Cap 30

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La luce che entrava dalla piccola finestra della cella ci illuminava dentro e ci illuminava entrambe.

Il petto le si alzava e abbassava, dormiva profondamente e con la mano pesante mi cingeva il fianco, le spostai una ciocca ribelle dal viso, le accarezzai le braccia piene di cicatrici che si rimarginavano, erano i suoi sbagli.

Quella cosa senza nome mi esplodeva nel petto, rimescolava il sangue, faceva battere il cuore due volte più forte ma Zulema non poteva sentirlo, per fortuna dormiva.

Aveva gli occhi chiusi ma quando mi mossi per alzarmi dal letto, allungò il braccio per prendere il mio, mi strattonò e mugugnò nel sonno.

«Dove cazzo vai? È presto»

«Mi faccio la doccia»

«Ma non sono neanche le sette»

Farfugliò qualcosa per poi girarsi dall'altra parte e tornare a dormire, le conveniva che io non ci fossi, il lettino era troppo stretto per entrambe.

Indossai la felpa e mi recai bagno, dopo una doccia rigenerante tornai in cella ma lei non c'era più, non mi preoccupava, a volte spariva ma mi fidavo, a me importava solo che tornasse.

Mi comunicarono che a breve avrei avuto una visita.



La sala visite era uno stanzone grigio dal soffitto ricoperto di pannelli di amianto e neon.

L'arredamento consisteva in qualche sedia di plastica ingiallita dal tempo e dei tavoli di ferro più lunghi che larghi, dello stesso colore delle pareti. E dello stesso stato d'animo di noi carcerate.

«Niente contatto fisico, niente abbracci Maca»

Palacios mi accompagnò fino ai tavolini, Alicia lo salutò con un cenno della testa e lui fece altrettanto prima di lasciarmi in buone mani, lei spostò la sedia per farmi sedere come se fossi una bella donna in un ristorante di lusso, e si sedette di fronte a me.

Aveva le occhiaie pronunciate, uno sfregio per i suoi lineamenti perfetti.

Mi aveva aspettato, era lì per me.

Ma Alicia non era sola, ed era la persona accanto a lei che aveva attirato tutta la mia attenzione.

Un omone tozzo e basso, un accenno di capelli bianchi, occhiali da sole, jeans chiari, mocassini.

Castillo era poco più giovane di mio padre ma a volte dimostrava 70 anni.

«Sei incredibile, ti risvegli dal coma e riesci a trovare il tempo per salvare la vita alla stronza che ha cercato di ucciderti e far da sponsor antidroga, dimmi come fai, io mi sveglio ogni mattina con il mal di schiena»

«Anche per me è bello vederti» Gli regalai un sorriso stonato, ma non lo notò neanche, forse Alicia che gli stava accanto si, ma fece finta di nulla.

«Che cazzo ci fai qui?» C'era un pacchetto di sigarette abbandonato sul tavolo, ne estrasse una e me la passò velocemente.

«Che vuol dire?»

«Sinceramente pensavo scappassi dall'ospedale dopo il coma, sei meno furba di quanto pensassi»

«Sto iniziando a pensarlo anche io»

Alicia lo spalleggiava, sarebbe potuto essere suo padre, mi aveva detto che le aveva fatto da mentore durante gli anni in accademia, era quello che era grazie a lui.

La loro pelle era più scura della mia, l'abbronzatura stonava con il pallore del carcere, era un segno di riconoscimento, era raro che qualche detenuta prendesse la tintarella.

Finita l'ora della visita loro sarebbero tornati a casa a rilassarsi, magari a farsi un bel bagno caldo bevendo vino d'annata che in carcere non potresti bere neanche vendendo un rene allo spaccio, io sarei andata a rintanarmi in quel buco.

«Sono vecchio e me ne vado in pensione e non ho più voglia di vederti in questo posto di merda, Cruz del Norte è ormai un fottuto business milionario»

«Il grande Castillo se ne va a Cuba a brindare al comunismo»

«Io e Alicia abbiamo riesaminato il tuo caso e abbiamo proposto alla direttrice un accordo, resisti per qualche altro mese e ti danno la condizionale»

Mi raddrizzai di scatto sulla sedia, dritta come se avessi ingoiato una spada, la tensione iniziò a farmi tremare le gambe sotto al tavolo.

«Che cazzo vuol dire» 

Castillo era uno stronzo, ma uno stronzo in gamba, uno di quelli che se dice una cosa, puoi giurarci che la fa.

«Che devi fare la brava, non fare cazzate, neanche la più piccola e sarai fuori»

Quello fu l'unico momento in cui dovetti sforzarmi di tenere in faccia il sorriso.

«Ma io non so com'è stare fuori, non lo ricordo più»

«E che ci vuoi fare qua dentro? La muffa?» Scoppiò a ridere e guardò Alicia che aveva degli occhi enormi, fiduciosi.

«Ma che ci faccio io fuori? Non mi prende nessuno per lavorare 'che già non c'è lavoro per quelli laureati e puliti e senza soldi come vivo»

La bocca si seccò all'istante, parlare era diventato difficile.

«Ce la farai, come ce l'hai fatta in questo buco e poi sapevi che sarebbe successo prima o poi, no?»

«Si, è che pensavo di aver più tempo» Mi vergognai dei miei stessi pensieri.

«E non è una bella notizia?» 

Non è vero che il tempo passa in fretta, il tempo si ripiega in due, si ripete all'infinito «Io non ho nessuno fuori ad aspettarmi»

Alicia aveva negli occhi una risposta certa, che squarciava l'anima, non l'avrebbe detta ma io la sapevo già, era dal modo in cui mi guardava che sapevo che lei mi avrebbe aspettato anche tutta la vita fuori.

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