[𝖤𝗑𝗍𝗋𝖺] 𝖳𝗁𝖾 𝗆𝗈𝗆𝖾𝗇𝗍 𝗐𝗁𝖾𝗇 𝖾𝗏𝖾𝗋𝗒𝗍𝗁𝗂𝗇𝗀 𝖺𝗋𝗈𝗎𝗇𝖽 𝗒𝗈𝗎 𝖽𝗂𝗌𝖺𝗉𝗉𝖾𝖺𝗋𝗌.

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Nella vita in generale avevo sempre temuto di commettere errori

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Nella vita in generale avevo sempre temuto di commettere errori. Ero stata fin troppo rigida con la vecchia me, esigendo che facessi cose che una bambina non poteva concedersi. Capitava spesso che gli allenamenti di pallavolo si concludessero in una fascia oraria consentita, eppure la spensieratezza che tutti gli altri bambini possedevano di sicuro non derivava anche da me.

Dovevo essere la migliore. Me lo ripetevo in continuazione. Avevo solo sei anni e desideravo che tutti i miei sforzi da quel momento in poi venissero ricompensati. Dovevo essere informa, in modo da non ingozzarmi di dolci come tutti gli altri bambini. Dovevo restare in allenamento, svegliarmi presto la mattina per approfittare dei risultati riguardanti il mio corpo. Dovevo seguire le partite più importanti, osservarle, studiarle e assorbire ogni tecnica che mi si presentava davanti. Dovevo... Io, io dovevo.

La pallavolo era sempre stata la mia unica ragione di vita. Non immaginavo che avrei amato una cosa astrale al punto di piangere per essa ogni santo giorno. Per qualcuno la mia passione sarebbe stata considerata una vera e propria ossessione, e forse all'epoca sarei stata piuttosto aggressiva se qualcuno me l'avesse riferito. Gli avrei risposto che ogni essere umano aveva degli obiettivi precisi da raggiungere ed il mio era quello di diventare la migliore del mondo, la sola giocatrice a cui era stato permesso di entrare in una squadra maschile; la stessa che aveva rivoluzionato le regole del gioco.

Detestata dalle ragazze e temuta dai ragazzi. Continuavo a vivere nel loop del giudizio, facendomi influenzare da qualunque critica, soprattutto da quelle negative.

Avevo sempre detestato tutto ciò, eppure allo stesso modo, non mi dispiaceva sentirmi al centro dell'attenzione.

«Non mi toccare. Hai idea di quanti batteri contiene una mano? E poi perché sei già sudato da far schifo?» Brontolò Sakusa fulminando Bokuto, situato alle sue spalle.

«Non sei eccitato? Questa partita sarà grandiosa. Assicurati di darmi dei riser fantastici!» Bokuto gli mise le mani sulle spalle e Sakusa trasalì, detestando il contatto fisico con altri esseri umani, salvo che non siano disinfettati da capo a piedi.

Sakusa tirò fuori una bottiglietta di spray disinfettante e se lo spruzzò addosso. Non avevo idea di dove la tenesse, ma Sakusa era il tipo di personaggio che lasciava tutti a bocca asciutta; da lui potevamo attenderci qualunque cosa.

Dietro di me c'era Sakusa, in fila indiana, in attesa che il relatore ci convocasse per entrare. Lo speaker chiamò i membri del gruppo, il primo dei quali fu il nostro capitano, il quale era orgoglioso del proprio ruolo.

Ero così nervosa ed eccitata allo stesso tempo, come ogni volta che dovevo entrare in palestra col pubblico che attendeva con trepidazione di vederci giocare.
Perché lo sport, nel quale si muovono i primi passi, non era soltanto un semplice sport.
Era qualcosa di diverso. Qualcosa che se ti prendeva sottogamba, ti faceva impazzire, riuscendo a portarti via. Non so se succedeva in tutti gli sport. Non potevo saperlo.
Perché nella mia vita c'era stato spazio solo per uno sport. Uno solo; il quale mi aveva preso per mano in giovane età e non mi aveva più lasciato.
Mi aveva segnata per tutta la vita.
Tutta la mia infanzia e adolescenza, poi la mia vita adulta, erano state scandite da un unico ritmo: quello degli allenamenti e delle partite. Tutto il resto era sempre ruotato attorno ad esso.

Ace: The number one. [Haikyuu!!]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora