CAPITOLO VII

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Appena riuscì a riaccendere il telefono, Javier compose nuovamente il numero di Eloy, ma senza riuscire a mettersi in contatto con lui. Subito dopo compose il numero di Miguel.

«Miguel, sono appena uscito dal terminal, dimmi che l'hai trovato...» Miguel aveva già setacciato la città, senza alcun risultato.

«Niente! Sembra svanito nel nulla! Ho precettato Luis, stà setacciando tutti i posti che conosce. Sto andando a casa tua. Ci vediamo lì.» la fila per prendere un taxi era interminabile. Detestandosi per ciò che stava per fare, Javier estrasse una banconota da cinquecento euro dal portafogli, poggiangola sul vetro di uno dei taxi più lontani. Il taxista scese velocemente e lo caricò, provocando un tumulto nella fila.

«Ho bisogno di un taxi, per tutta la sera.» il taxista, contento di poter guadagnare così tanto, accettò con entusiasmo l'offerta. Arrivato davanti a casa, Miguel e Luis lo stavano già aspettando.

Ormai si stava immaginando di tutto. Prese in mano il telefono per fare l'ennesimo tentativo di contattare Eloy e si accorse di avere ricevuto un messaggio; conteneva solo un numero di telefono.

«È Eloy, mi ha scritto un numero telefonico...» Miguel e Luis si sporsero per guardare.

«Chiamalo no?» Javier compose il numero.

«Avvocato Romero. Sono Sabina.» "Sabina?!", se prima non ci capiva più nulla, ora era completamente al buio. Per quale recondito motivo Eloy gli aveva scritto il numero di telefono di Sabina?

«Eloy...» Sabina, non solo aveva smesso di prendere gli inibitori, ma si era procurata delle pillole che aiutavano ad entrare in calore.

«Eloy è passato da me ieri, mi ha lasciato una lettera per te, la vuoi venire a prendere ora?» neppure aveva finito la frase, che tutti e tre erano risaliti sul taxi.

«Mandami le coordinate di casa tua, sarò lì il prima possibile.» pochi secondi dopo, le coordinate di casa di Sabina comparvero sullo schermo del suo smartphone. Il taxi era già in strada, ancora qualche minuto e avrebbe saputo cos'era successo a Eloy.

Sabina lo accolse nel suo appartamento e lo fece sedere al tavolo della sala, mente lei andava in un'altra stanza per recuperare la lettera che doveva consegnargli. Fin dal primo istante in cui aveva messo piede in quel piccolo appartamento, il suo sesto senso gli stava urlando di fuggire lontano, ma non poteva farlo, non fino a che fosse riuscito a recuperare la lettera di Eloy.

Quando Sabina ritornò da lui, era vestita solo d'aria.

«Sarò estremamente chiaro Sabina... non sono interessato.» al suo rifiuto, la stanza si riempì dell'essenza di Sabina, un misto floreale che lo stordì.

«L'odore di rimando, che stai spargendo per tutta la casa, dice il contrario...» si avvicinò decisa.

«Lo sai perfettamente che è una reazione chimica incontrollabile. Dammi la lettera.» istintivamente si alzò, allontanandosi.

«Lo vedi?» Sabina si era scostata i capelli dalla nuca, mostrandogli il suo lungo collo bianco «un morso, uno solo e mi farai tua. Senza problemi, senza compromessi. Mi piaci. Possiamo essere la coppia perfetta, lo vedi quanto sono bagnata, sto gocciolando, sto entrando il calore per te.» non aveva mai sperimentato il calore di un Tao, non sapeva per quanto ancora sarebbe riuscito a controllarsi.

«Sabina, te lo chiedo gentilmente e per l'ultima volta. Dammi quella dannata lettera.» ma Sabina sembrava che non lo sentisse neppure. Continuava ad avvicinarsi, il suo odore si stava facendo sempre più forte. Javier decise di giocarsi il tutto per tutto. Emise la dose di feromoni più forte che avesse mai secreto e si avvicinò a Sabina, cercando di piegarla alla sua volontà. Sapeva che poteva farlo, anche se non l'aveva mai sperimentato. Sabina svenne tra le sue braccia. La stese sul divano, strappandole la lettera che teneva ancora tra le dita e fuggì da quella casa il più velocemente possibile. Si fiondò nell'auto intriso di odore, provocando negli altri tre occupanti conati di vomito.

«Javier! E che cazzo!» Miguel uscì dall'auto cercando un respiro. Luis e l'autista erano affacciati al finestrino, cercando di fare altrettanto.

«Oddio... scusate, ma ho dovuto scatenare l'inferno per farmi dare questa lettera.»

«Mi domando cosa ci trovi in te Eloy, puzzi da fare schifo!» disse Luis, provocando ilarità in tutto il gruppetto. Ma Javier non lo stava più ascoltando, si era già immerso nella lettura della lettera e il suo sguardo, non faceva presagire niente di buono.

Lasciò cadere la lettera al suo fianco. Miguel, appena rientrato in macchina, la prese, iniziando a leggerla a voce alta. "Javer, io ti ho amato tanto. Per un momento, ho creduto che potesse funzionare, mi sono illuso che io e te, potessimo sfidare il mondo ma... sappiamo entrambi che non è così. Sabina saprà renderti felice, ne sono certo. La semplicità con cui potrai farla tua, la certezza del futuro che potrete avere insieme, ti faranno dimenticare l'illusione dell'amore che hai provato per me, credimi. Ti ho voluto rendere le cose più semplici, ho preso io la decisione che non avresti mai preso, preferisco un bel ricordo, a quello che sarebbe, con il tempo, potuto diventare un incubo per entrambi. Sai che ho ragione, tu sei così intensamente Alpha, che non avresti mai potuto fare quello che il professor Turcotte ti aveva detto. Ti prego, se mi ami davvero, non cercarmi e sii felice." Il silenzio scese nell'auto, il viso di Javier era una maschera di pietra.

Miguel si scambiò un breve sguardo con Luis. Compose, sul suo telefono, un numero.

«Marcus, scusa, ti ho svegliato?» Marcus non dormiva, era immerso nella lettura.

«No Miguel, dimmi...» Javier , con lo sguardo ancora perso, sentendo pronunciare il nome del fratello, si girò.

«Ho bisogno del numero di telefono della madre di Eloy, sai a chi potrei chiederlo?» Marcus si mise a pensare; di certo chiamare il padre di Eloy sarebbe stato risolutivo, ma a Eloy non avrebbe fatto piacere. Avrebbe potuto chiamare il prof. Bruno Delgado, ma non era a scuola e non era in possesso del suo numero. Natalia Blanco! Quella era la soluzione, lei di sicuro avrebbe potuto aiutarlo. Aveva ancora il suo numero di telefono, l'aveva conosciuta al ballo e si erano scambiati i numeri.

«Dammi dieci minuti e te lo faccio avere ma, mi dici a che ti serve?» Miguel non era certo che a Javier avrebbe fatto piacere che desse delle spiegazioni a Marcus, inaspettatamente Javier gli tolse il telefono dalle mani.

«Non importa. Nulla che non possa aspettare domani mattina Marcus.» chiuse la chiamata.

«Ma che cazzo fai?!» Javier scosse la testa.

«Lo lascio andare. Non posso farci nulla. Per creare il legame è indispensabile che Omicron e Tao si abbandonino l'uno all'altro, la fiducia deve essere totale. Non posso fare tutto da solo.» Luis si abbandonò sul sedile.

«Certo che se anche tu fossi stato più chiaro e sincero forse, quella fiducia che cerchi, ti sarebbe stata data, non credi?» Javier annuì prendendosi la testa tra le mani.

«Lo so, lo so... cerco sempre di proteggere le persone che amo e finisco col ferirle... anche io ho le mie colpe, lo so. Ma se lo andassi a cercare e lo trovassi, non credo che riuscirei a risolvere nulla. Quando ritornerà forse... non lo so...»

Quando aprì gli occhi Eloy ci mise un po' per capire dove si trovava. I pensieri cupi che l'avevano fatto arrivare fino a lì però erano scomparsi, lasciando il posto a un incolmabile vuoto. Scese dalla barca di buon mattino, andò al mercato nel centro del paese, comprò molta più roba di quello che avrebbe voluto, alla fine aveva fatto una scorta di viveri che gli sarebbe bastata per una decina di giorni. La giornata era bellissima, avrebbe sicuramente fatto piuttosto caldo. La sua mente era completamente svuotata. Era come se non ricordasse neppure per quale motivo era su quella barca. Caricò la merce e ci mise qualche ora per mettere a posto tutto quello che gli sarebbe servito. Infine si mise in contatto con la capitaneria di porto e accese gli apparati per comunicare il codice della sua imbarcazione prima di partire. Guardò le carte nautiche. Non voleva dirigersi nelle isole che aveva di fronte, troppo trafficate. Decise di mantenersi al largo della costa e, quando avesse trovato un posto in cui ancorarsi, magari un anfratto poco trafficato, si sarebbe fermato. Partì nel primo pomeriggio, quando arrivò nei pressi di Benitachel vide in lontananza una rientranza, dove c'erano già altre barche all'ancora, decise di fare rotta proprio lì, il sole stava già tramontando.

Ancoratosi, si preparò un pasto abbastanza frugale e salì in coperta. Si distese a poppa e guardò il cielo, con quel buio le stelle sembravano una coperta che si stendeva su di lui. Chiuse gli occhi, il viso di Javier gli comparve davanti. Li riaprì e si mise seduto. Sapeva, in cuor suo, che non sarebbe mai stato di nessun altro, doveva trovare la forza e imparare a vivere senza di lui però... Si chiedeva come avesse potuto, sua madre, resistere a non avere l'esclusiva su suo padre. Lui ci sarebbe riuscito? Già, perché ora sicuramente Javier aveva marcato Sabina e se anche loro... un dolore bruciante lo colpì al petto, Javier non era già più suo... prese in mano il telefono e lo accese, ignorando tutti i messaggi che iniziarono a comparire sullo schermo. Compose il numero di sua madre.

«Spero che sia morto qualcuno...» la voce assonnata della madre, gli fece realizzare che era da parecchio passata la mezzanotte.

«Oddio, mamma, non mi ero reso conto dell'ora!» sua madre si sedette sul letto. Eduardo Blanco, che stava dormendo al suo fianco, allarmato, aprì gli occhi.

«Tesoro, non preoccuparti, è successo qualcosa?» Eloy irruppe in pianto, sua madre si alzò, portandosi in un'altra stanza, subito seguita da Eduardo.

«Eloy Blanco! Smetti immediatamente di piangere e dimmi cos'è successo!» Eduardo collegò il suo auricolare al telefono, per sentire la chiamata.

«Mamma... l'ho perso... Oddio, l'ho perso!» i singhiozzi non si fermavano.

«Con calma, ti prego... respira Eloy.» cercò di riprendere il controllo.

«Ho bisogno di capire una cosa mamma, sarai sincera con me?» sua madre ci capiva sempre meno, Eduardo l'abbracciò cercando di rassicurarla.

«Sono sempre stata sincera con te.» Eloy si asciugò le lacrime.

«Come hai potuto rimanere insieme a un uomo che si è legato anche ad un'altra donna? Come hai potuto essere sempre "l'altra" per tutta la vita? Perché?! Io davvero non lo capisco mamma!» Eduardo la strinse a sé ancora più forte.

«Beh...non è stato facile, tuo padre è stato l'unico uomo che mi sia mai interessato. Sapevamo che era un rischio mettere la sua famiglia davanti al fatto compiuto, ma ci abbiamo provato. Forse ti sconvolgerà sapere che lui sarebbe stato disposto a rinunciare a tutto e stare con noi, ma sono stata io a non permetterglielo. Io ho il suo cuore, sua moglie ha il suo status.» "e io?", in tutto questo come l'avevano calcolato? Un inevitabile conseguenza, questo si era sempre sentito.

«Ma in questo modo io non ho mai avuto un padre!» sua madre sospirò.

«Tu l'hai avuto eccome un padre! Sei tu che l'hai sempre messo da parte, solo tu, lui per te c'è sempre stato. Anche ora, che continui costantemente a trattarlo come se fosse un tuo nemico, lui continua a cercarti! Smettila di commiserarti, è tutta la vita che lo fai! Piuttosto tu, cos'è successo, me lo vuoi dire?!» era vero? suo padre continuava a cercarlo e lui continuava ad allontanarlo?

«Credo di avere buttato Javier nelle braccia di un'altra persona e... ora non so più cosa fare. Lui mi ha mentito e io ho agito d'impulso... l'ho perso... ho perso l'amore della mia vita.» Eduardo andò a preparare un caffè.

«E, immagino che tu non ne abbia neppure parlato con Javier, vero? A proposito chi è Javier? Per caso, era per lui che ti precipitasti da me quella notte?» accidenti, non le aveva ancora parlato direttamente di lui, se ne era dimenticato.

«Beh, sì... » un lungo momento di silenzio accompagnò la sua risposta.

«Raccontami tutto, non tralasciare nulla.» Eloy le raccontò tutto, tralasciando solo i particolari che non si possono raccontare nei dettagli a una madre. Man mano che proseguiva nel racconto, la sua disperazione aumentava, come la consapevolezza di quanto fosse stato avventato il suo gesto. Ora il solo pensiero di aver immaginato di togliersi la vita gli dava la nausea. Avrebbe dovuto combattere, affrontarlo, chiedergli spiegazioni. Ma era fuggito, come aveva sempre fatto con suo padre, sua madre aveva ragione.

«Cosa posso fare madre? Come posso rimediare?» ormai erano le due di mattina, poco si poteva fare.

«Certo che tu sai come incasinarti la vita figlio mio... dove sei ora?» si guardò intorno, le luci delle barche attorno a lui, in quella laguna tranquilla, erano ormai tutte spente, tranne quelle di posizionamento.

«Nel mezzo del nulla, in mezzo al mare...» sua madre aveva bisogno di riflettere.

«Non spegnere il telefono, ci risentiamo a un orario in cui il mio cervello funziona meglio.» era sollevato, era riuscito a fare a sua madre quella domanda che lo aveva tormentato per anni, e la risposta che aveva ricevuto era così... semplice, l'amore era la risposta. Che infantile che era stato e ora, sarebbe finito anche lui a fare "il secondo" come lei? E la cosa peggiore era che, se l'era procurata lui stesso quella situazione. Iniziava a fare fresco in coperta, decise di scendere in cabina per provare a dormire un po'. Andò in bagno, si versò un bicchiere d'acqua per ingoiare la pillola per inibire il calore. Aprì la sacca per prelevarla, la svuotò, non riuscendo a trovarla nella tasca interna, ma non la trovò. "Merda", si era dimenticato di portarla con sè, poco male, il giorno successivo avrebbe raggiunto il porto con il gommone, sicuramente una farmacia l'avrebbe trovata. Le provabilità di incontrare un Omicron erano davvero basse, perciò, se ne saltava una non sarebbe stato un gran danno.

«Davvero Miguel, puoi lasciarmi solo, vai a casa.» Luis se n'era andato da una mezz'ora, ormai si era fatta l'una, ma Miguel non ne voleva sapere di lasciarlo solo.

«No. Rimango, non si sa mai, con la testa calda che ti ritrovi che cosa potresti fare.» gli versò una generosa dose di whisky con ghiaccio.

«Bevi.» si sedettero sul grande divano bianco, in silenzio.

«Io ti invidio. Ti ho sempre invidiato. E anche in questa occasione, in cui nessuno ti invidierebbe, io continuo, ostinatamente, ad invidiarti.» Miguel aveva gli occhi chiusi e la testa buttata all'indietro, mentre pronunciava quelle parole.

«Quanto hai bevuto mentre mi facevo la doccia?» Javier guardava davanti a sé, perduto nei suoi pensieri.

«No, parlo sul serio! Da quando eravamo all'asilo! Io volevo essere te, avrei sempre voluto essere te.» Javier scosse la testa.

«Non hai nulla da invidiarmi.» Javier si scolò l'intero bicchiere, il liquido gli bruciò la gola, provocandogi un immediato calore al viso. Miguel si affrettò a versargliene un'altra dose.

«Tu credi? Facciamo un elenco. Le cose che si devono invidiare a Javier. Al numero uno, l'estrema bellezza, che io non ho. Al numero due, il fascino, che uno che infila le braccia dentro il culo di una vacca non avrà mai. Al numero tre, l'intelligenza al di sopra della media. Al numero quattro, la tua famiglia; amorevole, unita e, cazzo siete uno più bello dell'altro! Al numero cinque, ma non per importanza, sei l'unico di noi tre che ha trovato il suo predestinato. Ah, no, è vero, anche Luis l'ha incontrato...» Javier si girò verso Miguel con gli occhi serrati.

«Ma sei serio? Beh, se lo sei, mettici anche il numero sei, sono anche il più stupido dei tre. Visto che, a quanto pare, sono riuscito a rovinare tutto.»

«Beh, se io fossi te, e mi piacerebbe, lo scoverei e lo scoperei fino a quando lui non cede.» Miguel, come sempre, riuscì a strappare un sorriso al suo amico.

«Cose da invidiare a Miguel; al numero uno, la semplicità con la quale trova le soluzioni ai problemi; numero due, la facilità con cui riesce, anche nei momenti più bui, a strapparmi un sorriso e, al numero tre, ma non per importanza, la sua lealtà, grazie di esserci sempre.» come al solito si addormentarono sul divano. Li svegliò in suono del telefono di Javier.

«Pronto...» prima di prendere la chiamata, aveva notato che era un numero che non aveva in agenda.

«Javier? Sono il padre di Eloy, ho bisogno di parlarti.» Eduardo Blanco? Si mise a sedere, gli faceva male tutto, la testa gli stava esplodendo, Miguel continuava a russare, di fianco a lui.

«È per una causa? Non mi risulta di averne in cui sia coinvolto lei...» non gli stava rendendo le cose facili, ma lo stava facendo per suo figlio, sentirlo così disperato lo aveva scosso.

«Nessuna causa, possiamo vederci, non ti ruberò molto tempo.» aveva bisogno di riprendersi un po', doccia e analgesico lo avrebbero rimesso a nuovo. Scosse Miguel.

«Tra poco devo uscire, devo incontrarmi con il padre di Eloy, ci facciamo un caffè?» Miguel aprì un occhio.

«Un litro di caffè e un pillolone di analgesico, Eduardo Blanco?» fecero colazione insieme, appena Miguel uscì, Javier corse a prepararsi. Si erano dati appuntamento al Parque de la Ereta, non era proprio a due passi da casa, doveva sbrigarsi.

La vista panoramica della sua città, con il mare che sembrava una tavola luccicante, gli riempirono il cuore di malinconia, gli mancava, Dio quanto gli mancava. Percorse il viale in salita, fino al vecchio patio di legno, erano anni che non ci tornava, avrebbe tanto voluto portarci Eloy. Eduardo Blanco era seduto sulla panca scavata nella roccia, di fronte al patio. Quasi non lo riconobbe, vestito in maniera casual.

«Sono in ritardo?» Eduardo scosse la testa, facendogli cenno di sedersi accanto a lui.

«Scusami se ti ho chiamato così repentinamente.» forse era perché gli mancava tanto, ma oggi, guardando Eduardo, poteva riconoscere molti tratti del viso di Eloy. Sorrise.

«Bene, mi dica, di cosa voleva parlarmi?» Eduardo si passò la mano sul viso.

«Non è mia abitudine intromettermi nella vita dei miei figli, soprattutto in quella di Eloy. Ma in questo caso, beh... proprio non posso farne a meno.» Javier corrucciò le sopracciglia.

«Ti ho portato delle foto.» Javier sgranò gli occhi, senza capire dove volesse andare a parare.

«Guarda attentamente, questo è Eloy, all'età di circa 7 anni.» Javier non potè fare a meno di notare quanto già fosse bellissimo.

«Ecco, invece, in questa, aveva circa 12 o 13 anni.» Javier continuava a non capirci nulla.

«Qui, invece, era il giorno in cui prese servizio nella scuola frequentata da tuo fratello.» più le guardava, meno riusciva a notare qualcosa.

«Invece questa, gliel'ho scattata di nascosto, al ballo.» una pugnalata al cuore, vederlo felice accanto a lui.

«Noti qualcosa?» Javier appoggiò le foto sulla panca, nell'ordine in cui gliele aveva date.

«No, non capisco, cosa dovrei notare?» come un mazziere esperto, spostò le foto in un ordine differente.

«Prova ora...» e, improvvisamente lo vide, lo sguardo. Nella foto in cui lui e Eloy erano insieme, lui aveva lo stesso sguardo della prima foto, quando aveva 7 anni.

«Dalla tua espressione credo che tu abbia capito. Non gli vedevo quello sguardo felice da quando aveva 8 anni, e credo che il merito di tutto questo sia tuo.» lo fissò, sentendo dentro di sé crescere l'ansia.

«Ma tu, davvero lo ami?» Javier strinse i pugni.

«Più di ogni altra persona a questo mondo.» Eduardo gli diede un paio di colpetti sulla spalla.

«Allora, proprio non riesco a capire perché tu sia ancora qui e non lo sia andato a prendere. Se conosco mio figlio, non si aspetta di meno, anche se, forse non se ne rende conto neppure lui.» "e se avesse ragione lui?", del resto era quello che gli avevano detto anche Luis e Miguel... Eduardo si alzò.

«Sai dove si trova?» gli chiese Javier speranzoso.

«Io no, ma sono convinto che il suo amico, Bruno Delgado, potrebbe sapere qualcosa, visto che ieri, Eloy, a sua madre, ha riferito di essere in mezzo al mare.» "oh mio Dio, dove cavolo è andato?", Javier guardò l'orario, erano ormai le 11, suo fratello usciva da scuola tra meno di un ora, doveva sbrigarsi.

«Io, la ringrazio per la franchezza. Ma devo scappare, se voglio beccare il professor Delgado fuori dalla scuola.» strinse la mano a Eduardo, che lo vide allontanarsi correndo per il viale che portava al parcheggio. Eduardo compose il numero di telefono di Maria.

«Missione compiuta, l'avvocato sta correndo a recuperare il professore.» la risata cristallina di Maria gli riempì le orecchie e il cuore.

Aveva parcheggiato di fronte all'uscita della scuola, aveva già visto Bruno in precedenza, ma non era certo di riuscire a riconoscerlo, perciò, appena vide suo fratello, ne attirò l'attenzione, facendolo correre da lui.

«Hey! Che sorpresa!» lo abbracciò, approfittandone per sussurrargli all'orecchio la sua richiesta.

«Perdono, non sono qui per te, ho bisogno di chiedere una cosa al professor Delgado, e non posso permettermi di farmelo sfuggire.» Marcus gli indicò un uomo che stava raggiungendo il parcheggio.

«Ti devo una cena Marcus!» gli arrivò alle spalle in meno di un secondo, poggiandogli la mano su una spalla.

«Scusa, ho bisogno di un informazione. Sono il fidanzato di Eloy.» quasi si spaventò per l'irruenza con cui lo interrogava.

«Salve. Prego, se posso aiutarti...» Javier prese fiato.

«Sai dove si trova Eloy?» "ecco perché mi ha chiesto la barca!", se Eloy voleva sfuggirgli, perché avrebbe dovuto aiutarlo lui?

«E perché dovrei saperlo io, se non lo sai tu?» Javier non aveva tempo da perdere, anche se comprendeva la sua lealtà.

«Ok. Non lo so perché, beh... diciamo che ci sono state delle incomprensioni. Ma so che tu gli hai prestato la barca. Ma non so in quale porto fosse, questa benedetta barca, e non so come si chiami e se tu non mi aiuti... beh, sicuramente riuscirò a scoprirlo, ma ho fretta, perché devo andare a chiarirgli che io lo amo e sai, non vorrei mai che se arrivo in ritardo... cazzo! Aiutami, per favore...» doveva essere davvero disperato per venire da lui. Pregando che Eloy non lo uccidesse lentamente al suo ritorno, prese un foglio e scrisse il nome del porto e della barca, un numero di telefono e un nome.

«Nome del porto e della barca. Il numero di telefono della capitaneria, chiedi di Sal, lui ti aiuterà a capire dove si trova in questo momento.» mentre gli consegnava il biglietto nella mano, la strinse trattenendola.

«Spero di non dovermi pentire di avere tradito la sua fiducia.» Javier gliela strinse ancora più forte.

«No, non te ne pentirai, te l'assicuro.» Marcus lo stava aspettando.

«Fratello io devo andare, ti dispiace di dire alla famiglia che mi prendo qualche altro giorno di ferie?» Marcus annuì.

«Papà non ne sarà entusiasta. Ma mi vuoi dire che cosa cavolo sta succedendo?» s'infilò gli occhiali da sole.

«Sto andando a riprendermi Eloy.» Marcus scosse la testa.

«Ci rinuncio.» gli rispose, mettendosi a ridere.

Una strana allegria si stava impossessando di lui, mentre macinava i chilometri che lo dividevano dal porto di Denia. Ne approfittò per chiamare la capitaneria. Sal si dimostrò efficiente e collaborativo, poco prima che parcheggiasse al porto, gli aveva già saputo dire la posizione della barca, e gli aveva trovato qualcuno disposto a portarlo fino lì. Nel giro di mezz'ora era già in navigazione. Alle sette di sera avvistarono la barca di Eloy. Si ancorarono il più vicino possibile, ma di lui nessuna traccia. La barca era abbandonata.

«Manca il gommone, sicuramente è sceso in città...» "fantastico", lo avrebbe trovato in cabina al suo ritorno...

«Riesce a farmi arrivare a bordo?» lo shipper storse il naso.

«Non se ne parla, non senza il permesso di chi guida l'altra barca.» mentre diceva quelle parole, Javier si era già tuffato.

«Signor Romero!» Javier gli gridò, prima di iniziare a nuotare.

«Non si preoccupi! Lei non ha nessuna responsabilità, dirò che sono arrivato a nuoto!» Lo shipper rise.

«Sicuro che posso andarmene?» per tutta risposta Javier iniziò ad allontanarsi con lunghe bracciate, in pochi minuti era sulla barca.

La madre di Eloy lo aveva richiamato verso le nove di mattina, pregandolo di non muoversi di lì e che avrebbe cercato di indagare come stavano le cose attraverso le sue amiche. L'avrebbe richiamato a tarda sera. Dopo avere mangiato, prese la decisione di chiamare Selena.

«Eloy! Che sorpresa!» odiava la sua voce mielosa e falsa.

«Selena.» decise di andare subito al sodo.

«Volevo sapere com'era andata...» aveva il fiatone, come se avesse corso.

«Ah, non sai nulla?» aveva voglia di urlare.

«Evidentemente no, visto che te lo sto domandando.» peccato che non fosse una video chiamata, avrebbe potuto scorgere il ghigno satanico stampato sul viso di Selena, e capire che gli stava mentendo spudoratamente.

«Credo che non ti ringrazierò mai abbastanza. Che amante focoso, che maschio! Il morso fa ancora un po' male, ma credo sia normale no?» cadde in ginocchio.

«Mi rallegro che sia andato tutto secondo i piani. Ti auguro ogni felicità» chiuse la chiamata senza attendere la risposta. Almeno ora sapeva, se ancora l'avesse voluto sarebbe finito a fare l'amante, come sua madre. Schifato scese a terra, almeno doveva salvaguardare se stesso e prendere quei benedetti inibitori. Sorprendentemente, la farmacia del porto non aveva quel tipo di inibitore. Dovette addentrarsi nel paese per cercarne un'altra, neppure questa l'aveva ma, lo rassicurarono che gliel'avrebbero fatto avere entro l'ora di chiusura. Si perse nelle strette vie della parte vecchia, curiosando nelle botteghe che vendevano souvenir, per far passare in tempo. Ma qualsiasi cosa vedesse, il suo pensiero tornava a Javier, a quanto avrebbe voluto che fosse lì con lui a passeggiare lungo quelle vie. Quando finalmente arrivarono le sette, si recò nuovamente alla farmacia, per ritirare la medicina. Tornò alla sua barca senza forze, era dalla mattina che si sentiva così, sicuramente era dovuto al forte stress che aveva subito e al caldo, che era sempre più fastidioso. Decise che si sarebbe fatto una lunga doccia, sarebbe andato a dormire subito dopo avere parlato con sua madre. Scese sotto coperta, lasciando la scia dei suoi vestiti.

«Se ti levi anche i boxer ti salto addosso.» sobbalzò, emettendo un urlo sgraziato.

«JAVIER! MI HAI FATTO VENIRE UNA SINCOPE!» aveva le allucinazioni o era davvero di fronte a lui? Completamente bagnato!

«Hai preso un bel po' di sole vedo...» Javier si stava avvicinando con uno sguardo da predatore.

«NO. Non ti azzardare a venirmi vicino!» ma Javier non lo sentiva più, lui era suo, non gli avrebbe permesso di scappare, mai più.

«Hai Sabina ora, ricordati...» Javier si fermò a pochi centimetri da lui.

«Sabina? Non l'ho sfiorata neppure con un dito.» Javier aveva iniziato a secernere tutti i feromoni che poteva, l'aria si era fatta pesante e il respiro di Eloy era sempre più veloce.

«Ma, ma lei mi ha detto che tu... io...» un caldo improvviso lo avvolse, bruciava come se qualcuno gli avesse improvvisamente acceso un fuoco dentro, il calore si stava avvicinando.

«Stai bagnando il pavimento tesoro, meglio che ti togli i boxer.» si era immobilizzato, sentiva le gambe molli, il cuore impazzito, i suoi feromoni stavano inondando la stanza mischiandosi a quelli di Javier.

«Giura che non l'hai toccata, dimmi che mi ha mentito...» Javier si tolse la maglietta e i pantaloni, sotto non portava nulla. I suoi indumenti bagnati caddero al suolo pesantemente.

«Non l'ho toccata, è stato difficile respingerla però. Hai messo a rischio tutto per paura vero? Non credi in me. Ma io, ugualmente, sono venuto qui a prenderti. Perché io non ti lascio andare piccolo, scordati che io ti lasci andare, tu sei mio.» lo stava sfiorando con il suo torace, il fuoco che aveva dentro ardeva sempre di più. Gli infilò un dito dentro i boxer, facendolo scorrere per tutta la cintura.

«Stai per entrare in calore, lo sento dal tuo odore. Lo sai che entrerò in calore anch'io, tra poco? Ho smesso i soppressori cinque giorni fa, io sono pronto, ce la possiamo fare. Hai letto cosa deve succedere per creare il legame vero? Quindi prendimi, scopami ora che non sei ancora in calore, perché io lo farò fino a che non sarò sicuro che sarai solo mio.» gli fece scendere i boxer e si allontanò da lui, sdraiandosi sul letto spalancando le gambe.

«Approfittane, dacci dentro.» Javier sul letto a gambe aperte, rosso in viso, era una visione. Non era mai stato attivo Eloy, non sapeva se ci sarebbe riuscito ma, appena sfiorò il corpo di Javier e lo vide tremare sotto il tocco delle sue mani, tutto cambiò. Voleva esplorarlo, toccarlo, farlo arrivare al limite. Ma continuava ad esitare, aveva paura di rovinare tutto e il suo corpo rifiutava la parte dell'attivo, lo desiderava così tanto, anche se non era ancora completamente in calore.

«Stenditi vicino a me e dammi la tua mano.» Javier non sapeva se avrebbe funzionato e anche se cercava di sembrare tranquillo e a suo agio, non lo era affatto. Ma, malgrado questo, era estremamente eccitato a trovarsi in quella posizione. Prese la mano di Eloy e si mise a succhiargli le dita, quando furono ben bagnate le guidò dentro di lui. Fu doloroso, ma finse che la cosa gli piacesse molto. Provabilmente questa fu la mossa vincente. Eloy si portò in ginocchio davanti a lui e, senza dire una parola, continò il "lavoro", era ipnotizzato dagli spasmi e dai mugulii che riusciva a provocare a Javier. Ben presto si accorse che il suo membro reagiva, alzò le gambe a Javer e appoggiò a punta.

«No, girati, così ti farei troppo male.» ubbidientemente Javier si girò, offrendogli uno spettacolo niente male, Eloy si sentiva stordito. Si posizionò dietro di lui prendendolo per le anche, sentì la pelle di Javier accaponarsi. Tremava, ma questo lo eccitò ancora di più, lentamente spinse il glande dentro di lui, che emise un piccolo grido. Lo afferrò più saldamente e spinse fino in fondo. Si appoggiò sulla sua schiena ansimando.

«Quindi è questo che si prova Javier?» Javier continuava a tremare, ma il dolore si era mischiato a una strana senzazione che non riusciva a catalogare. Eloy gli prese in mano l'uccello.

«Vedi, stai buttando fuori preseme come se piovesse. Strana sensazione vero? Ora inizio a muovermi.» si sollevò, uscendo quasi completamente da lui, per poi rientrare quasi con violenza.

«Non resisterò ancora per molto se mi stringi in questo modo...» si mosse lentamente dentro di lui, era surreale, stava scopando il suo Alpha, e se avesse dovuto descriverlo, avrebbe usato un solo aggettivo, strepitoso. Lo sollevò facendo aderire la sua schina al suo torace, le mani di Javier si ancorarono alle sue natiche, ora era lui che dava il ritmo alle sue spinte. Sentì l'orgasmo che stava per esplodere e, istintivamente, leccò la parte alta della schiena di Javier, e continuò a leccarla fino a che esplose dentro di lui, affondando i sui denti appena al di sopra della scapola destra. Fu in quel preciso istante che entrambi entrarono in calore. In ogni punto in cui Javier l'aveva morso, sentiva un formicolio crescente. Javier si liberò, letteralmente, di lui, facendolo volare disteso sul letto. Il sangue colava sulla sua schiena, la ferita bruciava. Si buttò sul corpo di Eloy, baciandolo selvaggiamente. Mai aveva sentito un calore così forte, non riusciva neppure a parlare. Si sollevò dal corpo di Eloy e lo guardò. Era così lascivo. Le gambe aperte lasciavano ben poco all'immaginazione. Con le mani si stava toccando ovunque. Gli strinse un capezzolo e Eloy urlò di piacere.

«Sei così osceno amore mio in questo momento... mi desideri così tanto?» Eloy lo stava guardando con occhi supplicanti.

«Ti prego...» Javier si sedette, appoggiando la schiena alla testata del letto.

«Serviti...» gli disse tenendo ben saldo tra le mani il membro turgido. Eloy stava per salire a cavalcioni su di lui, ma lo bloccò.

«No, dall'altra parte.» incrociò le gambe e Eloy si appoggiò su di lui. Gli puntò l'uccello e gli scivolò dentro in un solo colpo. Eloy impazzì di piacere, sentirlo così profondamente dentro di lui, era una cosa incredibile. Javier, dopo averlo fatto "ballare" un po', non resistette e lo sollevò, mettendolo sotto di lui. Non capiva più nulla, lo stava scopando con una violenza che spaventava anche lui. Ma non riusciva a fermarsi, non c'era più nulla, solo loro due e i loro corpi uniti in un sabba infernale, in un crescendo infinito. Eloy era ormai venuto innumerevoli volte, e ogni volta che lo vedeva godere, era come se una forza ancora più potente s'impossessasse del suo corpo. Ad un tratto, sentì che i suoi canini si allungavano, stava per venire. Si gettò sul collo di Eloy, che ormai sembrava una bambola di stracci, e affondò il suo morso alla base del collo, incominciando nel contempo a eiaculare dentro di lui. Entrarono in una dimensione parallela, non c'erano più rumori, nessun dolore, soltanto pace e benessere, l'oblivion. Crollò su di lui.

«O MIO DIO...» le parole di Eloy lo riportarono alla realtà.

«Notevole vero?» gli baciò la fronte.

«Sì, però ora mi piacerebbe, tipo, alzarmi. Potresti uscire dal mio culo e smettere di eiaculare?» Javier gli bloccò le mani.

«Se provassi ad uscire in questo momento, mi si romperebbe l'uccello e ti strapperei l'utero. Non vuoi che accada vero?» Eloy, che non si era ancora reso conto di cosa fosse accaduto, rimase a bocca aperta.

«Significa che io e te siamo...» Javier lo baciò dolcemente.

«Se non fosse così non starei ancora dentro di te...» Eloy iniziò a realizzare totalmente cosa stesse succedendo.

«Quindi le provabilità che tu mi stia fecondando...» Javier gli morse il lobo dell'orecchio.

«Il professor Turcotte e Pierre sostengono che, a legame avvenuto, le provabilità di essere fecondati sono circa del 100%.» Eloy si coprì il viso con le mani.

«E chi cazzo è Pierre?» Javier lentamente si mise in ginocchio mettendosi comodo, facendo ben attenzione a non fare pressione sull'aggancio.

«È una storia lunga...» mentre aspettavano di potersi staccare, ebbe tutto il tempo per raccontargli di Pierre e della meravigliosa e triste storia che gli aveva raccontato e che gli aveva permesso di creare il loro legame, del professor Turcotte e di Claudia.

«Beh, noi potremmo chiamarlo Oceano...» Javier scoppiò a ridere.

«Oceano Romero...non è così male.» finalmente sentì che poteva sganciarsi da lui.

«Ti amo. E finalmente nulla potrà più intaccare il nostro legame.» lo baciò stringendolo a se.



Sette anni dopo

«Alfonso Romero! Quante volte ti ho detto che non devi farlo?» il piccolo Romero aveva da poco scoperto quanto il suo umore potesse influire sugli esseri viventi, e si divertiva spesso ad esercitarsi sugli animali.

«Scusa nonna.» era un bambino sveglio e pieno di voglia di vivere, la gioia di entrambe le famiglie.

«Quando ritornano Eloy e Javier?» la nonna gli accarezzo il musetto triste.

«Tra una settimana potrai riabbracciarli.» Alfonso strinse la bocca.

«Ma perché viaggiano così tanto?» nonna Maria lo accolse sulle sua gambe.

«Perché fanno delle conferenze per insegnare a altri Omega Tao e Alpha Omicron come si crea il legame, tra poco lo faranno meno, visto che altri si sono uniti alla loro associazione.» Alfonso annuì.

«E perché quando vado a scuola non posso usare i miei poteri?» la nonna gli scompigliò i capelli.

«Perché creeresti il caos! Prova a immaginare se facessi diventare tutti gli Omega degli Alpha o viceversa, solo perché ti sei arrabbiato un pochino! Ma stai tranquillo, il professor Turcotte ha quasi finito di testare una medicina che ci farà stare tutti più tranquilli.» ma lui non la pensava allo stesso modo, gli piaceva creare il caos. Soprattutto con quel bullo di Riky, lo trattava come una femmina e a lui non piaceva affatto, un giorno lo avrebbe fatto, lo avrebbe fatto sentire un Omega.

Fine

OBLIVION - LA STORIA DI JAVIER E ELOYDove le storie prendono vita. Scoprilo ora