Cap 15

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Lasciai la sala cinema per dirigermi verso il bagno in cella, non potevi alzarti dal posto se il film non era finito.

Velocemente percorsi il corridoio comune e salii le scale ma in cima ad esse vidi un gruppetto di ragazze che mi guardavano con fin troppo interesse, mi resi conto di quello che stava per accadere tardi.

Mi trovai accerchiata e senza via di fuga.

«Ciao» I suoi occhi a mandorla mi si piantarono nel cuore, erano settimane che li vedevo nei miei incubi.

«Le mie amiche» Akame indicò le altre che la spalleggiavano «Dicono che ora che sei tornata dal mondo dei morti, sei immortale» Fece un ghigno «Per me sei solo uno scarafaggio» Lo disse con un disprezzo tale che mi fece accapponare la pelle.

Avevo la vista offuscata, le gambe stavano per cedere ma feci appello a tutta la mia forza per restare impassibile.

Si guardò velocemente intorno e vide che non c'era nessuno «Chi ti salverà ora?» disse teatralmente.

«Io non ho bisogno di essere salvata» La sfidai, l'avrei affrontata anche ora, anche se eravamo una contro cinque.

Mi preparai allo scontro, a guardia alta, cercando di ricordare, nel panico, quel poco che sapevo di autodifesa, base del polso in avanti per spaccarle il naso o calcio nel basso ventre per farla svenire dal dolore, potevo anche farcela.

«Akame» Una voce dietro di lei la richiamò, non la riconobbi subito, era autoritaria e fredda, poi mi si palesò davanti la divisa della vigilanza.

Altagracia si posizionò davanti a me e mi fece cenno di starle dietro «Non iniziare una guerra che non vincerai mai».

Akame le si avvicinò e la spintonò lievemente «Ristabilisco l'ordine nel mio carcere»

«Spero ti pianti un coltello in gola prima che tu te ne accorga, stronza».

Immaginavo di chi parlasse

Mi guardò un'ultima volta prima mi dileguarsi insieme alla sua schiera di adepte, sapevo che aveva solo rimandato l'inevitabile.

Rivolsi la mia attenzione ad Altagracia e la ringraziai, era la prima volta che la guardavo così da vicino, aveva un viso triste, le occhiaie pronunciate, segnata da qualcosa che la tormentava.

«Non l'ho fatto per te».

Si dileguò quando vide Zulema raggiungerci con passo svelto, teneva gli occhi serrati ma gli angoli della bocca gli si tesero in un sorriso. «Te l'avevo detto di non andare in giro da sola».

 Ancora non capivo cosa c'era fra quelle due.

Quando fu certa che se ne fosse andata, mi allungò una mano e rimase in attesa di una mia reazione «Ti accompagno io».

Avrei potuto, anzi avrei dovuto, arretrare di fronte a quell'intimità imprevista, ma non riuscii a muovermi.

Inarcò un sopracciglio «Vuoi che me ne vada?»

Scossi la testa.

Mi prese per mano, mi costrinse ad andare via, restammo in silenzio per tutto il tempo, lei guardava davanti a sé, io guardavo lei.

Lasciò la mia mano quando arrivammo alla cella 234.

«Hai questa strana abitudine a metterti nei guai, sei masochista?» Vidi un sorriso beffardo tanto bello da catturarmi come un'idiota, feci una smorfia «Che stai combinando con la guardia?»

Ignorò completamente la mia risposta. «Lo sei?»

Alzai gli occhi al cielo infastidita «Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda»

«Anche io ti ho fatto una domanda, ancora più importante»

Stava a qualche spanna da me, a braccia conserte, mi guardava con curiosità, ebbi l'impressione che non mi sarei mai abituata alla sua presenza.

«Abbiamo un piano, io e lei» Continuò.

Non capii subito, la guardavo mentre il mio cervello incasellava le sue parole, una dopo l'altra, come tessere di un inquietante puzzle «Per far fuori la regina».

Fui impassibile «Perchè me lo stai dicendo?»

«Per quello che hai detto prima sulla vendetta»

Sostenni il suo sguardo, aveva gli occhi più neridel solito.

«Se è per me che lo fai, non ne vale la pena»

Per un po' di tempo dopo essermi svegliata dal coma avevo meditato vendetta contro quella stronza, immaginavo che l'avrei fatta soffrire allo stesso modo in cui lei aveva fatto soffrire me, ma quando iniziarono a passare i giorni, passò anche il mio istinto omicida, la razionalità aveva avuto la meglio, non mi sarei rovinata l'esistenza per lei, non ero un'assassina.

Ma Zulema lo era, lei aveva ucciso in passato, non si sarebbe fatta scrupoli a farlo di nuovo, ma io non volevo che qualcuno morisse per me.

Sorriso grande, i suoi denti bianchi cozzavano con l'oscurità di cui era intrisa «Tranquilla, non lo faccio per te».

Pensai che non era vero, ma non glielo dissi, anche se non lo fosse stato, non me l'avrebbe detto mai.

«Lei perchè lo fa?» 

Fece spalluce «Le hanno ammazzato il fidanzato»

Ora capivo il perchè era cosi disperata da fare un accordo con Zulema.

«E in cosa consiste il piano?»

«Cosa ti fa pensare che verrei a dirlo proprio a te?» Iniziò ad allontanarsi.

Le feci il dito medio, poi iniziai a sistemare il letto per la notte. 

Amabili restiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora