Dalla finestra i primi raggi del sole mutavano umore iniziando ad esser meno timidi, spazzando via il fresco creatosi al nascere dell'alba. Sembrava prospettarsi un buon inizio di Settembre, la giornata prometteva bene a livello meteorologico. Forse meno a livello emozionale.
Il cervello iniziava a trasmettere i primi imput cominciando a toglierlo dalla fase rem in cui si trovava. Il corpo gli stava sussurando piano che era arrivato il momento di alzarsi, ma Federico non voleva. Voltandosi dal lato opposto alla finestra, spostò la testa sull'altro lato del cuscino, divaricò leggermente le gambe posando una mano lievemente addormentata, formicolante, al limite del suo cuscino.
C'era un silenzio così pacifico nella stanza, cosa che lo stava riportando in un mondo dove tutto può accadere, dove tutto è più bello, più semplice. Ma un pensiero lampo squarciò la parete eterea dei sogni riportandolo nella realtà.
Perché c'è tutto questo spazio nel letto?
Ripetutamente strizzava gli occhi che moderatamente si abituavano alla luce. Allungando una mano, oltrepassando il suo confine, era in cerca di qualcosa. Era in cerca di qualcuno.
Si è già alzato?
Un mitra di pensieri lo stava bombardando a raffica in un fuoco ripetuto a brucia pelo. Sopratutto dopo quello che era successo la sera prima. Proprio lì, in quel letto. Proprio lì, nel posto che ora stava occupando dove non aveva dormito lui. Teatro di un nuovo spettacolo, soltanto quel letto gli fece compagnia al suo risveglio.
Mettendosi a sedere cercava di riprendersi dalla sonnolenza. La vescica piena ordinò di andare verso il bagno. Piegando l'indice bussò alla porta senza ricevere nessuna risposta, così entrò tranquillamente per svolgere le abitudinarie azioni di una vita. Rinfrescato, si stava dirigendo nella sua camera. Avrebbe indossato dei pantaloni per poi ritrovarsi in cucina con gli altri. Un masticato brusio gli aveva fatto intuire fossero tutti lì.
«C-cesare!» A momenti balzava sul posto per lo spavento. Era convinto fosse con gli altri.
Ma cos'è questa sensazione?
«B-buongiorno.» Disse entrando definitivamente nella stanza.
«Buongiorno.»
Un atona, spenta e distaccata voce lo rispose. Senza nemmeno guardarlo, Cesare lo aveva risposto andando avanti e indietro per la stanza mentre si cambiava.
Una serpentesca figura si mosse smorzando quel silenzio scomodo che si era creato facendo parlare Federico.
«Ma... cos'è successo ieri?» In un sorriso misto risata, alquanto nervosa, si pronunciò.
«Nulla. Cos'è successo Fede? Nulla.» Di ghiaccio lo rispose continuando a non guardarlo, stavolta preso dall'allacciarsi le scarpe.
Il cuore iniziò ad accelerargli in petto. Assordante quel rapido rumore continuo gli rimbombava nelle orecchie.
Ma... come...
«Cesare.» Le parole gli morirono in gola senza aver visto la luce del giorno.
Inerme, incapace, non si mosse. Non lo chiamò. Non ci riusciva. Lo vide uscire repentino dalla porta, ancora una volta senza un accenno di sguardo. Turbato dalla scena appena avvenuta, Federico ci mise un po' prima di raggiungere gli altri.
«Ma buongiorno Fedino.» Gli diede una pacca sul braccio Nelson.
«Buongiorno.» Un amaro, falso, sorriso era il massimo che poteva dare ora.
«Tutto bene? Hai una c'era...»
«Sono solo ancora assonnato.» Mentì toccandosi nervosamente il ciuffone.
Durante la colazione, al momento del saluto partendo dalla casa e persino ora in macchina, la situazione non era cambiata di una virgola. Indifferenza, freddezza, distacco, questo sprigionava l'aura di Cesare nei suoi confronti.
Ma cosa ho fatto di male?, pensava fissando fuori dal finestrino posteriore il paesaggio che correva veloce.
Non lo sapeva, non poteva saperlo, ma di nascosto Cesare aveva cercato i suoi occhi dallo specchietto retrovisore.
Federico non aveva avuto le forze necessarie per controbattere, non aveva testa, non ne aveva voglia, così l'idea di Nelson si realizzò. Quest'ultimo doveva soffermarsi all'Ikea per l'acquisto di una nuova mobilia per la sua casa. Visto che l'ora di pranzo si faceva prossima, decisero di unire l'utile al dilettevole. Delle volte, addirittura, andavano di proposito all'Ikea solo per mangiare. Non disprezzavano affatto quel cibo. Svariati giri dopo, durante e successivamente al pranzo la situazione non accennava margini di miglioramento.
Erano le 15:30 quando qualcosa gli disse che era arrivato il momento di parlare. Non la solita figura serpeggiante. Famelica attendeva paziente il suo nuovo momento di gloria. Del pasto! Ma non era quello il tempo. Quello che spinse a far parlare Federico era stata la disperazione. Era letteralmente stremato, prosciugato da tutto quel suo comportamento innaturale.
«Cesare.»
«Nelson si chiederà che fine abbiamo fatto. Dai, andiamo.» Impassibile stava continuando a camminare davanti a lui.
«Cesare... dobbiamo parlare.» Gli prese il polso in un mano arrestando la sua frettolosa corsa.
«Guarda che Nelson-»
«Perché mi stai ignorando?» Lo interruppe con una secca domanda.
«Ma che dici. Dai, andia-»
«Perché ti comporti così con me? Cosa ho fatto di male?»
Non aveva colpa di nulla, eppure era lì pronto a prendersela anche una colpa se questo significava la fine di quell'infimo atteggiamento.
Per la prima volta in tutta la giornata vide quegli splendidi occhi verdi che finalmente lo guardavano.
«Fede tu non-»
«Ti rendi conto che è l'ultimo giorno che sono qui, che sono in Italia? Metà dell'ultimo giorno in cui sono qui a Bologna, qui con i miei amici, è andato a puttane! Metà dell'ultimo giorno che vorrei passare in serenità e in allegria è andato sempre peggio invece!»
Prese un respiro, con il cuore in gola, voltando quanto bastava la testa per non fissarlo più.
«Okay...», tornò a guardarlo deciso a parlare, «è per ieri sera? Bene. Non è successo nulla. Come vuoi! Come dici tu! Tanto per me non è cambiato nulla perché non è stato nulla!»
Gli occhi che avevano distolto lo sguardo, ed il cambio di tono passato ad esser più basso sul finale, lo avevano però tradito.
Non aveva potuto vederli, ma quegli occhi verdi erano letteralmente spalancati dopo quell'affermazione.
«Ora va bene? Va meglio? Puoi tornare a comportarti come hai sempre fatto con me? Possiamo concludere per bene questa cazzo di giornata di merda?»
Sfogatosi, con la voce che tremava e non solo, si era liberato di quel fardello che sentiva dal mattino.
Cesare rimase per un attimo in silenzio.
Sfinito, decise non di ascoltare nemmeno la sua replica che stava appena iniziando. Oltrepassandolo urtandogli una spalla, si incamminò a passo spedito verso la macchina di Nelson.
«Fede aspetta!» Avrebbe voluto urlargli, ma riuscì solo a bisbigliarlo.
La prima tappa fu proprio casa di Federico. Prima di andare a fare la spesa, per la cena in compagnia a casa di Nelson, avrebbero avuto tutti un po' di tempo per riposarsi. Erano fuori casa dal giorno prima. Niente può rilassarti e tranquillizzarti come lo stare in casa propria. Sul proprio divano. Sul proprio letto. Nella propria stanza. Un attimo di stacco prima di riprendere con il frenetico fine giornata era d'obbligo.
«Ciao rega.» Sbrigativo, salutò frettolosamente aprendo la portiera della vettura.
Non soffermandosi oltre, per una chiacchiera in più o altro, si incamminò verso il portone del palazzo lasciandoli un minimo perplessi. Nelson in realtà non ci fece caso più di tanto, ma Cesare...
Salendo le scale stava ripercorrendo mentalmente la sfuriata avvenuta poco prima.
Quante cose non vere si posso dire in un momento di rabbia e frustrazione?
Senza accorgersene era arrivato davanti la porta del suo appartamento. Ravanando in una tasca del borsone, infinite quando di fretta stai cercando qualcosa, riuscì a trovare la chiave. Con il piede spinse, chiuse, la porta dietro di sé. Abbandonò la borsa sul letto e si diresse in cucina. Aveva la gola secca. Si dissetò per poi guardare l'ora sul telefonino, erano le 16:00. Avevano appuntamento intorno le 17:00. Poteva rilassarsi per un'ora. Per un'ora poteva distaccare la mente. Per un'ora poteva non pensare. Non pensare a tutte le cose avvenute il giorno prima. La sera prima... al pessimo risveglio e all'altrettanto pessimo andamento che aveva preso questa giornata.
Ho bisogno di una doccia.
Si accurò di aver impostata la modalità silenziosa nel suo iPhone e bloccò lo schermo deciso a non volerne sapere più nulla di tutti. Almeno per un po'. Almeno per un'ora. Stranamente anche la musica era di troppo. Non aveva più voglia di sentire voci. Di sentire rumori. I pensieri che ronzavano come fastidiosi moscerini erano già troppo assordanti per i suoi gusti. Voleva soltanto godersi un po' di silenzio.
Con il piede destro fece leva sull'altro sfilando così la prima scarpa, successivamente per farlo con l'altro. Spostando il piede accantonò poi le scarpe. Incrociando le mani, afferrando l'orlo della t-shirt, la sfilò portandole verso l'alto. La gettò sul letto raggiunta presto dal pantaloncino che aveva indosso. Tolti calzini e mutande entrò in bagno. Alzando la manopola si stava chiedendo perché ci volesse sempre così tanto per regolare la giusta temperatura dell'acqua. Dopo qualche minuto, finalmente con il giusto calore, si lasciò travolgere da essa. Alzando il capo fece scorrere il getto del soffione sui cappelli che tirò all'indietro con entrambe le mani. Lento, si stava prendendo il giusto tempo appagando i sensi i quel calore. Leggera si stava formando una nebbiolina. La calda pressione dell'acqua era un toccasana.
Finito di insaponarsi corpo e capelli, non aveva voglia di uscire da quello stato di benessere in cui era entrato. Insieme allo scorrere di quel limpido liquido sembrava quasi sciogliersi tutto il malcontento accumulato. Strisciando la schiena lungo la parete, si lasciò cadere fino a toccare terra. Raccolse le gambe portandole al petto, reggendole con l'intreccio della braccia. Poggiò la testa sulle ginocchia e si abbandonò totalmente a quel benessere rigenerativo che gli stava donando. Ad occhi chiusi, avvolto dal buio, si sentiva soltanto il rilassante rumore del fruscio dell'acqua.
Un flash di ricordi, prepotente, iniziò a passargli davanti come il rullino di un vecchio film.
La sera prima. Quel letto. Cesare. Quelle sensazioni.
Alzò il capo poggiandolo alla parete. Con una mano si coprì gli occhi. Quell'abbraccio in cui tutto era successo. Quel bacio.
Insieme allo scorrere dell'acqua sul suo viso, fece scivolare la mano.
Le dita sulle labbra. Labbra artefici di qualcosa di mai gustato prima. Artefici di quel particolare momento. Artefici di un magnifico incontro. Indefinito, il tempo continuava a scorrere senza fermarsi. Le grinze gli segnavano i polpastrelli.
Avvolgendosi nell'accappatoio si stava dirigendo verso camera sua, leggermente rilassato e più tranquillo di prima. Intento a scoprire che ora fosse, mentre con una mano strofinava la nuca con il cappuccio con l'altra sbloccò il telefono. La sua attenzione principale fu però attratta da due notifiche. La prima era una chiamata persa senza risposta, l'altra un messaggio vocale su Whatsapp. Entrambe da parte di Cesare.
«Volevo soltanto sentirti... cioè... volevo dirti di non prendere la macchina. Passo a prenderti io per andare al supermercato, Nelson passa a prendere Tonno invece... a dopo.»
Va bene, rispose semplice ma leggermente stranito.
Fino ad ora l'ignorarlo sembrava una gara di uno sport agonistico che doveva assolutamente vincere. Adesso: volevo soltanto sentirti... passo a prenderti io... ma infondo era stato lui stesso a chiedergli di cambiare atteggiamento, quindi non si fece ulteriori domande.
Sono partito ora da casa, fatti trovare giù, gli aveva scritto.
Calcolando male i tempi uscì dal portone in un lieve ritardo.
Cesare aveva parcheggiato poco più avanti aspettandolo.
«Hey.» Lo accolse in macchina.
«Hey.» Rispose guardando contento il sorriso che aveva Cesare sulle labbra.
«Eri impegnato?» Chiese mettendosi la cintura.
«Ero sotto la doccia. Il telefono aveva il silenzioso ed era in camera.» Spiegò afferrando al volo la domanda riguardo la sua chiamata andata a vuoto.
Si mise poi anch'esso la cintura sentendo il motore che si azionava.
Con una tale naturalezza sganciò la spoletta e lanciò la granata.
«Pensavo che non ti andava di sentirmi.» Disse guardando alla sua sinistra per immettersi nella carreggiata principale.
«Cesare...»
Con intonazione quasi di rimprovero gli fece capire che non era il vero.
Distolse per un frangente di tempo lo sguardo dalla strada per poterlo guardare in viso.
«Come va?» Dal cambio dell'auto trasferì la mano sulla sua, poggiata sopra la gamba.
«Ora bene...»
Una pausa inopportuna, a tratti ambigua.
«Cioè, ora va meglio. Credo sia solo del nervosismo accumulato per la partenza.» Giustificò il falso.
«Anzi, ti volevo chiedere scusa per prima. Insomma ho-»
«Non ce ne è bisogno. Non devi scusarti e sopratutto non c'è motivo di dire cazzate.» Diretto si pronunciò cambiando la marcia alla vettura che glielo chiedeva.
Una volta fatto ciò sistemò nuovamente la mano sopra la sua.
Probabilmente in parte era vero. Del nervosismo per un passo così importante c'era. Era innegabile. Ma sapevano entrambi che la reazione, la discussione avvenuta qualche ora prima era principalmente per un unico motivo.
Federico scelse deliberatamente di non replicare per non inoltrarsi in maggior misura in un tunnel senza vie d'uscita.
Vista la vicinanza di una curva imminente, Cesare doveva scalare marcia. Invece di togliere la mano da sopra quella di Federico per svolgere l'operazione, la strinse e la condusse sul cambio insieme alla sua scalando così la marcia.
Era un po' imbarazzante tutto ciò. Superava perfino la solita intesa di sempre. Cesare stava facendo tutto in una simile naturalezza pressoché disarmante. Federico non controbatté a nulla di tutto ciò, forse perché non gli dispiaceva. La mano di quest'ultimo era a contatto con il cambio. Quella di Cesare stringeva la sua ed il pomello con sopra i numerini delle marce.
«Chiami gli altri per vedere se ci sono?» Lui era impegnato ad inserirsi nella rotonda, prima dell'entrata del parcheggio.
«Certo.»
Guardando le loro mani, con quella libera, la destra, prese il cellulare dalla tasca. Digitò il numero e inoltrò la chiamata.
«Tonno... sì... okay perfetto... sì, siamo appena entrati... ciao.»
Ripetendo il numero del parcheggio che gli era stato detto, si stavano dirigevando verso di loro.
Sciogliendo quella sorta di intreccio, Cesare stava spegnendo il quadro elettrico della macchina. Sfilando le chiavi uscì per poi chiudere la vettura e raggiungere gli altri.
Un corto briefing su cosa preparare per cena e già erano spediti verso l'entrata.
Nonostante erano quattro menti, quattro teste, alla svelta si misero d'accordo. Era tutto stabilito ma si sa, durante una spesa guardando gli invitanti scaffali, era impossibile rigare diritto con la propria lista della spesa. C'era sempre qualche prodotto che si intrufolava, come ad esempio un prosecco e qualche roba dolce da mangiare a fine pasto in questo caso.
Durante tutta la spesa Federico era davvero con la testa in un altro posto. Non aveva fatto altro che riflettere e rimuginare su una cosa. Pensieri su pensieri... nuovi e vecchi si mescolavano tra loro creando un enorme nuvolone di dubbi. Però arrivò ad una conclusione. Ragionando si era proprio detto di non ragionare! Di prendere qualsiasi cosa veniva come veniva. Di non farsi domande, ed erano tante. Di continuare ad essere se stesso come aveva sempre fatto, prima di questa mattina. Non c'era spazio per i dubbi. Non c'era tempo. Desiderava solo stare con i suoi amici fino al momento in cui non avesse dovuto lasciare Bologna.
«Ci vediamo a casa di Nelson.» Urlava Francesco, anche se era Tonno per loro, dal finestrino dell'auto mentre sfrecciava via.
Chi da un lato, chi dall'altro, stavano entrando nella macchina di Cesare.
«Che c'è?» Chiese sorridendo, con la testa piegata da un lato, spostandosi i capelli che aveva davanti agli occhi.
«Non posso guardarti?» Domandò sorridendo anche lui.
«Metti in moto va. Ho un po' fame sai!?»
Nel tempo in cui loro stavano mettendosi la cintura, un flebile sibilo iniziava ad udirsi.
Spinto da chissà cosa, Federico slanciò la mano posandola su quella di Cesare. Sempre sul cambio. Guardando fisso la strada sorrideva.#MySpace
Ed eccoci qui, come per la giornata precedente, con la prima parte del capitolo. Turbolenta, ma in fin dei conti tutto si è risolto nel migliore dei modi, no? Ma siamo appunto ancora con il sole alto in cielo.
Cosa succederà una volta arrivata la notte, una volta soli, una volta a luci spente?
Si ripeterà quello che è successo la sera prima?Se vi va, fatemi sapere con una stellina ed un commento se questa prima parte vi è piaciuta.
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A Luci Spente || Cesare x Federico || Space Valley
Hayran KurguPuò sembrare spaventoso il buio ma in realtà se lo ascolti con il suo manto ti abbraccia, ti avvolge, e ti fa da scudo da tutto quello che la luce può rivelare. Lui non mostra, nasconde. Non giudica, capisce. Al buio non si può vedere... e a luci sp...