CAPITOLO IV

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Quando Riky riprese coscienza, rimase per un tempo indefinito, immobile, senza aprire gli occhi, limitandosi ad ascoltare, respirando lentamente. I rumori, dapprima ovattati, divennero man mano più definiti. Passi lontani, voci, che provenivano sicuramente fuori dalla stanza in cui si trovava. Già, dove si trovava? Non era sul pavimento, strinse le mani, toccarono un tessuto ruvido, pelle? Era steso su un divano? Per quale motivo si trovava lì? Inalò profondamente. Cercò di concentrarsi nel ricordare cosa fosse accaduto, era tutto così confuso. Passi, qualcuno si stava avvicinando.

- Riky. Sei sveglio? – la voce di Efrem gli penetrò nel cervello, risvegliando i ricordi, il suo battito cardiaco accelerò. Doveva restare calmo, riprendere il controllo. Senza capirne il motivo un ricordo gli esplose nella mente, una lezione a cui aveva assistito quando frequentava l'università. Il professore accennò alla "teoria del caos", la frase che enunciò gli rimase impressa nella memoria, "Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l'uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza.", era esattamente come si sentiva in quel momento, Efrem era la sua personale valanga, lo avrebbe ucciso? E se Shogo fosse stato l'elettrone? Quella stessa valanga sarebbe potuta diventare la sua salvezza? "Forse sto impazzendo". Era ancora lì, lo percepiva chiaramente, il suo respiro, riempiva la stanza. Iniziò a parlargli senza dischiudere gli occhi.

- Perché? Dimmi solo per quale cazzo di motivo non riesci a lasciarmi in pace. – Efrem si appoggiò con la schiena alla scomodissima sedia incrociando le braccia.

- Puoi anche non credermi, non ti stavo affatto cercando, è stato del tutto casuale. Lavoro da solo, non faccio più parte dello studio di mio padre, da mesi. – "bugiardo, bugiardo e subdolo", doveva allontanarlo, subito. Spalancò gli occhi e lo fissò, senza timore.

- Rinuncia. Tu non hai bisogno di questo lavoro per sopravvivere, io sì. Rinuncia. – Efrem, riusciva a scorgere, dentro i suoi occhi, l'odio. Ma era certo, che sepolto da tutto quell'odio, covasse ancora amore, quell'amore che solo con lui aveva conosciuto.

- No. Ora ascoltami tu, non bevo più da diciotto mesi, ho smesso di tirare il giorno stesso che te ne sei andato. Ho lasciato la mia famiglia, vivo solo del mio lavoro. – "non ci casco" pensò Riky.

- Non mi interessa chi sei diventato, non mi interessa che ora tu sia pulito, mi interessa esclusivamente di non avere più nulla a che fare con te. – Efrem trattenne la rabbia che sentiva salirgli dentro prepotentemente.

- Facciamo un patto. Lavoriamo insieme, solo lavoro, se dovessi anche solo fare un minimo approccio nei tuoi confronti, rinuncerò. Sono disposto anche a metterlo per iscritto. – l'uragano Martina irruppe nella stanza, prima che Riky potesse rispondergli.

- FUORI! FIGLIO DI... - Efrem si alzò dalla sedia alzando le mani. "Ecco, di nuovo quel sorriso sarcastico." Pensò Riky, osservando la scena. Martina si stava avvicinando minacciosamente.

- Me ne vado Marti, tranquilla, è tutto tuo. Ti chiamo Riky, dobbiamo finire di parlare. – fece un inchino teatrale a Martina e se ne andò. Martina si precipitò al capezzale di Riky.

- Hey, ma che è successo? Hanno chiamato un medico, dice che sei disidratato e che hai avuto un crollo, dovuto probabilmente a stress da lavoro. E lui cosa ci faceva qua? – Riky si sedette e l'abbracciò.

- Calmati donna. Il crollo l'ho avuto quando stavo per stringergli la mano, subito dopo avere saputo che lui sarà la persona insieme alla quale dovrò lavorare per i prossimi sei mesi. – Martina lo scostò bruscamente.

- In nessun modo! Non esiste! Dobbiamo organizzarci, stasera stessa troviamo un altro appartamento e... - Riky le mise una mano sulla bocca per zittirla.

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