Take me to the sea, Harry

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«Harry? Che ci fai qui?» Louis entrò in ascensore, il Signor Hood e la ragazza uscirono insieme e presero la stessa direzione.

«Avevo bisogno di parlarti» rispose, passò una mano sulla camicia per sistemarla. L'aria odorava di fumo e inchiostro.

Rimase a bocca aperta nel vedere Louis, era più bello che mai.

La giacca gli aderiva al corpo, i pantaloni gli scendevano dritti fino alle caviglie, la maglia delineava perfettamente le sue curve, dal tessuto si intravedeva un "78" tatuato in grande a destra.

Sembrava un perfetto uomo d'affari, o uno scrittore, o un giornalista.

«E non potevi chiamarmi semplicemente?» il tono di voce era calmo, profumava di menta fresca.

«Non ho il tuo numero di telefono» ed era vero, non se l'erano mai scambiato. Perché farlo però, se potevano vedersi e parlare di persona? Secondo Harry il cellulare nasconde le emozioni, fraintende i sentimenti e le parole, lo usava davvero poco. Odiava i social, li riteneva una maschera indosso alla realtà.

«Hai ragione» Louis si sistemò il ciuffo, l'ascensore si fermò nuovamente al piano terra. In meno di mezz'ora la sala d'attesa si era riempita a dismisura, le voci si sovrapponevano l'una all'altra, la coda per il bancone d'accoglienza era lunghissima. Harry non sapeva se sarebbe riuscito a sopportare ogni giorno tutte queste persone, ma Louis era così calmo da far paura. Abitudine? Forse. Troppa pazienza? Probabile.

Gente che chiamava il suo nome da tutte le parti, si avvicinavano a lui e gli chiedevano così tante cose da mandarlo in confusione.

«Prendete un appuntamento» si limitava a dire. Il suo comportamento al lavoro era così diverso da quello che aveva quando era insieme ad Harry, due persone completamente distinte. Da una parte, una persona seria e composta, dall'altra, un sognatore romantico e impacciato.

La folla si spostava da Louis alle segretarie in un attimo, Harry non poteva fare a meno di ridere.

«Come sei serio» scherzò, risero entrambi.

«Aspettami qui, torno subito» indicò una poltrona ad Harry che prese posto aspettandolo. Si sentiva osservato, pensò fosse colpa della camicia a fiori che indossava. A lui piaceva, era una delle sue preferite.

Dalla stanza si sentì un rumore, qualcuno che sbatteva sulla scrivania, poi la voce di Louis si fece più forte. Era la prima volta che lo sentiva gridare, si chiese cosa gli avesse provocato tanta rabbia.

Dopo circa venti minuti uscì dall'ufficio come se nulla fosse successo.

«Tutto bene?» Harry scattò in piedi e si avvicinò a Louis, preoccupato.

«Si Harry, tutto bene» sorrise, poi prese posto su una delle sedie.

Più volte Harry immaginò cosa facesse Louis lì, il suo compito, ma non aveva mai avuto il coraggio di chiederglielo.

Stando a ciò che aveva visto anche se per poco tempo, gli cadevano addosso troppe responsabilità che forse non sapeva neanche lui come gestire.

«Portami al mare Harry, ne ho bisogno» sospirò, Harry annuì.

Lo avrebbe portato al mare, lo avrebbe portato ovunque lui desiderasse.

Lo avrebbe portato anche su una stella, una delle più belle, una delle più luminose nell'universo.

Ce ne sono milioni, alcune si allineano, altre preferiscono starsene per conto proprio. Vivono per l'immaginazione di chi le guarda, per la creatività. Possono essere ciò che vuoi, se solo lo desideri veramente.

Sono la trappola dei sogni, l'inganno di ogni innamorato.

Ricamano in cielo storie senza tempo, da ascoltare in silenzio nell'oscurità di una notte buia.

Louis avrebbe raccontato ad Harry ogni storia che conosceva sulle stelle, ne avrebbero esplorata una in due, e non c'è posto più bello di una spiaggia per sognare.

Ever Since New York//larry stylsonWhere stories live. Discover now