cap 2

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Mentre il castano era assorto nei suoi pensieri, una figura si sedette davanti a lui: aveva i capelli corti color biondo cenere ed i lineamenti del viso ricordavano vagamente un cavallo. Dietro al ragazzo c'era un'altra figura con i capelli biondi a caschetto e degli occhi celesti simili all'oceano.

Il biondino si mise seduto accanto al ragazzo cavallo, il quale con un braccio gli cinse il collo. "Jaeger, giusto? Ho sentito parlare di te. Dicono che tu sia pazzo, non è forse così?"

Eren storse leggermente il naso dopo aver sentito quel nome usato dal ragazzo. Girò la testa verso sinistra, appoggiò il gomito sopra il tavolo e poi il mento sopra il palmo della mano. "Sì, esatto: le voci che girano sono vere. Però non mi considero pazzo, ma solo diversamente normale". Dopo questa risposta il biondino ed il cavallo scoppiarono a ridere ed Eren li seguì.

La vocina del biondo interruppe la risata. "Piacere, io mi chiamo Armin". Gli porse così la mano ed il castano la strinse. La generosità del biondino, i suoi modi pacati e la sua tranquillità incuriosirono Eren. Non era mai stato trattato in un modo tanto gentile prima d'ora, anzi nessuno osava mai avvicinarsi: lo temevano, avevano paura, e forse tutti i torti non c'è l'avevano. Eren era un mostro, un assassino che uccideva solamente per poter vedere le persone soffrire e urlare per essere salvate.

Armin tiró una spallata al ragazzo faccia-di-cavallo facendogli capire che doveva essere educato e presentarsi. Si vedeva che c'era molta affinità tra i due. "Mm Jean".
A differenza del biondino, il cavallo non aveva un tono amichevole, ma neanche irritato. Era semplicemente strafottente, come se fosse stato costretto a parlare.

"Eren, domani  se vuoi ti portiamo a fare un giro" propose Armin.

"Okay". Il castano rispose con una sola parola, non amava molto conversare e quando qualcuno tentava di entrare in confidenza con lui, si tirava indietro e mostrava freddezza. Questo lato del suo carattere a volte freddo e distaccato si era sviluppato dopo vari eventi che lo segnarono e che lo costrinsero a crearsi una piccola corazza, che per adesso sembrava resistere bene...

Dopo qualche istante i due ragazzi seduti davanti al castano si alzarono: Armin sventolò la mano per salutarlo, mentre Jean fece un semplice cenno con il capo.
Eren si alzò a sua volta, tenendo in mano il vassoio quasi pieno, si avvicinò al cestino per rifiuti organici e rovesciò il cibo all'interno. Ripose il pezzo di plastica nel posto d'origine e si incamminò per raggiungere la sua cella.

Mentre camminava per i box uno di questi in particolare ebbe il suo interesse: all'interno vi erano due uomini nel procinto di compiere un'atto poco casto. - Ma così, davanti a tutti? Che luridi -, pensò tra sé e sé facendo una smorfia, poi continuò ad andare avanti.

Eren era un bel ragazzo, i suoi occhi verdi smerlando brillavano nell'oscurità, i muscoli eran  ben scolpiti e le gambe erano lunghe e muscolose. Aveva un fisico da atleta, per questo quando era fuori, libero, molte donne facevano la fila per passare una notte insieme e lui, ma purtroppo il castano non provava attrazione per le donne, ma solamente per gli uomini. Aveva avuto molti rapporti sessuali e riusciva quasi sempre a dominare. Nonostante il via vai di ragazzi non aveva mai trovato nessuno degno di essere richiamato o rivisto dopo una notte di pura passione: niente sentimento, solo desiderio e lussuria.

[...]

Era ormai arrivata l'ora di dormire: i detenuti stavano tornando nelle rispettive celle, compreso Eren. Coricatosi nel letto, una guardia chiuse la sua inferriata a chiave e puntò la torcia verso l'assassino per assicurarsi che fosse dentro. Dopo poco tutte le luci vennero spente ed Eren rimase al buio con la testa poggiata nel cuscino e lo sguardo rivolto verso il soffitto.

Poco prima di chiudere gli occhi il castano avvertì una presenza davanti alla sua cella. Era buio e non vedeva molto bene , ma la cosa che riuscì a scorgere fu un'ombra bassa, anzi, molto bassa, con i capelli corti. Si sentiva il suo sguardo addosso, ma non riusciva a capire se stesse sognando o era tutto reale, così chiuse gli occhi per qualche secondo, sperando di non vederla più una volta riaperti. E così fu: appena li riaprì la presenza, ombra o quello che era, sparì nel nulla senza far alcun rumore.

Era nel suo letto. La camera  aveva le pareti blu e i giocattoli erano  sparsi nel pavimento. Era buio, le luci erano spente e la porta della sua camera era chiusa, non lasciava quindi trasparire alcun filo di luce. Il bambino aveva paura, tanta paura del buio, non riusciva a vedere niente nonostante si sforzasse  a scorgere qualcosa.
Fuori tuoni e lampi si diffondevano nel cielo scuro della notte, la pioggia cadeva rumorosamente nel tetto della casa, ed i rami dell'albero posto propio davanti la finestra della cameretta  facevano
strani rumori scostati dal forte vento che si abbatteva contro le mura dell'abitazione provocando rumori simili a lamenti. Ogni tanto la luce appariva per poi sparire subito e questo era ancora più inquietante.

Mentre cercava di chiudere gli occhi, un lamento , che però era ben diverso dal rumore che provocava il vento, si diffuse per tutta casa e sentì una porta spalancarsi.
C'era rumore, aveva paura, ma non poteva andare a vedere cosa stesse succedendo: non riusciva a muovere un muscolo e le urla diventavano sempre più forti ed erano mischiate a gemiti. Il rumore di uno schiaffo lo risvegliò dallo stato di trance, si alzò per raggiungere quella che doveva essere l'uscita della sua tana. Mentre stava per poggiare la mano sopra la maniglia, il rumore di uno sparo lo bloccò. Ce ne furono molti altri, ma non riuscì a contarli. Era nascosto nell'armadio. Una porta si chiuse sbattendo violentemente e facendo tremare il mobile dove era nascosto. Il  silenzio calò e dopo qualche minuto uscì dalla sua tana, varcò la soglia della porta ed entrò in cucina.

Il corpo martoriato di sua madre era steso per terra ai piedi del divano, sopra una pozza di sangue che si estendeva sempre di più ogni secondo che passava. Era nuda, le mutandine in mezzo alla stanza e la vestaglia da notte strappata , aveva lividi ovunque ma i più visibili e grossi erano nel ventre e nelle gambe. Il bambino si sentì male, una forte fitta allo stomaco lo colpì ed iniziò a vomitare per lo schok. Subito dopo una porta si aprì.

Eren si svegliò in preda ad un attacco di panico. Era buio e non vedeva assolutamente niente perché le luci erano tutte spente. Iniziava ad avvertire di nuovo la sensazione di disagio e paura che provò quella notte. Il respiro si faceva sempre più affannato, i polmoni si allargavano e si stingevano. Questo movimento era veloce, troppo veloce, e non gli lasciava il tempo di respirare per bene facendolo ritrovare praticamente senza ossigeno. Scese dal letto  a castello ed iniziò a camminare su e giù per il suo box, sperando di calmarsi.

Una cosa gli venne in mente. Sua madre, quando la paura prendeva il sopravvento, per tranquillizzarlo gli cantava una canzone. Il castano quindi si mise a sedere nel suo letto, appoggiò la schiena al muro ed iniziò a canticchiarla senza farsi sentire dagli altri detenuti.

When you were here before
Couldn't look in the eye
You're just like an angel
You skin makes me cry

You float like a feather
In a beautiful world
I wish I was special
You're so fucking special

But I'm a creep
I'm a weirdo
What the hell I'm doing here?
I don't belong her-

Una voce fredda interruppe la cantilena di Eren. "Moccioso, che cazzo ti canti? Disturbi idiota , torna a fare la nanna!". La figura che stava parlando era bassa quanto l'ombra che il castano aveva visto prima di fare l'incubo, solo che questa volta era illuminata da una torcia. Il castano riconobbe subito i suoi lineamenti leggeri e anche gli occhi, freddi ed insensibili.

"Oh, mi scusi, non riuscivo a dormire. Mi vuole fare compagnia?" gli chiese con un sorrisetto malizioso. Il corvino non poteva vederla, ma una goccia salata stava percorrendo la lunghezza della sua guancia.

"Tsk, preferisco farmi scopare da uno di questi maiali che dormire con te".

Dopo questa risposta il direttore si allontanò passando per altre celle a controllare. Il castano a quella affermazione ritrovò la vita: non era male quel nanetto scorbutico. La sua voce era sexy e allo stesso tempo autoritaria, il suo fisico scolpito. Non sarebbe stato male passarci una notte insieme. Voleva provarci, non poteva non usufruire di quel ben di Dio che, a parer suo, continuava a provocarlo.

DARE MEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora