Tango del capriccio

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Poi arrivarono i messaggi.

Una marea, giunsero a essere quasi settanta al giorno, sulla pagina social della libreria; risaltavano sulla bacheca appena io o Katia l'aprivamo ogni mattina, puntuali come un incubo che noi speravamo invano finisse giorno dopo giorno.

La maggior parte erano insulti, mi davano della schifosa, roba che mi vergognavo perfino di leggere; mi scrissero anche alcune ex clienti di Ivan, dicevano che ero una ragazzina banale e viziata, non lo meritavo un "figo da paura" come lui; a volte mi ritrovavo addirittura foto oscene sulla bacheca, da parte di uomini perlopiù.

I primi tempi rispondevo in modo tagliente, bloccavo la persona segnalandola al social e cancellavo il commento o la foto dalla bacheca.
Ben presto, però, i messaggi diventarono sempre di più, e sempre più aggressivi: arrivarono perfino minacce di far fare una brutta fine a me e al negozio se non avessi lasciato Ivan.

Uno tzunami vero e proprio mi era arrivato addosso, e io ero lì, a cercare di fermarlo a mani nude, con la tentazione di barricarmi in casa e di non uscire più. O di prendere Ivan e fuggire il più lontano possibile, dove nessuno ci conoscesse. Ma come andare in un posto che internet non raggiungesse comunque, come un acquario dove chiunque, da qualunque parte del mondo potesse guardare dentro e riconoscermi? Dove sfuggire a quelle parole affilate come coltelli pronte a colpirmi appena avessi acceso il cellulare? 

Finì che Katia e io dovemmo chiudere la nostra pagina, non prima di aver scritto un comunicato pieno di amarezza che spiegava a chi ci seguiva il perché della nostra scelta. Per fortuna ricevemmo tante attestazioni di solidarietà, soprattutto da parte dei nostri clienti storici.

Quando è troppo è troppo, commentò Giusy appena vide quei messaggi: dovevamo  rivolgerci alla polizia postale, e anche in fretta: non era solo cyberbullismo, erano minacce a tutti gli effetti, roba da galera.

Io, purtroppo, avevo la sensazione che non sarebbe servito a niente. Già era stato un miracolo che fossi riuscita a risparmiare a Ivan ulteriori umiliazioni quando avevamo denunciato Pink Gossip per violazione della privacy: avevo voluto parlare con l'ispettore Palmieri, e lui aveva avuto almeno la delicatezza di evitare di fare il terzo grado al mio uomo, dato che per gran parte della sua vita aveva praticato un'attività al limite dell'illecito. 
Purtroppo ci avevamo cavato ben poco: il direttore della rivista aveva declinato ogni responsabilità, avendo pubblicato a suo dire una foto arrivata in redazione con una busta anonima, battuta al computer, poteva esser stata scritta da chiunque.
Ci aveva offerto mille e cinquecento euro come riparazione: in pratica dovevamo accontentarci di una settimana di vacanza e star zitti, tenendoci senza reagire tutto il fango che ci avevano tirato addosso.

Avevo lasciato decidere a Ivan. Lui mi aveva guardato e aveva scosso la testa: 

- Io posso anche avere un prezzo, ma tu no.

Era stata la cosa più bella che avessi sentito da lui da quando ci conoscevamo, quanto di più vicino a una dichiarazione d'amore.

Avrei voluto telefonare a tutte le mie amiche, e anche ai miei genitori, avevo bisogno di dirlo a qualcuno, ero troppo felice. Per fortuna mi trattenni in tempo, erano cose troppo personali, forse nessuno avrebbe capito, men che meno i miei genitori: ci voleva ben altro per convincere loro.
Forse nemmeno una proposta di matrimonio l'avrebbe fatto.
Il pensiero mi faceva quasi ridere: Ivan in ginocchio davanti a me, con l'anello e tutto il resto. No, non era decisamente il tipo. Forse non era neanche il tipo da matrimonio.
Eppure avrei dovuto cominciare a pensarci seriamente. Il mio uomo mi aveva detto che per lui non avevo prezzo. E io? Sarei stata disposta a pagare il prezzo di stare con lui fino in fondo? A passare con Ivan il resto della mia vita? Ero pronta a gridare a tutto il mondo che quell'uomo, che era stato spogliarellista ed escort, era mio marito, anche a tutti quelli che mi davano della facile su internet? 
No, il problema non era il passato, ma il futuro. Il matrimonio non mi avrebbe dato la garanzia che lui non avesse potuto un giorno arrendersi, tornare alla sua vecchia vita e lasciarmi come una vedova bianca. Mi fidavo di lui al punto da prendermi questo rischio sul groppone?
Ivan non me ne aveva mai parlato, nemmeno di sfuggita, come se avesse voluto vivere la nostra relazione giorno per giorno. Eppure quella domanda me l'aveva fatta, fin dall'inizio: e se non dovesse funzionare? E se finissi per farti soffrire?
Mi aveva avvertita che stare con lui non sarebbe stato semplice. 

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