CAPITOLO VII

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Riky non sapeva quanto tempo avrebbe dovuto rimane a Dominica, e neppure quale fosse il luogo esatto dove si sarebbero diretti. Era così arrabbiato, così frustrato, da tutta quella situazione. Situazione dove, per altro, si era infilato tutto da solo! Mancava meno di un'ora poi, Efrem, sarebbe passato a prenderlo. Fece un rapido riesame dei bagagli e dei documenti, convincendosi di avere preso tutto ciò che serviva. Era venuto il momento di chiamare Martina e sua madre, aveva volutamente lasciato questo passaggio come ultima cosa da fare, se aveva poco tempo per parlare, Martina avrebbe avuto poco tempo per farlo dubitare e, sempre adducendo la stessa scusa, non avrebbe dovuto dare tante spiegazioni a sua madre.

- Marti, ciao. Spero che tu non abbia impegni importanti, per i prossimi, diciamo... tre sabati. – Martina era ancora al lavoro, si alzò dalla scrivania, portandosi in una stanza vuota.

- No, non per ora. Perché? – Martina era sovrappensiero, non gli stava dando peso.

- Devo partire, per lavoro, non dovrei stare via per più di due o tre settimane. Potresti portare mia madre a fare la spesa al sabato? – lo aveva fatto tante di quelle volte, durante i primi mesi in cui si nascondeva, lo avrebbe fatto volentieri anche per le prossime settimane.

- Certo! E dove te ne vai di bello? – ora veniva il peggio, Riky era pronto a sentire le sue urla.

- Ci sono dei problemi, sul progetto su cui sto lavorando, devo andare sul posto. Parto tra tre ore circa. – malgrado fosse distratta, un campanello iniziò a squillare nel suo cervello.

- Vai... solo? – "tolto il dente, tolto il dolore", pensò Riky, mentre cercava di fare uscire la voce.

- Vado con Efrem. – gli occhi di Martina iniziarono a lanciare fuoco e fiamme.

- Ma sei diventato scemo? Ti rendi conto che, quando sarete da soli, lui farà di tutto per rimettersi con te? Sono sicura che sta tramando qualcosa! E Shogo, lo sa? – non aveva urlato, e già questo era un successo.

- Punto primo, non sono scemo. Punto secondo, sì, ha sicuramente in mente qualche piano diabolico, ma non funzionerà. Punto terzo, non esiste che mi rimetta con lui. Punto quarto, Shogo lo sa, e si è incazzato come un serpente, ma questo non significa che io rinunci, è il mio lavoro, se non riesce ad avere fiducia in me, mi dispiace, vuol dire che mi sono sbagliato un'altra volta. – "quanto sei testone amico mio!" Martina, sapeva che sarebbe stato inutile insistere, quando decideva qualcosa, non lo fermava nessuno.

- Pretendo di avere le coordinate esatte di dove andrete, se tra tre settimane non sei a casa, ti vengo a prendere e ti riporto indietro. – quelle gliele avrebbe date subito, appena ne fosse venuto a conoscenza, ci teneva anche lui a non sentirsi isolato.

- Appena arrivo in aeroporto te le scrivo, forse è quello che mi ci vuole, restare solo con lui per chiudere una volta per tutte con il passato. Sto bene con Shogo, anche se ora lo riempirei di insulti, ma ancora non riesco ad essere del tutto me stesso. Tutta questa confusione non mi permette di capire ciò che provo, non riesco a smettere di avere paura. – Martina sospirò, rumorosamente, forse aveva ragione lui, questa volta, ma non era certa, che avrebbe resistito ai lavaggi del cervello che Efrem era sempre riuscito a fargli.

- Voglio sentirti almeno una volta al giorno, non importa che ora sia, qui in Italia, tu, prima di andare a dormire, scrivimi, se mancherai anche solo una volta, saprò che qualcosa non va, perciò, non dimenticarti. – "che esagerata!", non capiva per quale motivo, ma non riusciva a sentirsi realmente in pericolo.

- Devo andare, sono quasi le quattro, tra poco Efrem passa a prendermi. Ti voglio bene. – chiuse la chiamata. Controllò i messaggi, Shogo non era stato on-line dal giorno prima, e non l'aveva chiamato. Decise di scrivergli.

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