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«Non doveva mettermi in panchina

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«Non doveva mettermi in panchina. Avrei dovuto giocare insieme alla mia squadra-»

«Ne abbiamo già parlato. Non voglio spiegarti nuovamente il perché. Lo sai anche tu che avresti fatto poco o niente.» Ribatté secca la coach, sbattendo violentemente una mano contro all'armadietto dello spogliatoio. Le ragazze sussultarono, guardandoci discutere selvaggiamente dopo la vittoria.

La conversazione stava andando avanti da più di dieci minuti e avevo i nervi a pezzi. Non avrei mai creduto di trovarmi a discutere con la coach; la stessa che mi aveva proposto di ritornare a giocare e vincere le Olimpiadi come l'ultima squadra giovanile dell'anno.

«Lei che ne sa? Lei non sa nulla di cosa avrei potuto fare in campo. Ha preferito mettermi in disparte solo perché aveva paura di una mia possibile esitazione. Ma sono cambiata. Completamente. E lei, non mi ha dato la possibilità di dimostrarlo!» Strillai fuori di me, rossa di rabbia e imbarazzo, mentre le ragazze alternarono gli occhi su una e sull'altra, silenziose.

La coach mi guardò a lungo e la vena gonfia in mezzo alla fronte risultò più evidenziata. «Vuoi davvero insegnarmi a fare il mio lavoro, Kaori? Chi ti credi di essere per potermi urlare contro e mancarmi di rispetto? Prima che diventassi una coach, ero una giocatrice professionista proprio come te», mi puntò il dito contro. «...So cosa significhi farsi male durante una partita. So cosa significhi non sapersi rialzare per la vergogna e so cosa comportano i traumi di crisi esistenziali addosso.» Ribatté con il mio stesso tono, facendomi spalancare gli occhi.

L'avevo combinata grossa. Non sapevo più con quale faccia o parola giustificare il mio atteggiamento infantile.

«Credevo che questo sarebbe stato il tuo anno. L'anno in cui avresti messo la testa sulle spalle e avresti riconosciuto i tuoi errori, senza dover sbattere i piedi a terra come una bambina capricciosa. Ma ho sbagliato a fare i miei calcoli...», scosse il capo amaramente. «Non diventerai mai una professionista con questo atteggiamento arrogante che ti ritrovi. Devi saper accettare i no, nella vita, oppure...», il mio corpo tremò di tante emozioni messe insieme e abbassai il capo mortificata. Aveva così ragione che mi faceva rabbia. «Oppure resterai per sempre nel tuo guscio di prepotenza narcisista.» Sospirò profondamente. «Non voglio darti nessuna colpa, perché sei soltanto una ragazzina», proclamò dopo un breve silenzio. «La colpa è soltanto mia.»

Mi buttai l'acqua sui capelli e chiusi gli occhi, cercando in un modo o nell'altro di rinfrescarmi le idee. Strinsi le gambe al petto e appoggiai il mento in mezzo alle due ginocchia, sospirando. Quella sera, mi sentivo più depressa del solito. Neanche la videochiamata con Keiji era riuscita a tirarmi su di morale. Nonostante il mio ragazzo mi aveva confidato di aver vinto contro alla squadra avversaria. Ero davvero felice per lui, ma non abbastanza per me stessa.

Ace: The number one. [Haikyuu!!]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora