CAPITOLO V

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Dopo essere riuscito a convincere Shogo che stava bene e poteva cavarsela da solo, fu costretto a fare i conti con sé stesso. Doveva prendere una decisione, e doveva farlo in fretta. Era perfettamente conscio che, lavorare a stretto contatto con Efrem, avrebbe riaperto le sue ferite, rendendolo di nuovo vulnerabile. D'altro canto, non poteva certo tirarsi indietro, quel lavoro se l'era procurato con grandi sacrifici. Poi c'era Shogo... la sua dichiarazione non gli aveva reso le cose più semplici, semmai, lo aveva reso ancora più confuso. Non riusciva decifrare ciò che provava, né per uno, né per l'altro. Già, non doveva prendersi in giro, rivedere Efrem era stato uno schok, ma sapeva che, l'odio non era l'unico sentimento che aveva provato. Quando aveva aperto gli occhi, e si erano fissati, aveva provato l'impulso di saltargli addosso, che stupido, come poteva ancora subire il suo fascino dopo tutto quello che gli aveva fatto passare? Shogo, invece, era una continua sorpresa, si stava rivelando così diverso da come lo aveva immaginato, così dolce, premuroso, ed era certo che in camera, se avessero proseguito la loro relazione, avrebbero raggiunto un'intesa perfetta, ma non era iniziata così anche la relazione con Efrem? Mentre questi pensieri passavano per la sua mente continuava a fissare il suo telefono, doveva decidersi e chiamare Efrem, rimandare era inutile. Compose il numero.

- Parla Efrem. – non si era preparato nessun discorso, non sapeva da dove iniziare.

- Sono io. – Efrem fece cenno ai suoi amici di aspettarlo.

- Hey, dammi solo un secondo, esco dal locale, qui c'è troppa confusione. – Riky non era stupito che quel venerdì sera lui fosse fuori, sicuramente non sarebbe tornato a casa solo, ne era certo.

- Non ci vorrà molto, dobbiamo solo chiarire un paio di cose. – fuori faceva un caldo infernale, quella sera, ma a Efrem non importava, Riky era al telefono con lui, non esisteva nulla di più importante.

- Per tua informazione, sto bevendo un bitter analcolico. – "te l'ho chiesto?" come sempre si dimostrava supponente.

- Mi sembrava di averti già detto che non mi interessa... comunque. Penso che dovremmo fissare delle regole di buona convivenza. – "le regole sono state create per essere infrante", pensò Efrem.

- Sono tutt'orecchi, spara. – Riky prese un paio di minuti per riflettere.

- Regola numero uno: si lavora in studio, casa mia o casa tua sono off limits. – "come se io avessi bisogno di una camera da letto per saltarti addosso", Efrem sentì un fremito lungo la schiena.

- Perfetto, lo studio ha tutto quello che ci serve e possiamo anche restare fino a tardi, visto che abbiamo le chiavi. – "lo so che non ti interessa questa regola, ti conosco fin troppo bene, bastardo", intuiva persino che stesse sorridendo, ma doveva mantenersi glaciale.

- Regola numero due: non si parla di vita privata, del passato e sono vietate le domande personali, di qualsiasi genere. – questa era la regola che lo trovava più d'accordo, parlare del passato, avrebbe portato Riky a ricordare il perché si erano lasciati, e questo non avrebbe giocato a suo favore, per gli altri argomenti, avrebbe fatto in modo che il primo ad infrangere la regola fosse lui.

- Non chiedo di meglio, c'è altro? – ovvio che ci fosse altro, la regola più importante!

- Regola numero tre: i contatti fisici tra noi due, devono essere ridotti al minimo. Per capirci, la stretta di mano può andare, il braccio sulla spalla no. – "sei sempre stato così sensibile al mio tocco", il fatto che avesse paura di reagire gli dava un senso di potenza inaspettato.

- Finito? – Riky aveva messo in chiaro tutto quello a cui teneva, poteva dirsi soddisfatto.

- Sì. – Efrem si passò un dito sul contorno delle labbra.

- Ora sta a me. – Riky non si aspettava che anche lui avesse delle richieste da fare.

- Regola numero quattro: se io infrangerò, anche una sola, delle regole, mi farò sostituire da un altro professionista e lascerò questo lavoro. Se lo farai tu, anche solo una volta, le regole non saranno più valide. – "contaci!", se Efrem credeva che bastasse così poco, si sarebbe ricreduto in fretta.

- Bene, ora che sappiamo come dobbiamo comportarci, possiamo iniziare a collaborare. Ci vediamo mercoledì prossimo alle nove in studio, porta tutto il tuo materiale. – "mancano quattro giorni", quattro lunghissimi giorni. Ma non erano nulla, paragonati ai due anni in cui aveva solo potuto sognare questo momento.

- Buonanotte. – Riky chiuse la chiamata con un senso di frustrazione, malgrado non fosse più nella sua vita, ancora una volta gli stava permettendo di interferire.

Il giorno dopo, come tutti i sabati, si occupò di accudire i bisogni di sua madre, il resto della giornata, lo passò a pulire casa e a preparare le raws per Shogo.

La domenica, decise di andare a trovare suo padre, non lo vedeva da un mese. All'inizio ci andava tutti i giorni, ma poi, aveva perso la speranza che riaprisse gli occhi, perciò, aveva diradato le sue visite. Entrare in quella clinica lo rendeva triste. Vederlo in quello stato vegetativo, era per lui un'angoscia, che si rinnovava ogni volta, insieme al senso di colpa. Sicuramente, quella visita, era dettata anche dal desiderio di ricordare per quale motivo era necessario che Efrem non tornasse a far parte delle loro vite.

- Pà, ciao. – gli accarezzò il viso inespressivo, senza per altro aspettarsi nessun tipo di reazione.

- Mamma mi ha detto che hanno incominciato un nuovo protocollo, nutrono molte speranze. Io sto bene, la Marti ti saluta. Ha trovato un ragazzo, sono davvero innamorarti. – si era seduto al suo fianco, gli prese la mano.

- Come dici? Io? Io sto benino. Ho rivisto Efrem. Sai, se non fosse riapparso, probabilmente, ora avrei un ragazzo anch'io. – gli parlava sempre come se lui gli stesse rispondendo, gli risultava più semplice, parlargli in quel modo, lo sentiva più vicino.

- Lo so, lo so che non riesci ancora ad accettare che io sia gay, ma è così. Se solo tu potessi conoscere Shogo, capiresti che, non tutti sono come dire. Insomma papà, sono sempre io, non sono cambiato! Ci sono persone crudeli, insensibili e egoiste come Efrem e persone dolci, premurose e... beh, questo argomento meglio non toccarlo, ma Shogo beh, lui ti piacerebbe. – si domandava se, un miliardesimo di ciò che stava dicendo, potesse arrivare alla sua coscienza.

- Stai tranquillo, farò di tutto per tenerlo lontano da me. Anche se, non sarà così semplice. Ora devo andare. Ti voglio tanto bene, Pa'. – si alzò e gli diede un bacio sulla fronte, era freddo, come se la vita lo avesse già abbandonato. Alzò gli occhi, la macchina attaccata al suo torace, mostrava che i battiti erano regolari, così come la pressione. Tornò a casa, quella sera, avrebbe voluto che qualcuno fosse lì, ad attendere il suo ritorno. Accese il computer, Martina era off-line, sorrise pensando che, sicuramente, Ettore la stesse monopolizzando. Shogo era on-line.

· Hey, sei occupato? – stava per alzarsi, quando Shogo rispose.

· Per te, libero, sempre. – si sentì un po' egoista.

· Ti ho preparato le scan pulite, così, se hai tempo, puoi iniziare a tradurre. – Shogo, malgrado gli avesse detto, che era disposto ad aspettare, accontentandosi di restargli vicino, anche solo come amico, fremeva dalla voglia di rivederlo e soprattutto, sentiva crescere, dentro di lui, la voglia di sentire la sua pelle tremare sotto il suo tocco. Lo desiderava, come se lui fosse l'unico uomo sulla faccia della terra.

· Direi di riuscire a farle in settimana. Ti va di uscire una sera, anche solo per bere una birra e fare quattro chiacchiere. – Martina aveva ragione, a costo di fargli capire quanto fosse fragile la loro "quasi relazione", doveva raccontargli tutto.

· Io... vorrei parlarti di Efrem. – Shogo era sorpreso, scoperchiare quella pentola lo spaventava un po'.

· D'accordo. – Riky prese un respiro profondo e iniziò.

· Io e lui, ci siamo messi insieme durante il primo anno di università. Lui è figlio di un famosissimo architetto, erede di uno dei più prestigiosi studi di architettura, io, figlio di due operai, questo, per farti capire la mia diffidenza verso le persone che, come te, hanno avuto una vita "facile". Presa la laurea, siamo andati a vivere insieme, l'appartamento ce l'aveva regalato sua madre, io, per la sua famiglia, ero ufficialmente il suo fidanzato, ma non per la mia. I miei, non sapevano che fossi gay, sapevo che non l'avrebbero mai accettato. Decidemmo, di comune accordo, di non rivelarglielo, per loro, eravamo compagni di appartamento che si dividevano le spese. Tutto andava splendidamente, fino al momento in cui, mi resi conto che, giorno dopo giorno, mi stava rendendo sempre più dipendente da lui e che, piano piano, mi stava rinchiudendo dentro quattro mura. Era diventato sempre più geloso, possessivo, e forse, la colpa era anche un po' mia, visto che gli consentivo tutto. Tentai di ricominciare ad uscire con i miei amici, sembrava che, dopo un primo periodo di "assestamento", Efrem avesse accettato la cosa. Una notte, durante una di queste uscite, mi ubriacai. Un amico di Martina, si offrì di accompagnarmi a casa, ma, proprio sotto casa, mi saltò addosso e mi baciò. Efrem era preoccupato, era tardi e, né io, né Martina, avevamo risposto alle sue chiamate, era sceso in strada, ad aspettarmi...vide tutto. Fu la notte peggiore della mia vita. – Shogo temeva il seguito della storia.

· Hey, non sei costretto a... – notò che Riky, stava continuando a scrivere e s'interruppe.

· Ti prego, non m'interrompere, non riuscirei a proseguire e voglio che tu sappia. Dicevo, la notte peggiore della mia vita. Senza che potessi minimamente aspettarmelo, mi aggredì, mi legò semisvenuto al letto, mi picchiò con violenza, usando la cinta dei suoi pantaloni e, incurante delle mie spiegazioni, mi violentò. Scusa, devo andare a bere un bicchiere d'acqua. – le lacrime rigavano il suo viso, per fortuna, Shogo, non poteva vederle.

· Perché non hai aspettato, potevi parlarmene quando ci vedevamo, non poterti guardare negli occhi mi angoscia. – come poteva un uomo, il tuo compagno, colui che dice di amarti, arrivare a commettere un atto così vigliacco? Shogo, sentiva che, se mai un giorno se lo fosse trovato di fronte, non avrebbe risposto di sé.

· Continuo... da quel momento, io mi rinchiusi in me stesso, i miei problemi di mutismo selettivo ritornarono, la repulsione che provavo nei suoi confronti non riuscivo certo a camuffarla. Iniziò a bere e a drogarsi, ogni volta che io lo rifiutavo, erano botte, ero arrivato al limite, decisi di fuggire. Aiutato da Martina e da Sissi, la signora che hai conosciuto alla mensa dei poveri, una mattina, presi tutte le mie cose e me ne andai. Sapevo, che sarei stato costretto a spiegare la situazione ai miei genitori, ero certo, che sarebbe andato a cercarmi anche lì. Ci andai la sera stessa. Purtroppo, ero arrivato troppo tardi. Efrem era già lì, mio padre era furioso, ovviamente, aveva omesso la parte della storia, in cui, lui mi massacrava di botte! Dopo avermi insultato, e urlato contro ogni sorta di cattiveria omofoba, papà uscì di casa sbattendo la porta. Continuammo a litigare di fronte a mia madre, pochi minuti dopo, un agente della stradale, suonò alla porta. Mio padre era passato con il semaforo rosso, una macchina l'aveva preso in pieno. Dopo una lunga operazione entrò in coma, attualmente, si trova in una clinica, in stato vegetativo. Efrem, anche in quell'occasione, non si smentì, cercò di convincermi che, era stata colpa mia, ma, a quel punto, non m'importava più di nulla. Sono riuscito a rendermi invisibile ai suoi occhi per due anni, non so come abbia fatto, ma è riuscito a ritrovarmi. – ora capiva tante cose, quella malinconia che leggeva nel profondo del suo sguardo, quel suo modo di trattenere le sue emozioni, se prima lo desiderava, ora lo voleva con tutta la sua anima. Decise di tentare di trasmettergli ciò che stava provando.

· Sei davvero una persona speciale, Riky. Credo che, poche persone, siano passate dentro un inferno del genere, senza diventare ciniche. Invece tu... tu sei meraviglioso. – ora, le lacrime, che prima scorrevano lentamente sul suo viso, divennero un fiume, singhiozzava.

· Non dire così, non farlo, ti prego. Non sono così "meraviglioso", credimi. Io, quando l'ho rivisto, mi sono reso conto che, provo ancora dei sentimenti per lui, davvero, io non so cosa potrebbe succedere, se lui tentasse di nuovo di... Pensi ancora che io sia così meraviglioso, adesso? – a Shogo si fermò il respiro, era appena stato trafitto con una sciabola, e qualcuno la stava muovendo, lacerando tutto ciò che aveva dentro.

· Io non posso dirti cosa fare, davvero pensi che, un uomo che ti ha trattato peggio di una cosa, possa cambiare? Non voglio giudicare, certo che, se avessi saputo che avevi questa inclinazione all'autolesionismo, avrei potuto trattarti come ho sempre trattato i miei amanti, forse avrei avuto più fortuna. – le parole gli erano uscite senza che le potesse fermare, era ferito.

· Vaffanculo! – sapeva di essere stato lui a provocare quella reazione, chissà cosa sperava, nella sua comprensione forse?

· Ma ti rendi conto di quello che hai appena detto? Cosa pensavi, che restassi immobile a farti piangere sulla mia spalla? Se preferisci essere trattato come una merda, torna pure da lui! Sai cosa penso? Penso che tu abbia paura. – ora, Shogo era arrabbiato, molto arrabbiato.

· Ti ricordo che TU, mi avevi detto che ti andava bene restarmi accanto come amico, o ricordo male? E, per tua informazione, IO non ho paura di nulla! – "stronzo", non era certo lui che poteva dargli delle lezioni di vita! Quel figlio di papà!

· Oh, sì! Tu hai una paura infernale, tu hai paura di impegnarti in un'altra storia, tu preferisci un "porto sicuro", anche se pericoloso, a qualcosa di sconosciuto! Ma cosa credi, che non mi sia costato, ammettere di provare dei sentimenti per te? Credi che IO non abbia paura? Tu sei la prima persona, di cui io mi sia innamorato! Sto cercando di esprimere quello che provo, e tu, costantemente, mi costruisci un muro davanti. – sapeva che Shogo aveva ragione, ovviamente.

· Calmiamoci... non credo che io e te possiamo essere amici... non ci sono i presupposti. Non pensare che io voglia tornare insieme a Efrem... ma, non credo di essere ancora abbastanza forte, per riuscire a non cadere nella sua trappola. – Shogo sospirò.

· Ok, allora iniziamo a conoscerci, usciamo e vediamo come va. Io sono disposto a rischiare, anche dopo quello che mi hai detto, e tu? – ora che lui sapeva tutto, Riky non aveva più scuse, cosa voleva fare?

· Mercoledì sera, passami a prendere allo studio, ormai la strada la conosci, organizza tu, ma non ti fare illusioni, ok? – Shogo era sfinito da quella conversazione, non sapeva neppure come fosse riuscito a farsi dire di sì.

· A che ora? – avrebbero lavorato fino a tardi, ma sicuramente non più tardi delle nove.

· Alle nove va bene? Ma non mi portare in posti eleganti, non voglio passare da casa a cambiarmi. – Shogo aveva già una mezza idea, su dove lo avrebbe portato.

· Porta con te un paio di pantaloncini, una canottiera e scarpe da ginnastica. Ah, un cambio, non ho intenzione di spogliarti, tranquillo, ma ti servirà. – un sorriso rischiarò il viso di Riky.

· Ok, porterò un cambio. – sarebbe stato bello, osservare la reazione di Efrem, alla vista di Shogo.

Riky cercò di impegnarsi il più possibile nel lavoro, nei due giorni che lo separavano dalla riunione con Efrem, non voleva lasciare nulla al caso, sapeva, per esperienza, quanto lui fosse pignolo nel suo lavoro, e voleva che tutto filasse liscio, meno tempo perdevano e meglio era per lui. Mercoledì mattina, si cambiò almeno quattro volte, voleva sembrare il più possibile anonimo, non voleva che lui potesse pensare minimamente, che si fosse messo qualcosa per attirare la sua attenzione. Optò, alla fine, per un anonimo paio di Levis e una Lacoste viola, colore che "lui" odiava. Si rese improvvisamente conto che, quei jeans, non gli entravano più da un paio di anni, e ora calzavano a pennello, era dimagrito almeno cinque chili, questa scoperta lo mise di buon umore. Quando arrivò in studio, Efrem era già al lavoro.

- Buongiorno! – lo accolse con un sorriso smagliante.

- No, non lo è, non prima di avere preso un caffè. – Efrem si girò e gli porse una tazza di caffè fumante.

- Senza zucchero. – Riky alzò un sopracciglio prendendo la tazzina, il fatto che si ricordasse, di come preferiva bere il caffè, lo irritava, tutto di lui lo irritava.

- Grazie, molto premuroso. – Efrem sorseggiò il suo caffè, osservando Riky che sistemava il suo portatile sulla scrivania al suo fianco. L'ufficio che avevano a disposizione, era molto grande, oltre alle due scrivanie, c'erano due tecnigrafi e un proiettore.

- Quando sei pronto, ho preparato una presentazione che vorrei farti vedere, ho cercato di ricalcare il tuo lavoro, spero ti piaccia, sarebbe un buon punto di partenza per sviluppare il progetto. – Riky guardò la presentazione di Efrem, l'idea che aveva su come sviluppare il progetto, era molto innovativa, come, del resto, ogni suo lavoro. Continuarono a confrontarsi per tutto il giorno, fu una giornata piena e soddisfacente, era come se, fossero tornati ai tempi in cui, lavorare insieme era una gioia.

- Direi che per oggi possiamo interromperci qua. Posso offrirti un drink, collega? – l'aveva buttata lì, non ci sarebbe stato nulla di male, nell'andare a prendere un aperitivo dopo il lavoro.

- Mi spiace, ho un impegno. – che gioia, potergli dire quella frase!

- Ok. Sarà per la prossima volta. – uscirono insieme dall'edificio, erano passate le nove da pochi minuti, Shogo lo stava già aspettando. Era venuto in moto, gli tornò in mente la prima volta che lo vide, era sempre un bello spettacolo, guardarlo appoggiato alla sua moto nera. Il sorriso che gli fece fu teatrale, uno spettacolo fatto apposta per essere osservato da Efrem. Shogo appoggiò i caschi sulla moto e si avvicinò. Efrem osservava la scena, aveva la netta sensazione di avere già visto quella faccia.

- Hey, pronto per la serata? – del tutto inaspettatamente, lo attirò a sé, baciandolo sulla fronte. I suoi occhi, però, erano puntati su Efrem.

- Buonasera, lei deve essere il collega di Riky. – gli tese la mano. – io sono Shogo. – avrebbe voluto aggiungere, "il suo ragazzo", ma sapeva che, non era il caso di spingersi oltre. Efrem gli strinse la mano.

- Molto lieto, mi fa piacere conoscere un amico di Riky, io sono Efrem. – la stretta di mano si stava prolungando più del dovuto, Riky, sentiva che la tensione stava salendo.

- Lo so. – "sembrano due galli che stanno per beccarsi", Riky doveva interromperli assolutamente. Tutto quel testosterone gli stava dando la nausea.

- Dobbiamo andare, altrimenti si farà tardi. – disse, strattonando leggermente la maglietta di Shogo.

- Alla prossima, allora... - Shogo cinse le spalle di Riky e iniziò a camminare verso la moto.

Fu in quell'istante che Efrem, si ricordò dove l'aveva visto, era il ragazzo che aveva sbattuto contro di lui, salendo le scale di corsa. Quindi cos'era per Riky, un amico? Un amante? Il suo ragazzo? Questo era un imprevisto che non aveva calcolato.

- Andava bene la mia attuazione? Dovevo spingermi oltre? – non lo stava guardando, sapeva esattamente quale fosse la sua espressione, in quel momento. L'aveva beccato con le mani nel sacco.

- Non capisco di cosa tu stia... - la stretta sulla sua spalla si fece più forte.

- Non insultare la mia intelligenza, Riky. Quando mi hai chiesto di venirti a prendere al lavoro, sapevo perfettamente che ne avresti approfittato per provare a mettere distanza tra te e lui, o almeno, è quello che ho sperato. Oppure mi hai usato per farlo ingelosire? – di una cosa doveva dargli atto, Shogo riusciva sempre a sorprenderlo.

- Credo...la prima che hai detto. – il suo viso era viola dalla vergogna. In realtà, per lui, era stata una sorta di rivincita, poter dimostrare a Efrem che si poteva permettere di uscire con un ragazzo così bello.

- Tu, credi... mettiti il casco, guido io. – quando si fermarono davanti allo Sporting club, Riky non aveva la minima idea di cosa ci fossero venuti a fare.

- Ti avevo detto che non volevo andare in un posto così, lo vedi come sono vestito? – Shogo prese dal bauletto una piccola sacca.

- Hai preso il cambio che ti ho detto? – Riky annuì.

- Allora vieni, quello è tutto ciò che ti serve. – camminarono per un sentiero, sbucando nell'area dei campi da tennis.

- Andiamo a cambiarci, laggiù ci sono gli spogliatoi e le docce. – avrebbero giocato a tennis? Riky non ci giocava da anni, non era neppure tanto bravo, in realtà non era bravo in nessuno sport.

- Ma io non ho la racchetta. Inoltre, io non so giocare a tennis. – mentì spudoratamente.

- Quindi, Martina non ti conosce così bene. – "ops!", non aveva pensato che Shogo si fosse informato prima.

- No, volevo dire che gioco male, ma davvero dobbiamo farlo? – Shogo si mise a ridere, il tono in cui l'aveva detto era stato così carino!

- Abbiamo detto che dobbiamo imparare a conoscerci, no? Questo è un ottimo modo di iniziare, visto che è lo sport che preferisco. – gli disse trascinandolo dentro gli spogliatoi.

- Se preferisci puoi spogliarti dentro la cabina. – gliela indicò e si tolse la maglietta. Riky, stizzosamente, entrò nella cabina. Ne uscì poco dopo, non amava mettersi i pantaloncini corti, per questo, aveva scelto dei pantaloni che gli arrivavano quasi alle ginocchia, ma la canottiera era così larga che lasciava poco all'immaginazione.

- Sono pronto. – Shogo lo stava aspettando vicino all'uscita, in mano aveva due racchette, era in perfetta tenuta da tennis, i suoi muscoli guizzavano dalla maglietta. Passarono a fianco di alcuni campi già occupati.

- Vedi il campo a fianco al nostro? Quello è mio padre che sta, come al solito, vincendo contro mia madre, quella splendida giapponesina che ora sta ansimando, ahahaha. – quando furono più vicini, suo padre gli fece un cenno e sua madre gli lanciò un bacio.

- Se prima mi vergognavo, ora il livello della mia vergogna è interstellare. – Shogo sorrise, mentre gli apriva il cancello per entrare nel campo.

- Due palleggi per scaldarci? – Shogo iniziò a palleggiare con lui, cercando di non esagerare, non voleva umiliarlo, voleva divertirsi insieme a lui.

- PENSAVO PEGGIO, NON SONO POI COSI' FUORI FORMA. – gli gridò Riky.

- ALLORA POSSIAMO INIZIARE? – Riky gli fece cenno di sì. Non c'era possibilità che potesse vincere, ma, un paio di volte, Shogo dovette impegnarsi per rispondere adeguatamente al suo rovescio. Alla fine della seconda partita, però, Riky era distrutto.

- POSSIAMO SMETTERE? – Shogo gli si avvicinò.

- Direi che, per questa volta, possiamo finire qua. Andiamo a farci la doccia. – malgrado tutto, Riky si era divertito e Shogo era davvero bravo.

- Ho una fame terrificante! – Shogo aveva pensato anche a quello.

- Non preoccuparti, dopo la doccia ho in programma di nutrirti. – le docce erano separate da muri, ma non avevano la porta, Riky era titubante. Shogo si spogliò completamente e camminò, con noncuranza, verso la doccia.

- Tranquillizzati, ti ho detto che non ti avrei toccato e non lo farò, non c'è nulla che io non abbia già visto, oltretutto "da vicino", va a fare la doccia. – punto nell'orgoglio, Riky, si spogliò, dandogli una completa visuale di sé. "Vediamo se non ti faccio effetto!". Shogo si buttò sotto l'acqua, cercando di non guardarlo, ma, ugualmente, dovette iniziare a pensare a tutte le sciagure del mondo, per far sì che il suo desiderio non fosse evidente. Ma questo gioco, Riky lo conosceva bene.

- Shogo, mi presteresti lo shampoo, non trovo il mio. – senza uscire dalla doccia, allungò il braccio dentro quella di Riky.

- Prendi. – Riky sorrise, prese lo shampoo e si insaponò i capelli. Uscì dalla doccia entrando in quella di Shogo.

- Grazie mille! – Shogo si girò, trovandoselo davanti, il suo uccello non ne volle sapere di restare a riposo. Riprese lo shampoo e si rigirò verso il muro. Riky, soddisfatto, ritornò dentro la sua doccia ridacchiando

- Riky? – stava ancora sorridendo per la reazione che aveva provocato.

- Sì, dimmi. – Shogo era, "leggermente" frustrato.

- Rifallo e non risponderò più di me, non mettermi alla prova. – Riky faticò a trattenere una risata, il modo in cui gliel'aveva detto era così serio! Si rivestirono, Riky andò nella cabina, non voleva provocarlo oltre.

- Mi aspetti un attimo? Vado a sistemare una cosa e torno a prenderti. – si sedette su una panchina, quel posto era bellissimo, pieno di verde, sembrava di essere in piena campagna. Chiuse gli occhi e si rilassò. Un rumore che proveniva dal vialetto gli fece aprire gli occhi. Shogo si stava avvicinando dentro una golf-car.

- Monta. – ridendo come un matto salì sulla macchina.

- Ora anche il golf? Ormai è notte come vedremo le buche? – Shogo rise a sua volta.

- Niente golf, per ora. – si diresse al di là di una collina. Al di sotto c'era un piccolo laghetto e una area pic-nic illuminata, parcheggiarono a pochi metri, Shogo estrasse dalla macchina un cestino. Sistemò il tavolo mentre Riky si guardava intorno.

- Wow, sembra di essere in un laghetto incantato, mi aspetto di vedere le fate spuntare da dietro gli alberi da un momento all'altro. – ma anche se vedere le fate sarebbe stato un bello spettacolo, quando si voltò, e vide la tavola imbandita, che gli aveva preparato, restò incantato.

- Vieni a mangiare, piuttosto. – si era fatto preparare il pasto dal cuoco del club, aveva stappato una bottiglia di vino bianco, fresco al punto giusto.

- Alla nostra. – mangiarono in silenzio, godendosi la fresca brezza della sera.

- Grazie. – Riky era completamente rilassato, Shogo, era riuscito, con pochi semplici gesti, a fargli dimenticare tutto.

- Oh, non devi ringraziare me, ma il cuoco del club. – Riky ridacchiò.

- Hai capito perfettamente, che non mi riferisco alla splendida cena, te lo ripeto, grazie. – Shogo inclinò il capo, facendogli un mezzo sorriso.

- Ancora una volta, ti ripeto, non devi ringraziarmi, tutto questo ha un secondo fine. Farò di tutto per conquistare il tuo cuore... e il tuo corpo. Esattamente in questo ordine. – un po' per il vino, un po' per la stanchezza, Riky sentiva che, le sue palpebre stavano diventando pesanti.

- È arrivata l'ora di andarcene a dormire. – Shogo sgombrò velocemente il loro banchetto e riportò il golf-car al suo posto. In meno di mezz'ora erano davanti al portone di casa, malgrado ci avessero messo così poco, Riky si era addormentato appena la macchina si era messa in moto, come un neonato. Shogo lo guardò dormire per qualche minuto, era bellissimo, quello che provava per lui, andava ormai al di là del puro desiderio fisico, sarebbe rimasto a guardarlo dormire per ore. Adorava i lineamenti del suo viso, le sue sopracciglia, il taglio dei suoi occhi, che gli donava un'espressione così inconsapevolmente sensuale, il suo naso imperfetto, che aveva quella piccola curva al centro, impercettibile per gli altri, e le sue labbra, Dio le sue labbra! La prima volta che le aveva guardate, aveva pensato che fossero truccate, tanto erano rosa e piene. Gli accarezzò una guancia avvicinandosi.

- Hey, sveglia, sei arrivato a casa. – fece una smorfia e lo abbracciò, sorprendendolo.

- Riky? – aprì gli occhi e i loro sguardi si incrociarono. D'impulso, Riky, catturò le sue labbra. Che buon sapore che aveva, la sua bocca era così calda. Riky accarezzò la sua nuca. Shogo lo scostò.

- Fermati, se lo stai facendo per impulso, fermati. – Riky si avvicinò di nuovo.

- Lo faccio perché voglio un bacio, e non per impulso, lo desidero da quando ti ho visto all'uscita del lavoro, sulla moto. – come poteva resistergli! Lo baciò dolcemente, prendendo possesso della sua bocca lentamente e profondamente.

- Ora vai, devo riportare la macchina al club e riprendere la mia moto. – si era incupito.

- Ok, perché ti sei arrabbiato? – Shogo, sorrise amaramente.

- Cosa hai voluto dimostrare con questo bacio? Gratitudine? Non baciarmi se non hai intenzione di andare avanti con la nostra relazione, mi farai diventare pazzo. – appoggiò la testa sul volante chiudendo gli occhi. Riky gli si avvicinò sussurrandogli all'orecchio:

- Sto bene con te, i baci fanno parte del "pacchetto conosciamoci meglio", volevo baciarti, non credi che sia, "normale"? – gli pizzicò il braccio e scappò via come un folletto, lo guardò sparire dentro il portone, gli mancava già. Efrem ritornò nel suo appartamento, o meglio, nell'appartamento che aveva affittato appositamente, quando era finalmente riuscito a capire come riavvicinarsi a Riky, era arrabbiato e frustrato. Il suo piano, non avrebbe funzionato, se c'era qualcuno di mezzo. Doveva riuscire ad accorciare i tempi. Nella sua testa, continuavano a materializzarsi le immagini di Riky insieme a quel bamboccio di... come aveva detto di chiamarsi? Ah sì, Shogo... che cazzo di nome era! Sembrava uscito da un manga! Lo immaginava mettergli le mani addosso. Il solo pensiero di loro due che scopavano, lo faceva impazzire dalla rabbia. Le sue mani avevano una voglia matta di abbattersi su qualcuno. Cercò di calmarsi, prese un bicchiere e si versò una discreta dose di whisky, buttandola giù tutta in un colpo. Doveva fare il bravo, ancora per un paio di settimane, poi, gli avrebbe fatto una bella sorpresa. Riky certo non se l'aspettava, ma sarebbe stato costretto a passare una intera settimana insieme a lui, non poteva sfuggirgli, lui era suo.

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