CAPITOLO 3 - Il libro misterioso...

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L'orologio segna le ventidue e un quarto, nella stanza si sentiva ancora il profumo del caffè caldo, dalla finestra socchiusa entrava un'arietta fresca, che attraversava tutta la mia schiena e mi riportava alla realtà. Queste calde notti mi ricordavano quando ero piccola e dalla finestra sopra il mio letto entrava la luce soffusa della luna. Mi rannicchiavo su me stessa e mi avvolgevo con le lenzuola di lino bianche, sognando luoghi sperduti e fantastici, dove una valorosa eroina si destreggiava tra grandi combattimenti e lunghe avventure nel cuore della foresta. Cercai di ritornare al presente, quel periodo della mia vita era sempre stato così confuso, ma dicono che i bambini tendono a dimenticare le situazioni della fanciullezza. Mi stiracchiai la schiena dolorante, dovuta a ore di postura sbagliata, erano ormai ore che leggevo e rileggevo il libro rubato dalla biblioteca, ma non c'era nessun riferimento alla casa, allo scrigno o ai miei strani sogni. Dall'erosione del tempo si deduceva fosse uno scritto molto antico, il lessico utilizzato non era attuale, riportava alla mente un periodo vicino al medioevo. Le pagine erano ingiallite e il colore della scrittura stava ormai sbiadendo. Nella prima pagina, vi era inciso, con inchiostro di china nero, un omino che si accingeva ad aprire un ampio portone decorato - un disegno fatto da qualche infantile del tempo – pensai. Questo libro molto arcaico riproduceva una sorta di raccolta di leggende antiche, ambientato in un mondo chimerico, parallelo al mondo conosciuto, dove il lettore si perdeva in un viaggio fantastico e pieno di sorprese inaspettate. Tutte le mitologie narrate si ricollegavano a un unico avvenimento, dove il protagonista della vicenda ricercava delle chiavi che avrebbero permesso l'accesso alla conoscenza assoluta. Non veniva specificato cosa si intendesse con "conoscenza assoluta", né veniva fatta una descrizione dettagliata di queste chiavi. Gli unici indizi che si potevano captare riguardavano il numero di chiavi che erano quattro e il fatto che dovevano essere usate insieme. Bastava che una sola chiave non funzionasse o non fosse utilizzabile e la serratura non poteva essere sbloccata – la cosa non aveva senso – pensai – come poteva un semplice libro folcloristico essere collegato con tutto quello che mi stava accadendo. Ormai esausta e innervosita da tutto questo, con la sensazione di non aver risolto nulla, presi il libro e lo lancia contro il muro, come per cancellare e distruggere qualsiasi cosa stesse annientando la mia normalità. Fu il pensiero di un momento, la rabbia e la frustrazione di non vedere via di uscita, mentre le lacrime scendevano sul mio viso, quasi come se fossero autonome, mi resi conto che realmente avevo lanciato quella raccolta di miti e fantasia. Asciugai le lacrime dalla mia faccia con il torso della mano, come per darmi un minimo di contegno. Il libro, nel tiro, prese in pieno le mensole posizionate nella parete frontale e con un tonfo capitombolò a terra. Notai che nella caduta si rupe la rilegatura – Cretina, l'hai rotto – pensai, mentre mi accingevo a raccoglierlo. Osservai che dalla copertina ormai rotta, s'intravedeva un pezzo di pergamena con i contorni irregolari, ben ripiegato su se stesso. Iniziai a sfilarlo lentamente, stando attenta a non rovinare la copertina ormai danneggiata del tomo. La pergamena era piccola, ingiallita dal tempo, sembrava cosi fragile che mentre mi accingevo ad aprirla avevo paura che si sgretolasse tra le mie mani. All'interno del ritaglio c'era raffigurato un simbolo mai visto. Era sicuramente disegnato a mano, con dei contorni imprecisi e, in alcuni punti, con una leggera sbavatura sul lato sinistro dell'immagine. La figura era molto particolare, mi dava una sensazione di familiarità, ma non rammentavo dove avevo visto tale forma. Non aveva un'immagine asimmetrica, rappresentava un laccio che si dispone su quattro cappi circolari intorno ad un quadrato, con l'estremità dei cappi ogivali. Era una raffigurazione così semplice, ma che emanava un'energia fortissima, quasi mi sentii ipnotizzata da quella figura, come se comprendessi quell'immagine, ma non riuscivo a collocarla. Sotto l'immagine vi era sempre quella scritta in latino "Quattuor claves quatuor turres quatuor puncta a summae veritatis viam unius". Nel tempo in cui mi perdevo nell'osservazione di quel simbolo e cercavo di captare un dettaglio che potesse aiutarmi a collegare tutti i pezzi, un tonfo assordante mi riportò alla realtà. Alzai lo sguardo velocemente e un altro tonfo mi fecce sussultare – Alicia, calmati, è solo la porta – dissi a voce alta parlando tra me e me. Mi diressi verso la porta sbuffando – sono le ventidue, chi viene a casa della gente a quest'ora? – appena aprii la porta, mi ritrovai Hannah – Ecco chi – pensai spostandomi per farla entrare. Aveva i capelli raccolti in una coda cosa stranissima per lei, dove uscivano alcuni ciuffi ribelli, indosso aveva una tuta sportiva nera e delle scarpe da tennis abbinate. – anche l'abbigliamento era molto insolito per lei – riflettei, mentre prendevo le pizze che mi porgeva. – Vedi ho cucinato – mi disse entusiasta sedendosi sul divano. Risi di gusto, sapendo che Hannah non era capace di cucinare neanche un uovo sodo. Lei fece un finto broncio, come se la mia risata l'avesse offesa, ma io continuai rincarando la dose – meno male che non hai cucinato tu – le dissi con una linguaccia. Rimarcai, intanto che mi dirigevo in cucina per apparecchiare la tavola – avevo bisogno di una serata che non mi facesse pensare a tutto quello che stava succedendo intorno a me. Mentre la guardavo gesticolare nel raccontarmi la sua settimana, pensai a quanto Hannah fosse speciale, riusciva a sentire quando avevo bisogno di evadere, era come se io e lei avessimo un legame particolare, capiva sempre quando stavo male, quando avevo bisogno d'aiuto, come se mi leggesse nel pensiero.

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