Pagina 9 - Il bene più prezioso

148 10 8
                                    


Pagina su richiesta di  not_my_d3ad_name


C'era l'ombra, di un uomo che si alzava e si allontanava fino a diventare un puntino e sparire. Non riusciva a vederne il volto, ma sapeva ed era certo che fosse lui: lo stava mettendo alla prova e sapeva che avrebbe fatto qualunque cosa per poterlo riavere indietro. Ma le gambe erano pesanti, non si muovevano e una corrente d'aria lo trascinava indietro, verso le onde del mare. Delle mani lo afferravano per le gambe e subito dopo era completamente immerso nell'acqua scura e minacciosa dell'inverno. Mentre stava annegando, le lacrime si confondevano con la gelida corrente e il fondale lo portava giù con sè, nel buio profondo della morte.

Appena riuscì a sentirsi di nuovo vivo, Akutagawa aprì lentamente gli occhi.

Il bianco sfolgorante della neve rischiò quasi di accecarlo.

Aveva trascorso la notte sotto il gazebo di un parco giochi: quella notte cercava Dazai, come tutte le notti, ma qualcuno di armato avevo cominciato a seguirlo, e si era trovato costretto a seminare le sue tracce dai sottofondi della città. Era fradicio dalla testa ai piedi e si sentiva uno stecco di ghiaccio e non sapeva se avrebbe avuto abbastanza forza per rialzarsi in piedi. Il suo cappotto era troppo leggero e le temperature ancora più volubili del suo umore.

Provando a sgranchirsi le gambe, sbatté la testa sopra alla panca di legno per sbaglio: ora era ancora più intontito, ma non poteva restare ancora in quel posto. Strisciò su quel poco di terra ancora asciutta che restava e cercò di rialzarsi lentamente appoggiandosi a una delle colonne della tettoia. Vide la sua mano tremare sopra il legno mentre la retina sdoppiava il paesaggio innevato: scavalcare la staccionata gli sarebbe costato una fatica immensa, ma decise comunque di tentare. Alzando la gambe sinistra si rese conto che non solo il risvolto del pantalone si era strappato, ma che anche la caviglia non era nelle migliori condizioni possibili. L'unica cosa che gli restava da fare era rompere la staccionata con qualcosa di tagliente.

Frugando tra le tasche, trovò solo un pugnale. Aveva perso pure lo zaino

"Non è il massimo, ma meglio di niente", pensò.

Si avvicinò trascinandosi per quanto possibile sulla gamba destra, abbozzando qualche saltello: poi conficcò l'arma sul primo paletto della recinzione che si trovava davanti e la tirò via. Sperava che quella forza contraria potesse almeno piegarlo: ma l'unico risultato che riuscì a ottenere fu quello di cadere a terra privo di forze, completamente vinto dalla neve, mentre il pugnale gli era scivolato di mano ed era rimasto lì, fermo come una freccetta su un bersaglio.

Anche il cielo era candido, accecante e altrettanto distante.

Vide qualche fiocco scendere sulle sue ciglia, stava rincominciando a nevicare. Una lacrima calma gli arrivò all'orecchio mentre il suo corpo lo costringeva a dormire.

***

«Si può sapere cosa diamine bisogna fare con te?».

Non ebbe bisogno di aprire gli occhi per rendersi conto di ritrovarsi sepolto da più strati di plaid e coperte. Anzi, sentendo quella voce indecisa tra la preoccupazione e la seccatura, li tenne ancora chiusi: aleggiava profumo di cioccolata calda e biscotti alla cannella, nonostante Natale fosse già passato da più di un mese. C'era vicino a lui una fonte di calore ben distinguibile, forse un stufetta. Indossava un pigiama di pile pulito e poteva sentire il tessuto ruvido di una benda che gli avvolgeva la fronte come una fascia. Il suono improvviso del termometro elettronico che si accorse di avere sotto al braccio lo spaventò, facendogli aprire gli occhi all'improvviso.

Davanti a lui c'era Chuuya.

«Allora eri sveglio!».

Akutagawa arrossì. Si sentiva piccolo e indifeso, eppure allo stesso tempo così amato. Era una sensazione che mai aveva provato in vita sua. Non conosceva Chuuya così bene eppure sembrava provare un senso di familiarità per lui che non avrebbe mai pensato di sentire. Chiunque gli si parasse davanti era un nemico: quella situazione lo coglieva impreparato.

«S-Sì...» aveva provato a replicare, ma poi la voce gli si era sciolta in gola. Non aveva mai sofferto di balbuzie, che gli stava succedendo?

La mano di Chuuya scostò un paio di coperte per poter arrivare a prendere il termometro. Akutagawa sentì i suoi polpastrelli caldi sulla pelle: un brivido percorse la schiena stanca e il cuore perse un battito. Gli venne quasi da piangere.

«Ma guarda te che febbre che ti sei preso... ora come lo spieghi al boss e a Higuchi? Si può sapere che cosa è successo stanotte?» .

Nella sua severità, Chuuya riusciva a mantenere una certa tranquillità. Aveva polso ma era anche rassicurante: la situazione non gli faceva piacere ma sembrava interessato a risolverla. A modo suo, forse, si stava preoccupando.

"No" pensò. "Nessuno può preoccuparsi per me".

Si sentiva in colpa. Se non fosse stato per la sua stupidità, Chuuya quella mattina non avrebbe perso tempo con lui e avrebbe potuto portare avanti i suoi compiti da dirigente. Ora che ci pensava meglio, avrebbe anche potuto aiutarlo.

«Non riesco a trovarlo... Non c'è da nessuna parte e non so cosa fare».

«Parli di Dazai?» .

Chuuya colse al volo il problema e due scintille si accesero negli occhi di Akutagawa. Il rosso si sedette ai piedi del letto e si accese una sigaretta: la stufa aveva raggiunto la temperatura e l'aria era diventata fin troppo secca. Volse lo sguardo alla porta e alle scarpe fradice e sgualcite di quell'allievo sperduto e senza speranze.

«Te lo dico sinceramente, lascia perdere. Ormai ha preso la sua decisione. Nemmeno io sono stato in grado di fermarlo».

Akutagawa voleva controbattere come suo solito, urlare a tutti che Dazai avrebbe riconosciuto i suoi sforzi, ma si ritrovò senza forze di fronte alla verità che nemmeno lui poteva negare. I suoi erano solo i capricci di un debole che non riusciva a lasciare andare il passato.

«Ti sei fatto tutte quelle ferite per nulla. Prima ho visto tutto, intendo, come ti sei conciato, e non credo ne valga la pena». Si girò verso di lui.

Akutagawa aveva gli occhi lucidi.

La vista si stava offuscando ancora, il buio lo avrebbe avvolto di nuovo.

Fu in quel momento che le dita di Chuuya raccolsero le sue lacrime. Aveva abbandonato la sigaretta nel posacenere sul comodino accanto al letto solo per raggiungere il suo viso. Non riusciva a credere di trovarsi di fronte a un membro della Port Mafia. Era assurdo.

«Non ne ho bisogno». 

Non accettava quelle premure.

«A me sembra il contrario piuttosto. Da quant'è che ti tieni tutto dentro? Lo sai che fa male?».

Akutagawa afferrò di scattò quella mano che lo confortava come se volesse distruggerla, ma Chuuya non oppose resistenza. Lo guardò crollare sotto il suo sguardo pieno di compassione: lo capiva e riusciva a vedere la sua stessa sofferenza in lui. Quella mano tanto arrabbiata ora lasciava che la sua potesse accarezzargli la guancia. Trascorsero un paio di minuti in cui Akutagawa aveva cominciato a versare lacrime calde e silenziose, poi Chuuya si sdraiò accanto a lui e lo cinse in un abbraccio, separato solo dal peso delle coperte.

"Ti prego, non lasciarmi andare".

Non era riuscito a controllare quel pensiero. Sentiva delle dolci carezze sulla testa che ora si immergeva sul suo collo: Chuuya profumava di vaniglia, qualcosa di rassicurante. La fronte, poche ore prima tempestata di gelidi fiocchi di neve, ora era permeata da un bacio tiepido e rassicurante. 

Non c'era nulla di cui avere paura.

"Vorrei restare così per sempre".


Buon San Valentino a tutti ❤️ 

Gikki! - Il diario segreto di Gin AkutagawaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora