Giorno 4: Combattere un Doloroso Enigma Spesso Porta a Fare Chiarezza

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Erano tornati all'aeroporto, George con la sua valigia e Dream con gli stessi vestiti della prima volta. Dream gli stava sorridendo, occhi pieni di tenerezza, splendenti di gioia e qualcos'altro, qualcosa a cui non riusciva a dare un nome. Anche George poteva sentirsi sorridere. 

Fu quando Dream camminò lentamente verso di lui che George notò che erano i soli nell'aeroporto. Ma poteva ancora sentire delle voci, voci che scorrevano come fiumi nelle sue orecchie. 

George sbatté le palpebre e si ritrovò Dream a pochi centimetri da lui.

George sentì e vide Dream prendergli la faccia con le mani, sentì la valigia cadergli dalle mani quando entrambi si sporsero in avanti, e Dream lo baciò, un'indefinibile quantità di pura euforia scoppiò dal suo petto, per arrivare fino al suo stomaco-

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George si svegliò, aprì gli occhi e si tirò su a sedere di scatto. Grazie al cielo, Dream non era stretto a lui, si era girato e ora stava dormendo sull'altro fianco. Erano solo le quattro del mattino quando scivolò furtivamente fuori dal letto, pregò che Dream non si svegliasse e si diresse in fretta e furia verso il bagno, chiudendo la porta delicatamente cercando di fare meno rumore possibile.

George si guardò allo specchio e un'ondata di senso di colpa lo trapassò dal collo fino alla pianta dei piedi, e si lasciò andare contro al piccolo lavandino, cercando di non singhiozzare.

Perché aveva pensato di avere una possibilità? Era ovvio che Dream lo vedesse solo come un amico, allora perché la sua mente e il suo cervello gli facevano credere e immaginare queste stupide cose?

Era un'idiota, un assoluto idiota. Non sarebbe dovuto venire. Sarebbe dovuto starsene a Londra, avrebbe dovuto dire che era impegnato, perché così non avrebbe mai incontrato Dream di persona.

Non avrebbe mai sentito come la sensazione delle sue braccia avvolte attorno al suo corpo lo facesse stare bene; non avrebbe mai saputo quanto era bello, e che fosse sempre difficile non guardarlo.

Il suo sorriso, i suoi occhi che brillavano nel sole e che sembravano quasi magici per il modo in cui riflettevano il loro giallo grigiastro, con dei punti più marroni in cui George non poteva far altro che perdersi. Le sue sopracciglia che si nascondevano dietro quei spettinati e magnifici capelli.

Al momento, George sperava di non avere mai visto tutto ciò. Voleva aver detto di no, voleva aver rifiutato l'invito, voleva non essersi innamorato così profondamente per un ragazzo che cambiò la sua vita in meglio, un ragazzo che se avrebbe perso ne sarebbe uscito devastato.

Il suo stomaco affondò come una barca con un buco. Sensi di colpa, paura, e desiderio circolavano nel suo corpo, un vortice di emozioni.

George tirò su la testa e si guardò negli occhi di nuovo, la sua espressione gridava che bramava, che desiderava qualcosa, o meglio, qualcuno.

E George se ne vergognava. Non aveva alcun diritto di essere innamorato del suo migliore amico, qualcuno che lo amava solo platonicamente. Non aveva alcun diritto di immaginare cose che sapeva non essere ricambiate. Non ne aveva il diritto.

George passò le mani tra i capelli per cercare di consolarsi, cercando il più possibile di non singhiozzare. Lentamente si abbassò verso il pavimento del bagno e si raggomitolò con le mani schiacciate sulla sua bocca per cercare di zittirsi. Continuò a singhiozzare finché non sentì più niente, e dopo si mise a sedere. gambe schiacciate contro il petto e la faccia sepolta tra le ginocchia.

George rimase seduto così per chissà quanto, con la mente troppo annebbiata per pensare a qualcosa  di razionale. Rimase seduto finché le sue cosce iniziarono ad addormentarsi, decidendo finalmente di alzarsi e di lasciare quella stanza claustrofobica.

7 Minutes in Heaven, But it's 7 Days in Florida (DNF) || Traduzione ItalianaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora