Prima spina. Il Re è morto, viva il Re!

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Il sangue non imbrattava più il viso di Oropher. Ora pacifico e immobile, suo padre giaceva con gli occhi chiusi, bianco come una statua, i capelli biondo argento a incorniciargli il volto e un diadema di oro bianco sulla fronte. Le ferite e il grosso squarcio al ventre erano stati richiusi, il taglio da orecchio a orecchio era stato ricucito, e ora tutto era nascosto da un lungo abito argentato con il collo alto fino alla mascella. Suo padre era regale e fiero anche nella morte, ma Thranduil non avrebbe mai voluto vedere quel momento.

Con le loro guerre, i Noldor lo hanno cacciato dalla sua terra natia, lo hanno umiliato, lo hanno ucciso, ed io speravo ancora ci fosse una via di mezzo.

Thranduil coprì il padre col lenzuolo, ricamato in argento con motivi di corna di alce, e posò le mani sul tavolo, il capo chino e i capelli che formavano una tenda, quasi per proteggere il suo dolore dallo sguardo dei soldati. Ma Thranduil non intendeva mostrare nulla, non era ancora il momento del dolore; quello era il momento di radunare le forze e prepararsi a continuare la guerra – quella contro Sauron e quella per il riconoscimento del popolo di suo padre – del suo popolo – come degno della stessa attenzione dei Noldor e dei Sindar che si sono piegati al loro potere.

E ora si aspettano che io sia più docile di lui, forse?

Gil-Galad aveva saputo con chi aveva a che fare, avrebbe dovuto ascoltare Oropher e non come un signore di basso rango, ma come il Re che era, come il generale di grandi armate, come il parente di Thingol – il glorioso Re del Doriath, come uno degli Elfi più antichi. E invece, anche lui aveva dimostrato la superbia Noldorin e non il buonsenso che richiedeva il caso, ed ecco il risultato. Due re e troppi soldati morti.

Thranduil strinse i pugni. Il Re del Reame Boscoso, Oropher, suo padre – morto.

E ora Thranduil era solo, con un popolo sconosciuto da guidare. Il tutto perché aveva preferito vivere ad Harlindon, tra i vestiti sontuosi e i gioielli più elaborati, nella civiltà che suo padre aveva rifiutato, invece di passare quei secoli da principe a imparare a conoscere il suo popolo e il suo regno. Se avesse avuto anche lui il dono della preveggenza, non avrebbe commesso quell'errore; se avesse anche solo immaginato di perdere suo padre così prima del tempo, avrebbe messo da parte la sua curiosità per la nuova cultura che stava nascendo dall'unione di Noldor e Sindar e si sarebbe sforzato a scoprire quella primitiva dei Silvani, che lui si era illuso di conoscere così bene. Ma i giorni che Thranduil aveva passato al campo di suo padre, tra i soldati, non erano stati abbastanza per conoscerli a fondo, come un re avrebbe dovuto.

Un tocco lieve sulla spalla e Thranduil girò la testa in quella direzione. Himeleth posò l'altra mano sul braccio di lui e abbozzò un sorriso. Il viso sempre giovane di sua madre aveva perso tutta la vitalità, la pelle era meno luminosa e i capelli dorati più sbiaditi, e Thranduil temeva quel che sarebbe seguito.

«Hai un esercito da guidare, figlio mio».

Thranduil posò la mano su quella della madre e strinse appena. «Li farò tornare a casa vivi. Tutti i sopravvissuti di oggi».

Himeleth abbassò lo sguardo. Quasi a nascondergli i suoi pensieri. Ma quel gesto la tradì e lei non lo sapeva. Vivere nella semplicità dei Silvani l'aveva disabituata a dissimulare e Thranduil era troppo abituato alla corte del Lindon, per poter fingere di non leggere le sue paure.

Temeva che altri sarebbero morti. Temeva che lui sarebbe morto.

Timori che non avevano ragione di esistere. Thranduil sapeva come farsi ascoltare da Gil-Galad, sapeva quando era il caso di attaccare e quando di ritirarsi in attesa di un'opportunità migliore.

Thranduil prese il viso di sua madre tra le mani e le baciò la fronte.

Una lacrima gli bagnò il dorso della mano e Thranduil non avrebbe potuto giurare che non fosse sua.

Le spine della coronaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora