3 - GENITORI

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«Anche il sapore del caffè della macchinetta sembra più buono adesso.»

Lexie sorrise, soffiando leggermente dentro il bicchierino di carta. «Al decimo non la penseresti allo stesso modo.»

La fissai riconoscente. Eravamo partite con il piede sbagliato ma non si poteva negare la sua fedeltà nei confronti di Lattner. Era una amica con la A maiuscola.

Ci incamminammo in silenzio lungo il corridoio dell'ospedale, con una calma apparente capace di nascondere tutte le mie preoccupazioni. Volevo andare da Lattner, vederlo, toccarlo, convincermi che quell'incubo fosse ormai a un passo dalla fine; ma Lexie aveva detto che era ancora tenuto in coma farmacologico.

Dovevano tenerlo monitorato e stabilizzarne i valori. Sembrava fuori pericolo ma aveva subito un intervento lungo e spossante, senza contare l'ingente quantitativo di sangue perso.

«Grazie» glielo dovevo.

Avevo imparato che ringraziare e chiedere scusa non erano sinonimo di debolezza. Era un enorme passo avanti per una che odiava far entrambe le cose.

Lexie abbozzò un sorriso. «Lo avresti fatto anche tu se non fossi stata in quelle condizioni pietose.»

«Sì, è vero... ma lo hai fatto tu. Ringraziarti mi sembrava il minimo.»

«Thomas resta pur sempre un mio caro amico d'infanzia, oltre che... bé, tutto il resto.» Con "tutto il resto" compresi che intendeva sia la sua cotta epocale che il fatto fosse suo capo negli Skulls. «Una volta sveglio dovrà rilasciare una deposizione ai miei colleghi. Io staccato da qui dovrò andar in sede a compilare il rapporto e le nostre versioni dei fatti dovranno combaciare.» Mi fissò, inarcando leggermente un sopracciglio, quasi volesse farmi capire qualcosa senza doverlo per forza dire. E, bé, non ero stupida fino a questo punto.

Annuii. «Certo. Vuoi che ti chiami non appena si sveglia?»

«Sì, mi faresti un gran favore.» Con la mano libera estrasse il cellulare, allungandomelo. «Scambiamoci i numeri.»

E così, in piedi al centro di un corridoio ospedaliero, con i bicchierini di caffè fumante stretti tra i denti, ci memorizzammo l'una il numero dell'altra. Fu una strana condivisione che però mi diede la sensazione dell'inizio di qualcosa.

«Altri cinque minuti e me ne vado.» La voce seccata di un uomo mi fece voltare quasi di scatto, il caffè oscillò pericolosamente nel bicchierino, rischiando di ustionarmi le labbra. L'uomo, alto e di bell'aspetto, continuava a battere nervosamente il piede in terra, impaziente. «Sono stanco di sprecare il mio tempo qui.»

Rinfoderai il cellulare e mi liberai la bocca dall'ingombro del bicchierino di plastica. Bevvi l'espresso tutto d'un sorso, troppo incuriosita dalla scenetta per guardar altrove.

Una coppia stava bisticciando poco distante da noi.

«Per favore, Joseph! Non fare queste sceneggiate all'ospedale. Non sta bene...» La donna che continuava a carezzargli il braccio sembrava molto più preoccupata per possibili spettatori che per le parole crudeli del suo compagno. Mi ricordavano tanto i miei genitori, così attaccati alle apparenze da ignorare i sentimenti. «Anche io me ne voglio andare, cosa credi? Ma dobbiamo aspettare il medico... ha detto che ci voleva parlare.»

L'uomo le regalò un'occhiata severa e poi sbirciò nella camera di fronte a sé: «È vivo, no? Andiamocene!»

Una sensazione spiacevole mi fece irrigidire sul posto. Non conoscevo quella coppia ma i loro tratti fisici, sì: li vedevo ogni giorno, li amavo, li bramavo costantemente. I capelli scuri di lui, gli occhi chiari di lei, il fisico atletico di lui e le belle labbra di lei erano tanti piccoli dettagli che uniti insieme non lasciavano dubbi: erano i genitori di Lattner.

Problema Pericoloso - Joker (vol.3)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora