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Il tempo era passato dappertutto, nelle stanze, nelle strade, negli alberi

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Il tempo era passato dappertutto, nelle stanze, nelle strade, negli alberi. L'unico posto dove non era passato era in ospedale. Lì sembrava che il tempo avesse preso parte ad un'iniziativa diversa, ovvero mangiarti dentro e sbudellarti fin quando un'infermiera gentile e pacata non ti informava che tutto era andato per il meglio.

Fin dall'infanzia percepivo lo scorrere delle ore indipendente da ogni riferimento, da ogni atto e da ogni evento, la disgiunzione del tempo da ciò che tempo non era, la sua esistenza autonoma, il suo statuto singolare, il suo imperio, la sua tirannia.

Ricordo con estrema chiarezza quel pomeriggio in cui, per la prima volta, di fronte all'universo vacante, non ero più che fuga di istanti ribelli ad adempiere ancora la loro particolare funzione. Il tempo si separava dall'essere a mie spese.

C'erano ore che pesavano più di una vita intera. C'erano ore lente e ore che correvano. Le ore acceleravano quando gli anni rallentavano. Se qualcuno aveva un'ora, non migliorava quell'ora e la sprecava a far niente.

Con alcune persone però, potevi permetterti di trascorrere alcuni minuti, ma non alcune ore. Non si doveva dire di non aver abbastanza tempo perché il tempo era prezioso, soprattutto per chi ci abbandonava da un momento all'altro per andare a miglior vita.

La cosa più preziosa che potevi ricevere da chi amavi era il suo tempo. Non erano le parole, non erano i fiori, i regali. Era esclusivamente il tempo.
Perché quello non tornava indietro e quello che aveva dato a te era solo tuo, non importava se era stata un'ora o una vita. Anche se la teoria del tempo poteva considerarsi diversa e molto più complicata di voleva far credere.

Il vecchio Albert Einstein diceva: «Quando un uomo siede vicino ad una ragazza carina per un'ora, sembra che sia passato un minuto. Ma fatelo sedere su una stufa accesa per un minuto e gli sembrerà più lungo di qualsiasi ora.»

Nella teoria della relatività non esisteva un unico tempo assoluto, ma ogni singolo individuo aveva una propria personale misura del tempo, che dipendeva da dove si trovava e da come si stava muovendo.

Poteva essere un tempo non indefinito e contemporaneamente ad un tempo circostante, costruito, espansivo: un'ora equivaleva ad un secondo e un secondo equivale ad un'ora.

Tuttavia però, mai prima d'ora avevo avuto così poco tempo per fare così tanto. Non sapevo come venivano chiamati gli spazi tra i secondi ma era in quegli spazi che il dolore picchiava più forte quando si sentiva la mancanza di una persona.

Avrei dovuto fare di più, continuai a ripetermi. Che stupida che sono stata, e mi chiusi in me stessa con le gambe strette al petto e il viso affondato nelle braccia.

«Ori», percepì la mano calda di Keishin accarezzarmi su e giù il braccio, ma io non volevo ciò. E non so nemmeno cosa volevo realmente, quale tipo di conforto.

Ace: The number one. [Haikyuu!!]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora