Capitolo 5

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18° Compleanno

Per un secondo, il silenzio nella stanza è perfetto.
Merlin sente tutti i muscoli tendersi nell'attesa delle grida di gioia, della luce e del rumore, dei sorrisi e dei saluti, delle strette di mano, degli abbracci... Ma nulla accade, nessun suono arriva a spezzare la sua tensione, come se lui fosse lì, fermo sul nastro di partenza, pronto a scattare, e qualche giudice distratto non si decidesse a dare il via.
Cosa aspettano?
Merlin sente di non poterne più, di non aver più la forza di continuare, non vuole essere lì, non vuole festeggiare... Vuole solo che quel giorno finisca e invece si ritrova confuso, in quella stanza che sembra vuota, ad aspettare che qualcuno faccia cessare il buio.
Invece il buio non cessa, anzi sembra avvicinarsi. Merlin lo sente passargli accanto sfiorandogli la mano e girargli intorno, piano, come se danzasse, fino a fermarsi esattamente davanti a lui, in direzione del suo viso.
Lo sente respirare a due centimetri da lui, come per riprendere fiato.
Mormorare il suo nome senza un vero motivo...
Poi la realtà smette di avere un senso.
Il buio lo spinge con dolcezza contro la porta e gli accarezza le guance con le mani. Gli sfiora con i pollici gli angoli della bocca, quasi cercandola, in un tocco lentissimo ne modella il tepore.
Merlin sente le proprie labbra schiudersi, arrendevoli e sorprese, e davanti alla sua reazione il buio ride, una risata bassa e roca... Un suono ultraterreno, sconosciuto.
Intossicante.
Il buio ancora non parla, non spiega, pretende e basta.
Si appoggia sicuro contro di lui, come se lo conoscesse, come se gli appartenesse.
Gli tiene fermo il viso in una morsa riverente e leggera, quasi una supplica.
E infine lo bacia.
Ed il buio è alto quanto Arthur ed è caldo come lui ed ha il suo odore.
Merlin glielo respira tra i capelli, vi affonda il viso mentre lui scende piano a baciargli il mento e Merlin a quell'intrusione sente il sangue impazzire, e tutto quello che riesce a pensare è che Arthur lo noterà, sentirà i battiti corrergli senza freno sotto la pelle, e allora riderà ancora, e a quel punto Merlin perderà davvero la ragione, perché quella risata di poco prima era stata come un'esplosione, e lui può ancora sentirne i detriti che gli cadono addosso, come mille piccoli baci, sulle guance, sugli zigomi, le palpebre, tra i respiri.
Perché quelle non sono le labbra di Arthur.
E tutto quello non può stare accadendo realmente.
Non può.
E basta.
Arthur però sembra non essere dello stesso avviso.
- Tu sei... In assoluto... Il festeggiato più testardo... Più indisciplinato... E più ficcanaso... Che sia mai esistito, lo sai Merlin? –
E quella non può assolutamente essere la voce di Arthur, perché Arthur non gli parlerebbe mai così, e la sua voce non si spezzerebbe, non si interromperebbe per baciargli sorridendo la punta del naso, né per aprirgli piano il colletto della camicia, scostarlo impaziente con quelle sue dita un po' ruvide, fresche, e morderlo piano, ancora e ancora, come se dovesse scoprire il suo sapore eppure già sentisse di non averne abbastanza.
- Una vera spina nel fianco... Così curioso Merlin, così intelligente... Eppure ancora una volta sono riuscito a sorprenderti... Non è vero? –
Merlin sente le labbra di Arthur ad un passo dal proprio orecchio, il sarcasmo nella voce che fa bruciare il suo respiro, e le ginocchia quasi gli cedono mentre lui gli si accosta piano e gli sussurra divertito: - Sorpresa... –
E poi Arthur è di nuovo ovunque, sulle sue labbra, tra i suoi capelli, e Merlin si sente accarezzare, stringere, deridere, sfiorare, e sembra impossibile, e sembra vero, e sembra Arthur, e sembrano loro due.
Così diversi eppure gli stessi.
E allora è giusto aggrapparsi alle sue spalle, e cercare la sua bocca, ancora e ancora, perché è morbida e meravigliosa, ed è come la ricordava, come l'aveva seppellita nel proprio cuore, giusto un anno prima.
Già allora quelle labbra gli avevano tolto il sonno, solo restando addormentate contro le sue.
Ora invece quelle labbra gli cambiano il respiro e gli torturano il cuore, e dicono il suo nome, come un canto, e si allontanano per un secondo per poi tornare di nuovo, più calde, sorridenti, ipnotizzanti, su di lui, e Merlin si dice che non gli basterà mai, che ora che sa cosa vuol dire esser baciati da Arthur non sarà più in grado di lasciarlo andare, che non gli importa se Arthur è impazzito, se sta cercando di rendergli meno amaro il distacco o se si sta prendendo gioco di lui.
Arthur in quel momento è suo.
Perché si è avvicinato troppo per credere di potersi salvare da lui.
Ma sembra davvero che Arthur non voglia andare da nessuna parte.
Merlin lo sente far correre veloce le mani sul tessuto leggero della sua camicia, stringergli con poco riguardo i lembi della giacca, e sembra proprio un gioco di prestigio, perché dopo due secondi la sua giacca non è più lì, Merlin la sente cadere a terra con un tonfo leggero, che riecheggia nell'oscurità, rendendo tutto tremendamente reale.
Merlin apre gli occhi, che non si era neanche accorto di tenere chiusi, l'idea che stia accadendo davvero lo colpisce così forte da farlo vacillare e cerca smarrito il viso di Arthur nell'oscurità. Gli mette le mani ai lati delle tempie, stringendosi piano ai suoi capelli, senza guidarlo, senza resistere, seguendo i suoi movimenti come se assecondasse una corrente, accontentandosi di sapere che Arthur è lì con lui, come uno scoglio da non lasciar andare.
Si lascia baciare, anche se sente di non avere più fiato, si lascia spingere contro quel legno chiaro, anche se di momento in momento gli sembra di dissolvercisi un po', come se il calore di Arthur potesse incastonarlo per sempre in quella porta, rubandogli la libertà e persino il suo nome.
Perché cosa importa?
Cosa importa se non respira o non può muoversi? Arthur può fare di lui quello che vuole.
Potrebbe anche prenderlo lì per poi metterlo su un aereo domani. Ne sarebbe comunque valsa la pena.
Ma già mentre lo pensa sente una stretta gelida al cuore, nonostante Arthur stia armeggiando con la sua camicia e le sue labbra stiano risalendo veloci al suo viso, agli zigomi, la fronte, le palpebre, tutto...
- Arthur... – È quasi comico che stia cercando di parlare.
Arthur non si lascia distrarre, compie di nuovo quel trucco ed anche la camicia di Merlin cade a terra in un fruscio leggero.
Merlin si ripromette di farsi spiegare un giorno come fa.
Arthur appoggia la guancia alla sua, sfregandogli col naso i corti capelli sulla tempia. Gli prende entrambe le mani, che ora ciondolano inanimate lungo i fianchi, come se il contatto con l'aria della notte avesse tolto loro ogni energia, e risale con i pollici verso l'interno dei polsi, sfregando dolcemente, e Merlin allora scorda quello che voleva dire e alza il volto al cielo, come per cercare aiuto, mentre Arthur gli carezza le braccia e la curva delle spalle, per poi chiudergli le mani intorno alla gola, in un gesto così calcolato e lento da soffocargli il cuore.
Allora Merlin socchiude di nuovo gli occhi, per costringersi a ragionare, per recuperare la voce e provare di nuovo a chiamarlo, a interrompere quel contatto che aspetta solo da tutta la vita.
Un gioco da ragazzi.
- Arthur... – E quel nome, sulle sue labbra ancora calde dei suoi baci, sembra quasi uno scherzo.
- Shhhh... – Gli fa lui, sfiorandogli quelle stesse labbra con le dita – Non parlare. Non pensare a niente ora Merlin... – E a Merlin sembra quasi di sentirlo sorridere nel buio, e all'improvviso gli sembra tutto molto ingiusto. Che Arthur possa sorridere sereno mentre mette a soqquadro il suo mondo è davvero qualcosa che non dovrebbe lasciar accadere.
Gli mette le mani sulle spalle cercando di spingerlo via mentre Arthur si protende svelto verso di lui per rubargli un altro bacio.
Le sue labbra, manco a dirlo, sono sleali quanto lui.
Indugiano tra i suoi respiri per indurlo a cedere, per far sì che sia lui a cercarle ancora. Scherzano con la sua bocca, restando lontane di un niente, quel tanto che basta a non lasciarsi sfiorare, eppure è come se non attendessero che lei, come se non chiedessero altro che esser stanate, inseguite, catturate.
Come se fosse tutto uno stupendo gioco.
A quel pensiero, dentro Merlin qualcosa si ribella e tutto il desiderio di quel momento si trasforma in rabbia ed allora riesce davvero a reagire, a spingere lontano Arthur, così forte da farlo arretrare, e a correre con la mano all'interruttore della luce, per mettere fine a quella farsa.
- Si può sapere che ti salta in testa? – Gridargli contro, ora, è quasi un bisogno.
È così furioso con lui... Così arrabbiato...
Arthur è lì a tre passi, che lo guarda stralunato. Come se non si aspettasse affatto quella reazione.
Ha il respiro affrettato e gli zigomi accesi, le sue spalle che si alzano e si abbassano catturano gli occhi di Merlin come un magnete... Le labbra rosse come mai prima, i capelli sparati tutti da un lato lì dove gliel'ha strattonati troppe volte. I suoi occhi sono come persi, allucinati, così grandi e azzurri...
È bello da morire... Ma quella sua bellezza finisce quasi per irritare Merlin di più, perché lui sta già iniziando a non sentirsi più se stesso, incapace di tornare nella sua pelle e nei suoi pensieri, come se Arthur baciandolo avesse cambiato ogni cosa e, accidenti a lui, non ne aveva il diritto.
- Si può sapere che diavolo credevi di fare? –
Vuole sgridarlo, vuole ferirlo, vuole sconvolgerlo, prenderlo a pugni e baciarlo ancora.
E ancora.
E ancora.
Senza dover poi più smettere.
Ma non può fare nulla di tutto questo.
Perché due secondi gli bastano per capire che qualcosa non va, a cominciare da come la sua voce risuona nella stanza... Amplificata, potente, come se nulla arrivasse a fermarla.
Ed anche i colori sono sbagliati... È tutto troppo chiaro lì dentro.
Merlin finalmente stacca gli occhi da quelli di Arthur e riesce a guardarsi intorno.
Lo shock è talmente forte da farlo arretrare, aggrappare alla maniglia della porta come se fosse l'ultimo scampolo di lucidità esistente al mondo.
- Arthur... Dove sono i nostri mobili? – La sua voce ha perso ogni nota battagliera, come se quel ladro dispettoso l'avesse rubata insieme alla loro mobilia.
La verità è che a quel punto Merlin ha deciso semplicemente di smettere di pensare.
Arthur si sistema i bordi della giacca e scrolla le spalle, recuperando in un momento la sua solita faccia da schiaffi, come se l'avesse appena tirata fuori dal taschino, inamidata e perfetta.
- Venduti, prestati, parte della tua roba l'abbiamo divisa tra casa di tua madre e di Morgana, mentre Gwaine è stato così carino da prendere un po' della mia... Non molta a dir la verità... Tu sei stato più fortunato... –
- Io non capisco... –
- Oh lo so che non capisci Merlin... – Gli dice Arthur avvicinandosi sorridente, quasi come se la sfuriata di poco prima non fosse mai avvenuta. Allunga una mano verso la sua nuca e lo avvicina a sé per un bacio leggero, a fior di labbra, al quale Merlin risponde automaticamente, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se non fosse mai stato arrabbiato con lui e non ci fosse mai stato un tempo in cui loro due non si comportavano così. – È anche per questo che ti voglio così bene. –
E detto questo Arthur lo abbraccia stretto, stringendogli forte le braccia intorno al collo, sorridendo come uno stupido.
Merlin lo lascia fare, rimane inerme tra le sue braccia, il cuore che batte come un tamburo.
- Ho una brutta notizia da darti... – Gli dice Arthur parlandogli tra i capelli - Mio padre mi ha praticamente tagliato i fondi quando gli ho detto che me ne andavo... Quindi quando torneremo, dovremo trovare un altro posto dove stare... Ed anche se non si tratterà di una catapecchia, posso dire con una certa sicurezza che dovrai dire addio al tuo bagno privato... Pensi di poter sopravvivere comunque? –
- Certo che sì, per chi mi hai preso? – Gli risponde lui di getto, quasi senza pensare - Quando siamo venuti ad abitare qui ho insistito solo perché... – Poi però ferma la sua arringa un secondo, perché il suo cervello ha finalmente registrato la parte iniziale dell'annuncio di Arthur. Lo allontana di nuovo da sé, più che altro per poterlo guardare in viso, tenendogli le mani sulle spalle.
- Che vuol dire che hai detto a tuo padre che te ne andavi? E cosa intendi con quando torneremo? –
- Voglio dire... – E così dicendo Arthur si allontana da lui e si china a raccogliere la busta bianca che Merlin aveva lasciato cadere a terra durante il suo primo, dolcissimo assalto. - Che se ti fossi preso la briga di controllare meglio, ti saresti risparmiato tutta questa agitazione... Ma forse è stato meglio così... –
Si ferma un attimo a guardarlo, come se non l'avesse mai fatto veramente e lo vedesse ora per la prima volta.
- Nessuno mi si era dichiarato in questo modo... E non lo dimenticherò mai. –
Il sorriso che gli rivolge è davvero da togliere il fiato.
- Ciò non toglie – Continua voltandogli le spalle, dirigendosi verso il camino - Che con la tua dannata curiosità hai quasi rischiato di rovinare tutto! Ed io che mi ero così dato da fare... – e così dicendo prende una busta bianca, gemella di quella che ha già in mano, da sopra la mensola del caminetto, poggiata lì dove un tempo c'era stata una foto di loro due... Arthur con un rapido gesto rivela il contenuto di entrambi gli involucri e... Impossibile... I biglietti aerei da uno diventano due...
In un momento, il ricordo di quel giorno assale Merlin... Lui che apre il cassetto di Arthur buttandoci alla meno peggio i suoi calzini, la sua mano che tocca qualcosa... il suo biglietto, il depliant dell'agenzia di viaggi... Possibile che lì ci fosse anche il biglietto di Arthur e lui, già troppo sconvolto, non se ne fosse accorto? Davvero se avesse continuato a cercare si sarebbe risparmiato tutta quella pena?
Probabilmente, se non fosse stato così felice, si sarebbe sentito tremendamente stupido.
Invece rimane lì, a guardare ora i biglietti, ora lui, ed anche se non ha ancora inquadrato a dovere la situazione e ci sarebbero tantissime cose da chiedere, non può fare a meno di sentire qualcosa scioglierglisi in gola, quel nodo di dolore che gli si era stretto all'animo cinque anni prima.
- Io parto con te. Ti è più chiaro così? – Gli dice Arthur, allacciandogli le braccia al collo e sorridendogli da tanto vicino da abbagliarlo per mezzo secondo.
Quando infine lo bacia, socchiudendo gli occhi, Merlin rimane a guardarlo, incapace di fare altrettanto... Il colore dorato della sua pelle, le lunghe ciglia bionde... È quasi surreale: ogni cosa di lui è nuova, vista da così vicino.
"Non mi abituerò mai" pensa Merlin tra sé, poi chiude gli occhi anche lui, come per contraddirsi, e si stringe di più ad Arthur, perché già cercare le sue labbra gli viene naturale.
Dopo minuti che sembrano ore, Arthur si scioglie piano dal bacio, un'espressione contrariata e buffa sulla faccia.
- Ti sei visto con qualcuno mentre io non c'ero? – Gli dice, d'un tratto sospettoso.
- Certo che no! Arthur, che vai a pensare? –
- Perché baci molto meglio dell'anno scorso... – Il tono divertito, arrogante...
Per un intero secondo... No, per molto meno a dir la verità, la mente di Merlin prova a proteggerlo da quel commento, come se il suo significato fosse a portata di mano ma lui per qualche motivo non riuscisse ad afferrarlo. È una sensazione frustrante e spiacevole, perché anche se per poco, lui sembra essere l'unico nella stanza a non afferrare qualcosa di importante... Di fondamentale... Ma non è nulla di paragonabile a quando la comprensione lo colpisce in pieno viso.
Merlin si scioglie dall'abbraccio di Arthur.
È stato un riflesso spontaneo ma che sembra aver consumato ogni sua energia.
Resta fermo davanti a lui, senza ricordare come si fa a parlare, senza riuscire a formulare un pensiero coerente, finché guardando attentamente i suoi occhi non vi trova ciò che sospettava già.
- Il lago... – Gli dice in un sospiro - Tu eri là! No, voglio dire... Certo che eri là... Eravamo lì insieme... Ma eri sveglio! E hai visto tutto... Hai sentito... Tutto... –
Ed è come se il suo corpo diventasse di pietra, come se Arthur avesse avuto il potere di congelarlo sul posto. Merlin rimane lì, ad occhi bassi, capace solo di mormorare, perché ormai anche il suono della propria voce gli sembra qualcosa di inopportuno, da dover nascondere.
- Non avresti dovuto vedermi così. Non avrei mai voluto che mi vedessi così... –
Sembra quasi parlare a se stesso.
Parole che non ha mai pronunciato ad alta voce ma che gli bruciano in gola da sempre, ed ora che ha iniziato a lasciarle andare, fermarsi gli sembra impossibile.
- Quello è stato un momento solo mio, che apparteneva a me. –
Pone l'accento sull'ultima parola, come se Arthur l'avesse privato di qualcosa.
- Non era fatto perché tu lo vedessi... So cosa avrai pensato, è quello che avrebbe pensato chiunque... Che quel bacio non era altro che un patetico tentativo di rubare qualcosa che non mi apparteneva, che non era per me... Ma non è così... Non è questo che è stato... –
Il dolore nella sua voce è come un'altra presenza nella stanza. Arthur fa per avvicinarsi tendendo una mano verso di lui ma Merlin si ritrae ancora, un passo indietro nella stanza e dentro se stesso, fino a tornare alle ferite di quel giorno.
- Tu non potrai mai capire, Arthur. Cinque anni. Cinque. Anni. Cinque anni di sguardi rubati senza poi riuscire a guardarti negli occhi, cinque anni a sfuggire anche al più innocente dei gesti... Io ti volevo così tanto e tu eri ovunque! Ovunque! Non mi lasciavi mai in pace! Più io scappavo e più tu eri con me, più cercavo di allontanarmi e più tu mi chiedevi di starti vicino. Ogni anno una richiesta, ogni anno una ferita. La macchina e la casa sul lago e Gwen e il nostro vivere insieme... Mi hai stanato ovunque mi nascondessi, mi hai sconfitto ogni volta in cui credevo di poter combattere. Tu non sapevi nulla, certo... Ma quanto si può essere stupidi? Davvero? Quanto si può essere ciechi? Tu sei il mio migliore amico... Chi altri mai avrebbe dovuto capire cosa mi accadeva se non tu? E quella notte sul lago è stata la rabbia a vincermi, la rabbia, il desiderio e questo senso di vuoto con cui devo vivere sempre, costantemente, solo perché tu non sei con me. E credimi, è stato un momento che ho pagato caro. Più caro di quanto tu possa immaginare. Volevo solo sapere cosa si provava a non dover chiedere permesso, a non dover chiedere scusa, ed anche se ho sbagliato, non credere di poter capire cos'è stato, perché tu non puoi saperlo. Tu non puoi saperlo Arthur. –
Aveva iniziato mormorando ma la sua voce aveva preso coraggio via via che la sua mente correva, mentre tornava a quegli anni in cui quell'amore gli aveva tolto ogni speranza, una ad una, come i petali di una margherita.
Poi, col fiato rotto ed un peso enorme in meno sul cuore, torna a guardare Arthur che si è tenuto distante, non ha più cercato di avvicinarsi, restando invece ad ascoltare, come se la sua rabbia non l'avesse sorpreso, solo addolorato.
- Volevo farti uno scherzo. – Ammette Arthur alla fine, allargando un po' le braccia e poi lasciandole ricadere lungo i fianchi, dispiaciuto, impotente davanti a ciò a cui ormai non può porre rimedio, forse pentendosi di aver parlato troppo. Merlin scommette che, se potesse, Arthur rimetterebbe volentieri indietro le lancette dell'orologio, e gli dispiace per lui, perché ciò che accade una volta non si può cambiare, lo sanno tutti e due, la morte dei rispettivi genitori ha insegnato loro proprio questo.
- Quella notte, sul lago, mentre me ne stavo fermo ad occhi chiusi, accanto a te, non chiedevo altro che riposare un po' la mente, godermi quel momento con te e provare a non pensare a quello che mi avevi detto... Che l'anno successivo non saremmo potuti tornare lì insieme, perché le nostre vite ci avrebbero portati l'uno lontano dall'altro... Vedi, quello era un particolare a cui io non avevo ancora pensato. Ero così abituato al fatto di averti con me che ormai lo davo per scontato. Una vita senza Merlin... Sembrava solo una storia ridicola, qualcosa che stava per accadere a qualcun altro... E invece stava per accadere a me. A noi. E mi infastidiva. Non riuscivo proprio a scrollarmi quel senso di fastidio dalla testa. Non ero mai stato bene senza te in giro, come durante il primo anno di università... Mi ero sentito.. Non so... Come se non fossi mai davvero a casa mia. Se in America mi fossi sentito così, cos'avrei fatto? All'improvviso ho avuto paura. Non scherzavo sai, quando ti ho proposto di venire con me... Cioè, all'inizio sì... Ma poi mi sono detto "Perché no? Se Merlin volesse seguirmi sarebbe davvero fantastico". Certo, tu avevi rovinato tutto il mio entusiasmo con la tua solita lingua lunga... Ma non mi sembrava di chiederti chissà cosa, tanto avresti dovuto comunque trovarti un lavoro a Londra... E partire per New York non sarebbe forse stato come farlo per il tuo famoso viaggio... Ma sarebbe stato un inizio... In tutta onestà sapevo che se avessi insistito un po', tu saresti venuto con me... Insomma... Di solito era così... Mi assecondavi sempre, alla fine. –
Sul viso gli spunta un piccolo sorriso timido, che non riesce a nascondere.
- Insomma, ero lì, ad occhi chiusi, perso nei miei pensieri, quando ho sentito che ti muovevi, che ti stavi avvicinando a me, piano, come se non volessi farti scoprire. Ho creduto che volessi farmi qualche scherzo ed allora sono rimasto zitto ed immobile, fingendomi ancora addormentato, per poter essere io a sorprenderti, a farti prendere il miglior spavento della tua vita... –
Arthur ha lo sguardo lontano e parla mentre sorride, come se si divertisse nel rievocare quei momenti. È così assurdo che lo stesso ricordo susciti in loro emozioni tanto diverse...
Merlin continua a guardare il suo volto, finché Arthur non sposta gli occhi su di lui, e all'improvviso sono così azzurri ed onesti che il dolore di poco prima è come se arretrasse davanti a loro, sempre più debole, fino a sparire, come se non avesse più un buon motivo per restare.
Ciò che resta è solo curiosità, e il desiderio di sentirlo parlare ancora.
- Però tu sei rimasto su di me così a lungo... Sentivo il tuo sguardo che mi fissava, il tuo respiro accelerato, quasi spaventato, ed anche se non potevo vederti o toccarti, era come se percepissi la tua agitazione. Eri teso come una corda Merlin ed io non ne capivo il motivo. Non capivo il perché di tutto quel trambusto solo per una semplice burla, solo per riuscire a farmi paura. Poi ho sentito il tuo respiro avvicinarsi, centimetro dopo centimetro, ed allora ho capito. Non solo ciò che stavi per fare ma ho capito il perché di ogni singola stranezza di quegli ultimi anni, e perché accanto a te mi ero sempre sentito così amato. La risposta era semplice ed era sempre stata lì a portata di mano... Ed era che tu mi amavi. Mi amavi davvero. Più di chiunque altro, più di tutto, ed io non avevo mai capito niente. Avrei voluto prendermi a pugni ma non potevo, perché ormai tu eri lì, ad un respiro da me, e non potevo neanche permettermi il lusso di sorprendermi e trasalire, perché sapevo che se tu avessi capito che ero sveglio, la nostra amicizia sarebbe finita in quel momento e per sempre. Perché tu non saresti mai più stato in grado di guardarmi in faccia, anche se ti avessi detto che era ok, e non avresti mai potuto perdonarti, neanche se ti avessi chiesto io di farlo. Così sono rimasto fermo ad aspettare le tue labbra e ti giuro che nessun secondo della mia vita è mai durato tanto a lungo. Perché, ora lo capisco, anch'io volevo sapere. Se non sono saltato su come una molla impedendoti di baciarmi, non è stato solo per generosità, per risparmiarti un dolore, ma perché, visto che avevo capito, allora io volevo sapere. Volevo sapere come sarebbe stato. Volevo avere il tuo coraggio. Era come se tu mi stessi coinvolgendo in una delle nostre sfide... Una sfida a cui non avevo mai pensato ma dalla quale non volevo tirarmi indietro. Poi tu finalmente mi hai baciato ed è stato... Come spiegartelo... Diverso da come credevo. È stato bello, e dolce, e tuo. Eri tu Merlin. Eri davvero tu. Era quasi normale. Come se l'avessi già fatto mille volte e non ci fosse alcun motivo per non farlo ancora. Perché eravamo noi. Come lo eravamo sempre stati. Come lo saremmo stati sempre. Stavo quasi per dirtelo, stavo quasi per svegliarmi, quando tu ti sei allontanato sconvolto da me, come se quel bacio ti avesse bruciato dentro. Sei rotolato su un fianco ed io non ti ho sentito più. Sapevo che eri lì accanto ma non potevo toccarti e non potevo aprire gli occhi, sentivo solo il tuo respiro strozzato e non sapevo che fare. Mi sono azzardato a muovere piano una mano, a cercare di arrivare il più vicino possibile al tuo viso, solo perché sentissi che andava tutto bene, che io non andavo da nessuna parte. Poi tu hai poggiato la testa nel mio palmo, come se cercassi conforto, e sono stato così felice che tu non scappassi, che mi volessi ancora... Poi però ho sentito le tue lacrime sul mio polso, ho sentito che cercavi di soffocare i singhiozzi per non svegliarmi, proprio tu, che a causa di quel tuo dannato orgoglio, fin da piccolo non hai mai pianto senza una buona ragione... E mi si è spezzato il cuore. Ed ho capito che, anche se in quel momento ciò che più volevo era dirti di non preoccuparti, che quel bacio l'avevo sentito anch'io, che ero stato con te fino all'ultimo...E che... Avrei voluto provarci ancora... Non era quello di cui avevi bisogno. Ciò di cui avevi bisogno era che per una volta non fossi impulsivo, che non fossi avventato, che non mi buttassi a capofitto in qualcosa che non ero sicuro di poter portare a termine. Perché se ciò che avevo intuito era giusto, tu ci avevi protetti così a lungo e con tanto impegno, che io non potevo arrivare e rovinare tutto con la mia solita irruenza. Tu meritavi più di questo. –
- Ma allora... –
- Allora ho condotto un esperimento. Lo so, la parola non mi fa molto onore, ma io dovevo capire, dovevo sapere se potevo amarti quanto mi amavi tu, che non era stata solo l'impressione di un momento. Che ti volevo bene già lo sapevo ma amarti, desiderarti... Non potevo capirlo in pochi secondi. Quindi ecco spiegato il nostro folle anno. Lo so che ti ho confuso e forse mi odierai per questo, però in coscienza credo d'aver fatto davvero tutto quello che potevo, Merlin, per evitare di ferire entrambi. E per salvare la nostra amicizia nel caso le cose non fossero andate bene. Per mesi ho provato a vivere con te come se fossimo una vera coppia. Tu non dovevi saperne niente, quindi non potevo tentare di baciarti in qualche angolo buio dell'appartamento, e ti giuro che qualche volta ci sono andato pericolosamente vicino, ma per il resto ho cercato di viverti accanto come si deve, e non come quello stupido che ero stato fino ad allora. Volevo dividere le mie giornate con te, sentirti parlare, tornare a casa da te dopo il lavoro, farti ridere e, col tempo, vedere se riuscivo a farti un po' innamorare... Di me... Ancora di più, se possibile. Che ti amavo l'ho capito il mattino dopo capodanno. Avevi passato la notte a vomitare e quando mi sono alzato ti ho trovato seduto al tavolo, le braccia stese davanti a te, il capo buttato in avanti alla meno peggio, semi addormentato e distrutto. Sembravi uno zombie di cattivo umore, eppure quando sono entrato in cucina hai alzato il viso e mi hai sorriso, il tuo solito sorriso scemo, che ti arriva da un orecchio all'altro, di quando non sei totalmente in te. Avevi indosso quell'orribile maglietta militare che non sono mai riuscito a farti buttare, e la tua pelle aveva una tonalità verdognola davvero impressionante per qualcuno che, a meno che tu non mi abbia nascosto qualcosa, chiaramente non è un extraterrestre... Per non parlare delle occhiaie... Eppure io volevo baciarti lo stesso. Anche allora, anche così. Perché eri Merlin, ed eri straordinario, ed eri mio. Per questo sono fuggito a New York: perché se ti fossi restato accanto anche un solo giorno avrei finito per confessare tutto e dichiararmi come uno stupido, invece volevo esser sicuro al 100% di non poter più immaginare una vita senza di te. Rendermi conto di cosa significasse non averti nella mia vita, non poterti chiamare ad ogni momento per pranzare insieme o andarcene in giro sulla tua auto, solo perché ci andava di farlo. Solo così sarebbe stato vero, reale. In tutti quegli anni, tu mi avevi donato il tuo amore così generosamente che avevo finito per darlo per scontato, e quello era un errore che volevo assicurarmi di non ripetere mai. Inoltre era qualcosa che dovevo a mio padre. Ad essere sincero, ora capisco di aver anche avuto paura. Paura del cambiamento. Paura di perdere noi. Perché tu sei il miglior amico che ho. Il miglior amico che avrò mai. Ed una piccola parte di me temeva che innamorandomi di te, non sarebbe più stata la stessa cosa. Sono partito senza voltarmi indietro, ho cercato di chiamarti il minimo indispensabile, ed è stato un inferno. Un vero inferno Merlin. Tornavo a casa la sera e tutto quello che desideravo era sentire la tua voce familiare che mi faceva ridere, raccontarti la mia giornata sapendo che dopo mi sarei sentito meglio, e mi ritrovavo col telefono in mano, senza un buon motivo per non cercarti. Ma non era solo quello. Anche un amico può mancarti così. Mi mancava il modo in cui chiamavi il mio nome. Mi mancavano i tuoi occhi, e come si abbassavano appena quando mi guardavi credendo che non me ne accorgessi. Mi mancava il tuo girare per la cucina la mattina, con addosso solo i pantaloni del pigiama e quei tuoi occhiali da imbranato, e il metterti a sbirciare il giornale oltre la mia spalla, borbottando e commentando le notizie ad alta voce, impedendomi di leggere in pace. Mi mancavano le tue orecchie che sbucavano da sotto i capelli, mi mancava il tuo odore. Mi mancava tutto di te. Tutto. Sono tornato a casa e mi sono detto che non ti avrei lasciato mai più. Ho detto tutto a mio padre, almeno a grandi linee... Penso che il più l'abbia capito da solo. Forse in futuro potrebbe arrivare a perdonarmi la storia con te ma di sicuro per ora non riesce a perdonarmi New York, ed il fatto che lo stia piantando in asso per partire con te. La parola "diseredare" è uscita almeno un paio di volte dalla sua bocca. Lo sai com'è fatto. Diamogli tempo e si calmerà e se così non fosse... M'inventerò qualcos'altro... Sono un tipo dalle mille risorse, lo sai. L'importante è che ora siamo insieme. –
E quasi per sottolineare la cosa, Arthur gli si avvicina di nuovo, intrecciandogli le braccia intorno alla vita, cercando il suo sguardo e appoggiando la fronte alla sua.
Merlin si sforza di rispondergli qualcosa...
"Volevo vedere se riuscivo a farti un po' innamorare... di me... ancora di più."
Però la sua voce, le sue parole, sono ancora così...
"Che ti amavo l'ho capito..."
È che non sembra quasi vero...
"Eppure io volevo baciarti lo stesso."
E se le labbra di Arthur non lo distraessero tanto...
"Eri Merlin, ed eri straordinario, ed eri mio."
Se solo il suo cuore lo ascoltasse un minuto...
"Mi sono detto che non ti avrei lasciato mai più."
Allora forse riuscirebbe a chiedergli se...
"Ora siamo insieme."

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