli neri e grandi occhi verdi, con indosso un vestito bianco ed un nastro tra i capelli. Sembra uno di quelle fate di cui gli raccontava sempre il suo papà. La fata sta agitando un dito verso il bambino di poco prima, che però la ascolta solo a metà, mentre tiene lo sguardo fisso su di lui.
Merlin si morde un labbro. La mano gli fa un male cane e ora vorrebbe davvero mettersi a piangere, sbattere i piedi a terra e chiamare la mamma, però il bambino continua a guardarlo, come se fosse orgoglioso di lui, come se lo considerasse una specie di eroe, e quindi Merlin si sforza di non piangere, di essere coraggioso, perché vuole che lui continui a guardarlo così.
La maestra lo prende in braccio gentilmente e comincia a portarlo via, quando l'altro bambino corre verso di lui e gli grida: - Ehi tu, come ti chiami? –
E lui, sorridendogli nonostante il dolore, il primo vero sorriso della giornata, gli grida di rimando: - Merlin, mi chiamo Merlin! –
- Cerca di guarire in fretta Merlin! Io sono Arthur! Quando torni voglio la rivincita! – E così dicendo, rimane a guardarlo accanto alla bambina, un braccio alzato in segno di saluto.
Merlin nasconde il viso nell'incavo del collo della maestra e sorride.

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