Risvegliarsi da un sonno indotto non è mai come un risveglio normale.
Sei lì, sai che ci sei, il tuo cervello processa che sei sveglio ma non sempre riesci a muoverti e a prendere di nuovo il controllo sul tuo corpo. Non subito per lo meno.
È così che mi sono sentita quando mi sono risvegliata dal sonnellino che mi aveva regalato Marshall. Cosciente. Pronta. Attiva. Ma immobile.
Lo sono rimasta per un tempo indefinito. Abbastanza lungo da permettere al mio cervello di processare ogni possibile scenario; uno più tragico dell'altro. Abbastanza lungo da pensare a Lattner e a come lo avevo lasciato solo in un momento di massimo bisogno.
Io qua a dormire, lui chissà dove.
Furono l'ansia e il senso di colpa a velocizzare i tempi che mi spinsero ad alzarmi dal letto, quando ancora gli arti faticavano a seguire i miei pensieri e la sonnolenza rendeva i movimenti poco fluidi. Ma dovevo andare. Dovevo trovarlo. Dovevo sapere.
Marshall varcò la soglia della stanza mentre infilavo i piedi nelle scarpe, pronta ad andarmene. «Ehi, ehi... non così di fretta.» Bloccò l'unica via di fuga, obbligandomi a restar seduta in attesa di un controllo.
Non mi disse di restare. Sapeva che non lo avrei fatto. Volle solo accertarsi che fossi in condizioni ragionevoli per potermi muovere. A suo modo, anche lui stava mantenendo una promessa.
Lattner aveva pensato al benessere di tutti meno che del proprio. Era tipico di lui.
E per questo lo odiavo. E lo amavo.
Quando mi alzai dal lettino le gambe tremarono, gelatinose come un budino non resistendo al peso del mio corpo; fu grazie all'intervento di Marshall che rvitai di cadere in terra. Allungò un braccio in tempo affinché mi aggrappassi. «Sei ancora debole.» Fu un rimprovero che non avrebbe comunque cambiato la mia decisione di andarmene.
«Lo so... ma non ho tempo per riprendermi come dovrei. Hai saputo niente?»
Scosse il capo. «Lexie non risponde alle mie chiamate.» Un brivido gelido mi attraversò la schiena.
Imprecai. Non era buon segno. «Da quanto dormo?»
Rimase in silenzio alcuni istanti prima di rispondere. «Tredici ore.»
Tredici ore. Fu uno shock.
Mi staccai da lui con uno scossone, barcollando senza fiato. Il mio viso si deformò in una smorfia di turbamento. Non potevo crederci. Non volevo crederci. «Tredici ore?» chiesi, incredula.
Marshall non si scompose. «Erano necessarie.»
«Come... come hai potuto?»
«Ripeto: erano necessarie. Inoltre...» Con un movimento fluido rimise lo stetoscopio a penzoloni attorno al collo e sollevò lo sguardo per fissarmi freddamente, un sopracciglio leggermente inarcato. Era seccato. «non sei la sola che ha avuto bisogno delle mie cure. Molti Skulls hanno subito varie ferite in quella rissa.»
«Potevi svegliarmi! Dovevi svegliarmi!» urlai, girandomi di scatto in cerca del giacchetto. Quando aveva parlato di dormire avevo immaginato un paio di ore, tre o quattro al massimo; non tredici. Tredici ore erano oltre la mezza giornata. In tredici ore poteva succedere di tutto. Tutto.
Se è ancora vivo potrebbe essersi svegliato.
Potrebbe essere in camera, da solo, spaesato.
Potrebbe pensare che l'ho abbandonato a se stesso.
Afferrai il giacchetto posato sulla sedia e lo infilai con un moto di stizza. Ero arrabbiata, delusa, spaventata. Lattner poteva aver bisogno di me e io ero ancora qua a discutere di aria fritta con uno stronzo che non capiva le mie preoccupazioni. «È meglio che mi sbrighi... grazie al tuo riposino ho perso troppo tempo prezioso.» Le parole mi uscirono come veleno.
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Problema Pericoloso - Joker (vol.3)
RomanceIl passato di Lattner è tornato a far capolino nelle loro vite, lasciando dietro di sé un cumulo di macerie, sofferenza e cicatrici. L'incontro con George Wyer li ha cambiati, svuotati e ha messo a nudo verità scomode. Ricominciare è difficile, sop...