The New York Times

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«Buongiorno» l'edificio era esattamente come Harry se l'era immaginato: donne e uomini che corrono da una parte all'altra senza sosta, fogli sparsi per le scrivanie, penne in ogni angolo, documenti, archivi e tante, troppe macchinette del caffè.

I muri erano interamente fatti di vetro, gli uffici grandi, al centro alberi dai rami bianchi che si estendevano in altezza per due o forse tre piani, un giardino a loro sottostante curato nei minimi particolari.

La vista dall'ultimo piano sarà mozzafiato, pensò Harry, e infatti aveva ragione. Riuscivi a vedere tutta New York, era uno spettacolo del quale potevano usufruirne in pochi, sperava che Louis fosse riuscito a goderselo, anche solo per poco.

Al bancone d'accoglienza un gruppo di ragazze rispondevano ad alcune telefonate, abbassavano ed alzavano la cornetta ogni due per tre, scrivevano appunti su appunti, appiccicavano post-it ad ogni spazio libero del computer, bevevano caffè dopo ogni telefonata.

Harry attese lì davanti, nella speranza che qualcuna di loro si accorgesse della sua presenza.

Sbuffava, controllava l'orologio, erano passati già dieci lunghi minuti.

Tentò una seconda volta «Scusami» posò una mano su quella della ragazza più vicina alla sua portata, sorrise.

«Ehi ma che...» non terminò la frase, alzò lo sguardo verso Harry e posò piano il telefono sulla scrivania. Afferrò una penna, la infilò fra i capelli «come posso esserti utile?» si alzò in piedi, tirò la gonna verso il basso e raggiunse Harry. I tacchi facevano un fastidioso rumore sul pavimento in parquet, il rossetto rosso era leggermente sbavato sul labbro inferiore, i capelli neri splendevano sotto le luci a neon della stanza.

«Sto cercando Louis Tomlinson» la ragazza controllò sul registro che portava in mano, scese fino alla lettera "L", Harry non riusciva ancora a crederci che così tante persone lavorassero in quell'edificio. Ma lui ne cercava una sola, quando l'avrebbe vista la quantità di gente si sarebbe ridotta a lui e lui soltanto, l'unico che gli interessava veramente.

«Lewis, Luke...» con la penna portava il segno in quella lista immensa, leggeva i nomi velocemente, controllava il piano, il corridoio e l'ala di collocazione «Ah ecco! Louis Tomlinson, sesto piano, corridoio due a sinistra, ala ovest» iniziò a camminare ticchettando ad ogni passo verso l'ascensore in vetro. Le scale c'erano, ma probabilmente erano lì solo per abbellire. Chi avrebbe mai il coraggio di salirsi cinquantadue piani a piedi?

Per fortuna la tecnologia esisteva, in meno di trenta secondi arrivavi al punto più alto del palazzo, senza sudore, fatica o fiatone.

Harry la seguiva senza dire una parola, giocherellava con le mani per l'ansia.

Ci pensò molto prima di entrare al "The New York Times", Louis lavorava in quel posto, ed erano le nove del mattino, l'avrebbe sicuramente disturbato e forse non l'avrebbe presa bene, ma gli aveva scombussolato la vita da quel giorno al bar, una piccola visita non avrebbe arrecato nessun danno al suo posto di lavoro, no? Non più dei danni che aveva arrecato al suo cuore, irreparabili a quanto pare.

Era diventato il centro dei suoi pensieri, da quando si svegliava fin quando andava a dormire. Per strada quando sentiva il nome Louis pronunciato da qualsiasi persona si girava di scatto nella speranza di vederlo, quando passeggiava in spiaggia e guardava il mare, inevitabilmente quel blu gli ricordava il viso di Louis, i suoi occhi.

«Louis è suo fratello? Cugino?» gli chiese la ragazza. Harry doveva pensare bene a cosa dire, perché non ne aveva la più pallida idea. Cos'erano loro due?

Sospirò «Un mio amico» disse, si passò nervosamente una mano fra i capelli, gli anelli si impigliarono in mezzo ad alcune ciocche. In ascensore, lì con loro, c'era un ragazzo sulla ventina, alto ma meno di Harry, magro, capelli neri leggermente mossi sul davanti, occhi marroni. La ragazza lo salutò, lo aveva chiamato "Signor Hood", a giudicare dalle arie che si dava doveva essere un pezzo grosso nell'azienda. Salutò a sua volta la ragazza con un galante bacio sulla mano che la fece arrossire. C'era del tenero fra i due, per tutto il tempo in ascensore si lanciavano occhiate di sfuggito e sorridevano.

Harry continuava a lottare coi suoi anelli, quello con la rosa non era deciso a slegarsi.

Le braccia erano in alto, così vicine al viso di quel ragazzo, aveva paura di dargli una gomitata in pieno viso.

Il signor Hood posò la valigetta per terra, sbuffò e aiutò Harry con l'ingarbuglio. Erano uno di fronte all'altro, le loro fronti si toccavano, le mani giocherellavano nei capelli. Chi tirava a destra, chi tirava a sinistra, la ragazza intanto se la rideva senza aiutarli, continuava a leggere i registri e a scrivere alcuni messaggi sul cellulare, il rumore dei tasti era costante e veloce, le notifiche arrivavano senza sosta.

L'ascensore balzò, si fermò al sesto piano. Le porte si aprirono, davanti a loro capitò l'ultima persona che chiunque si sarebbe mai aspettato.

«Buong...» alzò lo sguardo dai documenti verso la scena di fronte ai suoi occhi. L'anello si sgarbugliò, Harry si allontanò da quel ragazzo, al suono di quella voce ebbe un sussulto.

«Signor Tomlinson! Stavamo cercando proprio lei!» 

Ever Since New York//larry stylsonWhere stories live. Discover now