Cap 36

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Mi hanno portato all'udienza, ero in tiro seduta in prima fila, mi hanno fatto vestire come dicevano loro «Devi fare bella impressione» Mi hanno detto «la prima impressione è tutto»

Indossai una camicia bianca, una gonna nera sotto il ginocchio, per la prima volta da non so quanti anni tornai ad indossare i tacchi.

L'avvocato parlò tanto e dallo sguardo di Alicia dedussi che lo fece anche bene.

Ascoltai tutto, mi alzai in piedi nei momenti giusti, risposi quando mi chiesero di farlo, fui seduta composta per tutto il tempo, come una bambola di porcellana.

Quando mi diedero la sentenza, sentii una sensazione allo stomaco che avevo provato raramente.

Ero felice.



Il cielo è ancora azzurro sopra il carcere e finalmente posso godermelo per intero, non è più ritagliato dalle sbarre.

Torno per l'ultima volta nel buco, e questa volta è davvero l'ultima.

Saluto Tere che abbraccio come se fosse una sorella, le dico che voglio che ne esca pulita dalla merda, che ha ancora una vita davanti, non può passarla a bucarsi.

«Maca» Sole mi prende il viso tra le mani «Lo so che non sono tua madre, ma ti ho voluto bene come una figlia»

Mi lascio scappare un singhiozzo «Tu sei mia mamma, Sole»

Antonia sente tutto e scoppia a piangere, mi tira per un braccio, mi stringe forte.

Saray e Riccia le abbraccio insieme «Non fate le coglione, mi raccomando»

«Vienici a trovare, non fare quella che se la tira»

Alla gitana parlo in sottovoce, in modo che possa sentirlo solo lei «Prenditi cura di Zulema»

«Ci penserò io, tranquilla bionda»

«Grazie, dal più profondo del cuore»



Quando la porta dell'uscita mi si chiude alle spalle mi rendo conto che a trent'anni sono nata ieri e che la vita vale davvero di essere vissuta.

Ci sarebbero state tante cose a cui avrei dovuto abituarmi.

Non mi sarei più dovuta alzare alle sette del mattino, mangiare quando lo avrebbero detto loro, dormire quando le luci sarebbero state spente, non ci sarebbero più state turnazioni, bagni in comune, orari da rispettare, persone da temere, quell'odore dolciastro di morte che ti si appiccica addosso appena metti piede dentro.

Mi giro per un'ultima volta verso quel palazzone grigio e so già che non ci metterò mai più piede, non tornerò a trovare le mie compagne, le aspetterò fuori.

Dal pugno alto in cielo, si alza il dito medio.

Questo è per te, amore mio.

E quella foto stropicciata e ingiallita la tengo nella tasca interna del giubbotto nero in pelle, non la mostrerò mai a nessuno, la terrò come il più prezioso dei tesori nascosti.

Quella foto mi ricorderà che lei è viva, è esistita, appartiene a quel mondo che ho appena lasciato alle spalle e che ora non c'è più.

Mi devo accontentare dei ricordi, di quello che siamo state e che non abbiamo più potuto essere.

So che mi starà guardando, tra i mille occhi fissi sullo spiazzale d'uscita, ci sono anche i suoi neri.

Non ha voluto che la salutassi ed io non l'ho fatto, non ce l'ho con lei, certi solchi li conosco solo io.

Ed io lo so che mi mancherà sempre, che non passerà un giorno senza che non la pensi, che dovrò accontentarmi di esserle sopravvissuta.

Zulema era una stronza, la persona peggiore che avessi mai incontrato, un'idiota di prima categoria, una che ti viene voglia di riempire di botte appena ne incroci lo sguardo, con quel suo sorriso da ebete che si ritrova, che pensa di aver diritto a tutto solo perché esiste.

Neanche 40 kili e pensava di poter mangiare il mondo.

La odiavo, con tutto il mio cuore.

Aveva provato a levarmela di dosso con le unghie e con i denti.

Mi aveva portato via tutto, mi aveva fatto abortire, mi aveva portato via la mia famiglia, aveva cercato di uccidermi due volte e per ogni graffio e livido addosso, io gliel'avevo restituito.

Due animali che insieme non possono stare, ci provano, ma non ci riescono.

Sapevamo solo ammazzarci, erano anni che provavamo a farlo, era l'unico modo che conoscevamo per stare insieme.

Io odiavo Zulema e l'amavo, come mai avrei pensato di poter amare in vita mia. Di un amore che ti lacera dentro.

Scendo lentamente le scale del palazzo grigio, vedo una testa rossa in lontananza, separate da uno spiazzale, camminiamo una verso l'altra.

Quando siamo di fronte ci sorridiamo, è felicità, ed è davvero solo quella.

Mi ha aspettato davvero.

Alicia imparerà a rimettere insieme i pezzi, mi amerà anche se a metà, sarà il salvagente durante la tempesta.

Ma la persona più importante della mia vita, quella che amerò finché avrò fiato nei polmoni, appartiene a quel mondo che ora non c'è più.

Che ora mi sta guardando ed io ancora non lo so, ma mi sta dicendo «A presto» 

Amabili restiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora