Pagina 4 - Come dopo la scuola

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Tornando qui, scrivere ogni volta di come sia imbarazzata a essere chi sono, è diventato inutile. Credo che sia proprio il caso di cominciare a convivere con la piccola fujoshi malata che mi ritrovo, rintanata in qualche angolo di me, a lanciare gridolini estasiati o a sbattere piattini come una scimmia felice delle sue intuizioni. Non ho più scelte d'ora in poi.

Ho provato a cercare Atsushi Nakajima oggi, ma devo aver sbagliato totalmente pista. Non ha varcato la soglia del palazzo dell'Agenzia, eppure sono abbastanza sicura che non sia stato mandato fuori per qualche incarico: oltre alle comunicazioni telefoniche dell'ufficio, il sensore non ha rilevato altre celle aperte. Alla fine ho soltanto vagato in borghese nel centro città all'ora di pranzo, cercando di non dare troppo nell'occhio tra tutte le studentesse di ritorno dalla scuola. Divise, cravatte, gonnelline, zaini pieni di portachiavi colorati, unghia smaltate e chiacchiere, chiacchiere e ancora chiacchiere. E io, nascosta dal semaforo, avvolta nel mio cappotto rosso. Oggi deve essere venerdì. Come ho fatto a non pensarci?

Alla nostra istruzione, dopo i tempi duri dell'orfanotrofio, ci ha sempre pensato il vecchio Hirotsu. Ogni tanto anche Dazai ci dava una mano, nonostante fosse poco più grande di noi: era estremamente intelligente per un ragazzino della sua età e sapeva già un sacco di cose. Mio fratello, rosso di gelosia, non accettava di chiamarlo senpai nemmeno per sbaglio. Si ostinava a fare di testa sua e falliva ogni volta miseramente: spesso sbagliava anche i kanji più elementari, e anche se la pazienza del nostro maestro improvvisato abbondava nelle sue continue spiegazioni a quel piccolo schizzato che gli mordeva le mani, solo Dazai riusciva a fargli ammettere i suoi errori. E come nelle nozioni, anche nella vita hanno finito con l'essere legati così.

Se fossimo dei ragazzi normali, ora dovremmo essere agli ultimi anni delle superiori. Deve essere bello, credo. Posso solo immaginarlo.

A volte, quando capitava ai dirigenti di incontrarsi per decidere sul da farsi, Dazai mi si avvicinava per scambiare due parole. Piccola come ero rispetto a lui, mi accarezzava dolcemente la testa con la mano e mi diceva:

«Gicchan! Sei così carina! Adesso dovresti essere alle medie, o sbaglio? Il boss impazzirebbe per poterti vedere addosso un seifuku!».

Ma non era ciò che volevo.

Ciò che volevo era...



Era il tramonto. Alle sei e mezzo, tutte le attività dei club pomeridiani erano finite. Ma il Consiglio studentesco aveva ancora degli affari da sbrigare riguardo la pessima condotta di uno studente del primo anno. Il presidente aveva quindi promesso di occuparsene per non dover scomodare i rappresentanti delle altre classi, già esausti per la lunga riunione di rito in vista del festival scolastico. Per lui non era nulla di nuovo: al di sopra del suo ultimo anno in quel posto, ne aveva viste di tutti i colori, e un teppistello di più non avrebbe potuto dargli chissà quali problemi.

«Che seccatura, ne sei proprio sicuro? Fossi in te me ne tornerei a casa».

«Se non ti va di assistere puoi anche tornare a casa, Chuuya».

«No... resto. Voglio dire, è un dovere anche mio questo... ».

Con un'occhiata furtiva, Dazai indicò al vicepresidente e responsabile dei club sportivi una sedia accanto a lui.

«Dai su, siediti. E sistemati l'uniforme, dovresti dare il buon esempio, sai?».

«Di nuovo a fare la mammina? Lo sai che sono a posto così! Se non lascio i primi bottoni aperti mi sento soffocare!». La solita tsundere lo raggiungeva, trascinandosi dietro la sedia, mentre quello stava coi gomiti sulla cattedra in un'attesa che non era durata oltre.

Gikki! - Il diario segreto di Gin AkutagawaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora