Tango della pace

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Se c'è qualcosa che mi piace davvero è ballare; ma proprio da morire, è una delle mie poche passioni.

Fin da ragazzina, ero considerata la ballerina del quartetto della Matteo Mari. Non che abbia studiato danza, intendiamoci, se escludiamo quei pochi anni di danza classica che frequentai alle elementari: la mia scuola di danza è stata l'Havana Club, una pizzeria-sala da ballo sulla litoranea, dove correvamo a scatenarci fin da adolescenti ogni possibile sabato sera. Social dance, caraibici, liscio... si ballava di tutto, e noi a metterci in coda come quattro pazze a tutte le scuole di ballo della città. La mia fortuna è che imparo in fretta e ho una buona memoria, dunque finiva sempre che, nei balli di gruppo, le ragazze spingessero me in prima fila, a fare la "maestra" della compagnia; nei balli di coppia, poi, la parte dell'uomo era sempre per me, quando non trovavamo qualcuno dalle altre comitive che ci invitasse, anche se io mi trovavo meglio con i maestri. Per me ballare è una cosa seria, altroché.

E proprio all'Havana Club eravamo tornati poco dopo il matrimonio di Giusy, con al seguito il novello sposo Vittorio e Giambattista detto Giamba, il fidanzato di Veronica.

Ci eravamo appena seduti all'aperto a sorseggiare qualcosa di fresco dopo esserci lanciati nell'ennesimo ballo di gruppo, Scandalous delle Mis-Teeq, sempre la stessa coreografia da quasi vent'anni, non particolarmente difficile e molto sensuale. Peccato che Vittorio abbia la sensualità di Stanlio e Ollio, non abbiamo mai capito chi dei due; Giamba se la cava decisamente meglio, anche se, quando si tratta di onde e movimenti di bacino, si trasforma in una sorta di automa. Il tutto condito da grandi risate da parte di tutti: ma sì, in fondo chi se ne frega? L'importante è divertirsi.

Mi ero appena asciugata la faccia con il mio ultimo fazzoletto profumato, quando una voce dietro le mie spalle per poco non mi fece andare di traverso il primo sorso di the ghiacciato al limone.

- Annalisa, giusto?

Mi voltai di soprassalto sperando di essermi sbagliata.

Invece era proprio lui, in piedi dietro la mia sedia. Non c'era possibilità di errore: l'adrenalina riesce a dare una lucidità straordinaria e può rendere la memoria come la vecchia carta moschicida.

Naturalmente era irriconoscibile, e, dovevo ammetterlo, più che presentabile con quella mise all'americana da ballerino hip-hop: tuta grigia smanicata con tanto di cappuccio, berretto mimetico con la visiera girata dietro, scarpe da ginnastica bianche, Calvin Klein, da sole dovevano costare un occhio della testa, per non parlare dell'orologio che spiccava sopra i tatuaggi.

Non si mosse, mi guardò.
- Ti ricordi di me?
Annuii, tentando di sorridere.
- I "rumori molesti", - risposi con il tono più ironico che riuscii a tirare fuori. – Se dovesse presentarsi uno vestito da poliziotto a casa mia, imparerò a chiedere il tesserino prima di farlo entrare.
- Perché, che è successo? – saltò su Vittorio, naturalmente all'oscuro di tutto.
- Uno stupido scherzo, - intervenne Sara prima che succedesse l'irreparabile, - e per poco la nostra Lilù non ci sveniva dalla paura.
L'uomo strinse le labbra, gli occhi andavano da me al pavimento. 
- Una mia cliente mi ha detto che potevo trovarvi qui il sabato sera, - disse. – Ci tenevo a dirti che non volevo assolutamente metterti le mani addosso, non se tu non eri d'accordo: ti ho stretto i polsi solo perché mi stavi prendendo a cazzotti.
- Non ne parliamo più, - lo interruppi sorridendo. – Se avessi voluto denunciare qualcuno, avrei denunciato la combriccola del tribunale di Napoli, tu c'entravi meno di tutti.
Lui si risistemò meglio il cappello in testa.
- Allora possiamo ricominciare daccapo, Annalisa De Simone? – Mi porse la mano. – Ivan Mangano, alias Ivan Rocket.
- Ivan è sufficiente, - risposi mentre una stretta di mano suggellava la pace fatta.

D'altronde non mi è mai piaciuto giudicare le persone, men che meno senza conoscerle: e io sapevo cosa Ivan facesse, ma non sapevo nulla di chi fosse.

Giamba, con gran cameratismo, lo invitò a sedersi con noi, Ivan ordinò una birra. A quanto pareva, lui in quel periodo non lavorava, era in vacanza tra la Costiera Amalfitana e il Cilento: disse di aver preso una casa al mare a Vietri. Ivan era della periferia di Milano, aveva anche vissuto un bel po' tra Stati Uniti e Australia, ma confessò di avere un debole per le spiagge del Sud.

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