Tango dell'anima

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E arrivò quella sera: la prima uscita dell'anno della scuola di Ruggiero e Vega all'Havana Club.

Un evento vero e proprio, cui non potevano mancare i miei amici, Vittorio e Giamba compresi. Ivan, da parte sua, aveva invitato i suoi "colleghi" Ged e Alex, dato che quella settimana il loro show sarebbe stato la domenica, non il sabato, d'inverno si lavorava di meno.
A dire la verità, avevo una punta di imbarazzo a presentarli alla mia comitiva: non per quello che facevano, sia chiaro, ma per il loro scarsissimo sforzo a tenere a freno la lingua.
Soprattutto Alex non perdeva occasione di spararne qualcuna, in particolare quando mise gli occhi su Sara, l'unica non impegnata del gruppo a parte me, sebbene avesse qualcosa come dieci anni più di lui.
- Ma tu guarda che bambola, non mi dire che una come te fa la strizzacervelli. Vieni a Roma a vederci domani?
- Mi dispiace, lunedì mattina ho il turno allo studio, non posso fare troppo tardi, - lo gelò la mia amica con il suo sorriso più algido.
- Sì, sì, si vede che non sei tipo da night, Cenerentola: a mezzanotte la carrozza ti si ritrasforma in zucca... Ahio!! - saltò su a un certo punto per la gomitata nello stomaco che Ivan gli aveva dato.
Alla faccia della gomitata: l'avesse data a me, mi sarebbe rimasto il livido per una settimana.
- Sei impazzito? Mi hai quasi rotto le costole!
- Così può darsi che ti tappi quella fogna, - lo fulminò Ivan con l'atteggiamento del superiore militare.

A dire la verità, lui quella sera un po' di soggezione la metteva anche a me, a guardarlo: da com'era vestito sembrava un divo del cinema, con quella giacca nera perfettamente sagomata sopra la camicia chiusa sì sul petto, in modo da non essere volgare, ma cucitagli praticamente addosso, quasi fatta apposta per mettere in risalto l'ampio torace.
Quando ero entrata nel locale, di fianco a lui, vestita com'ero del mio abitino corto nero con lo spacco sulla schiena e le scarpe da tango, mi ero sentita addosso gli sguardi d'invidia feroce di ogni essere di sesso femminile presente in sala.

E perché mai, poi? Non ero mica la sua donna.

Naturalmente lui si sedette accanto a me al tavolo, ma questo non gli impediva di flirtare praticamente con tutte le donne non solo sedute con noi ma dell'intera sala: ogni momento c'era un'occhiata da tenebroso da copione per una, una risatina per un'altra, una battuta per un'altra ancora.
I miei amici fremevano di sdegno, mi esortavano con forza a fare qualsiasi cosa, a dargli quantomeno una regolata.
Per quanto mi riguardava, francamente, non sapevo se ridere o provare pietà. L'atteggiamento era lo stesso del mio professore di storia e filosofia del liceo durante l'intervallo in cortile: spegneva una sigaretta e in men che non si dica ne aveva un'altra in bocca, se avesse potuto si sarebbe intubato con una bombola piena di nicotina. Compulsivo, avido, come un affamato pronto a gettarsi su qualsiasi cosa gli capitasse a tiro per riempirsi lo stomaco.

Decisi di far finta di niente. 

E non solo per questo: quando gli passai la sua porzione di patatine, e lui si decise a sbottonare il polsino della camicia, notai che alcuni dei tagli nascosti dai tatuaggi erano più rossastri, slabrati. 

Come si fossero riaperti.

- Ci vuoi il ketchup o la maionese? - gli chiesi con la massima disinvoltura possibile per mostrare di non essermene accorta. 
- Le preferisco al naturale.
- Anch'io, - gli risposi, sorpresa.
Almeno qualcosa in comune ce l'avevamo.
Poggiò la mano sulla mia, sorrise.
- Tra Las Vegas e Sidney mi sono sorbito tanti di quegli impiastri che mi sono rotto le palle.

Versai a mia volta la mia porzione nel piatto.

- E di quello che fai, non ti sei ancora stancato? - azzardai.

Invece Ivan non fece una piega: - Sai da quanto, ormai saranno più di dieci anni che lo faccio... Il punto è che non so fare altro, e bisogna pur tirare avanti.

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