Cap 2

531 28 0
                                    


Con il passare dei giorni, riuscì ad alzarmi dal letto.

Feci qualche passo, reggendomi a delle sbarre fredde come il ghiaccio, ma ogni volta che i miei piedi toccavano terra un dolore lancinante attraversava tutto il corpo.

Dicevano che avrei camminato presto, che sarebbe bastato un po' di lavoro e molta forza di volontà, eppure sono giorni che cado ogni volta che provo a mollarmi da queste stupide sbarre gelide, anche se non vorrei altro che poter avere la forza di usarle per spaccare la testa all'infermiera che mi incoraggia come se fossi una bambina alle prese coi primi passi.

Ogni giorno vengo in questa stanza grigia, mi alzo dalla sedia a rotelle e lotto contro il mio stesso corpo per cercare di tornare quella che ero prima.

Ammetto di aver pregato, i primi giorni.

Pregavo di guarire presto, di poter camminare e tornare a Cruz de norte ad abbracciare la Riccia, Saray, Sole e le altre.

Mi resi conto presto che se anche ci fosse stato qualcuno lassù ad ascoltare, non avrebbe mai preso in considerazione di aiutare proprio me, così smisi di pregare.

Ora l'unica cosa che facevo era guardare dalla finestra, per ore, ogni giorno.

Avevo imparato ogni tetto della città che si vede da questa dannata finestra e sapevo esattamente sotto quale, il sole si nasconde al tramonto.

Oggi c'è il sole.

Per giorni ha piovuto incessantemente, mentre oggi vedo i bambini giocare sulle terrazze dei palazzi più vicini all'ospedale.

Maledetti bambini, così liberi.

Io invece vivo imprigionata dentro un corpo che non vuole ascoltarmi quando gli urlo di reagire, aspettando di tornare in una prigione triste e sporca dove tutto ciò che mi attende è la vendetta.

L'infermiera idiota uscì dalla stanza di fretta, se anche qualcuno l'avesse chiamata io ero troppo distratta dalla lotta contro le mie gambe per sentire. Tornò subito con l'espressione di una vecchia pettegola che non sta nella pelle all'idea di raccontare le novità più succulente del paese.

Si avvicinò alla sua collega e le sussurrò qualcosa nell'orecchio.

Se solo avessi potuto, ora di certo le avrei dato un pugno su quella maschera di trucco che chiama faccia.

Poi mi guardarono, entrambe. Si voltarono verso di me con un fastidioso sorrisetto ed esclamarono felici che avevano una novità da dirmi, così una delle due mi aiutò a sedermi.

Non fecero in tempo a parlare, però, che entrò un altro infermiere, con in mano una pila di documenti.

Li diede alle due che iniziarono a leggere a bassa voce.

Custodia.. Macarena Ferreiro.. Zahir..

Zahir.

Cominciò a risuonarmi in testa, finchè divenne assordante.

Perchè su quei documenti si parlava di Zulema? Cosa diavolo c'entrava lei con me? Ma soprattutto, perchè sentire il suo cognome mi aveva riempito il corpo di piccole scosse elettriche? Forse avevo sentito male.

Continuavano a leggere sottovoce, io invece volevo sentire, avevo bisogno di sapere cosa ci fosse scritto su quelle dannate carte che leggevano con tutto quell'interesse.

Così mi alzai e andai a strappargliele dalle mani.

Già, mi alzai. Me ne resi conto solo quando avevo già i fogli tra le mani. Le mie gambe tremavano e il dolore che si stava diffondendo mi faceva sentire come se stessero per sgretolarsi, ma io ero in piedi.

Gli infermieri mi guardarono stupiti e io per poco trattenni una lacrima di gioia.

La gioia passò subito, perchè i miei occhi caddero su quel cognome.

Avevo sentito bene allora, c'era scritto proprio Zahir.

«Alicia Sierra Zahir.. bla bla bla .. custodia per Macarena Ferreiro»

A quel punto le mie gambe fecero così male che dovetti sedermi.

Una delle due infermiere andò di corsa a chiamare il dottore, per informarlo del progresso enorme che avevo , accidentalmente, fatto, l'altra mi misurò la pressione e mi chiese come stessi.

«Ma chi è? Cosa vuol dire?» le chiesi.

«Questo ci è stato mandato dal tuo carcere» disse facendo spallucce «ti sarà affidata una guardia personale, per la tua protezione.»

Non riuscivo a capire, la mia mente continuava a pensare solo al suono di quel cognome.

«E' una splendida notizia, Macarena» continuò avvicinandomi la sedia a rotelle «Vuol dire che il dottore crede che presto starai bene e potrai tornare a.. beh, lì.»

Casa. Era questo che voleva dire, potrò tornare a casa. Ed aveva ragione, perchè ormai quel luogo infame era casa mia.

«Ma chi è lei?»

«Era una ispettrice, abbastanza famosa, in realtà» mi rispose « Ora si è ritirata da quel lavoro, troppo stress si dice»

Non era questo che volevo sapere.

«Domani la conoscerai, comunque.»

Amabili restiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora