the world stopped

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Trattenere le lacrime era impossibile, quelle parole erano così vere e così taglienti da far male. Harry aveva percepito ogni singola emozione di Louis, lo shock di perdere una madre, di essere presente davanti a quella scena solo col corpo e con la mente che ancora spera di poterla rivedere di nuovo e il duro colpo di avere il peso della tua famiglia sulle spalle, tranquillizzare le sorelle, occuparsi di loro come avrebbe fatto una mamma.

Ma per quanto ci provi, nessuno può sostituirla.

«Harry...» balzò dalla sedia, le mani ancora bagnate di lacrime, gli occhi rossi. Louis era davanti alla finestra, bianco in volto, sembrava che stesse per perdere i sensi da un momento all'altro.

Non voleva crederci, non voleva credere al fatto che Harry si fosse permesso di rovistare fra le sue cose, non era autorizzato soprattutto a leggere le sue lettere.

«Che cazzo stai facendo?» alzò la voce, gli strappò dalle mani la lettera e richiuse la scatola. Era arrabbiato, davvero tanto arrabbiato, e deluso.

Deluso perché non si aspettava che Harry invadesse la sua privacy senza chiederlo, chi era lui per far riemergere il suo passato? Mai nessuno aveva fatto una cosa simile, non sapeva come gestire la situazione, cosa dire, cosa fare.

«Scusami Lou, e che ho visto la scatola lì e...» gesticolava, sudava, balbettava.

«E cosa Harry? Hai pensato bene di rovistare tra le mie cose senza chiedermelo? Cazzo!» si passò una mano fra i capelli, tremava per il nervoso.

«Non pensavo potesse darti fastidio, non volevo davvero» Harry si avvicinò a Louis che però si ritrasse subito indietro e si allontanò.

«Non toccarmi Harry, penso che tu debba andartene ora» entrò dentro e dal pavimento raccolse le sue robe, calciò dei cuscini e per tutta la stanza rimbombò un urlo strozzato. Era rosso in viso, la vena sul collo pulsava, respirava affannosamente cercando di tranquillizzarsi.

Harry non disse una parola, si rivestì di fretta e lasciò l'appartamento. Piangeva, avrebbe voluto risolvere la situazione ma non sapeva come fare, Louis aveva ragione su tutto, non avrebbe dovuto curiosare fra le sue cose, non esistevano scuse, aveva fatto una grandissima cazzata.

Si fermò davanti alla porta, si girò un'ultima volta.

«Vattene!» la porta si chiuse, in quel momento Louis scoppiò in un pianto disperato.

Era accasciato sul pavimento, la testa fra le ginocchia.

Piangeva, singhiozzava.

Pensò di essere stato troppo aggressivo con Harry, che avrebbero potuto parlare con calma, senza litigare, ma era un tipo impulsivo, non contava mai fino a tre, parlava senza pensare a cosa stesse dicendo, agiva d'istinto.

Si sdraiò lungo sulla calda moquette, cercava di regolarizzare il respiro. Una folata di vento fece cadere la lettera per strada, volava in aria e veniva trasportata chissà dove.

Non ci pensò, forse era meglio così. Se non l'avesse mai scritta a quest'ora non avrebbe rovinato tutto, era meglio sbarazzarsene una volta per tutte.

Chiuse gli occhi, i ricordi si fecero strada nella sua mente. Il sorriso di Harry gli mancava già, la sua risata, i suoi occhi, il suo calore, le sue braccia, non era più in grado di stare anche solo per un attimo senza di lui.

Avrebbe dovuto chiamarlo? Scusarsi? Farlo tornare nell'appartamento?

Pensò che probabilmente era già a casa sua, ma aveva ancora la speranza che camminasse per le strade di Manhattan.

Si asciugò il viso, infilò i pantaloni e una felpa e prese le chiavi della macchina.

Lo avrebbe trovato, a costo di chiedere in giro per strada se qualcuno avesse visto il più bel ragazzo del mondo e in che direzione fosse andato.

Scese le scale, erano le 4 del mattino.

«Signor Tomlinson dove va a quest'ora?» Simon era di guardia alla porta d'ingresso, non la smetteva di parlare, voleva sapere cosa avesse in mente di fare così presto.

«Vaffanculo Simon» gli fece il dito medio, aprì il portone e lo chiuse con forza alle sue spalle.

Lo odiava così tanto che più di una volta aveva pensato di cambiare appartamento solo per non dover più rivedere quell'orrenda faccia ogni giorno.

Accese l'auto, premette forte sull'acelleratore e iniziò a guidare per tutta New York.

Guardava a destra e a sinistra, chiudeva gli occhi sforzandosi di vedere le piccole figure che camminavano, ma con la vista appannata post pianto era davvero difficile.

Non sapeva cosa fare, aveva lasciato il cellulare a casa, mille pensieri per la testa e solo un nome che gli rimbombava nelle orecchie: Harry.

Attraversò un incrocio, non attese al semaforo rosso. Sentì l'urto di una macchina venirgli contro, un gruppo di anziane che urlavano in lontananza, l'odore di fumo nell'aria, qualcosa che gli colava dal lato della testa, le gambe deboli, un peso che gli comprimeva il petto. Chiuse gli occhi, i muscoli cedettero e per un attimo il mondo si fermò.

Ever Since New York//larry stylsonWhere stories live. Discover now